Lunedì 13 febbraio titolavo la mia nota su Agora magazine “L’elezionismo”:
Chiamo ‘elezionismo’ la malattia del sistema politico italiano avvitato nel ricorso al voto anticipato.
La notizia odierna – «Renzi e la carta dimissioni, “Ma il congresso subito e presto la legge sul voto”» – spiega quel che intendo.
Renzi ha chiuso il suo governo di mille giorni nel 2016, quando celebrava la sua capacità di interrompere l’abitudine degli altri governi brevi ed ha aperto il 2017 sostenendo l’urgenza della legge sul voto (per poi andare al voto). ...
Ieri, giovedì 23 febbraio, leggo: «Renzi punta all’election day l’11 giugno» su la Repubblica in prima pagina.
Poiché nel frattempo Renzi si è dimesso anche dal Pd, che si è rotto per prepotenza (secondo chi se n’è andato o se ne sta andando dal Pd), Matteo Renzi, che dice invece di aver rifiutato un ricatto, non ha più il potere nelle istituzioni e non sembra averne più nel partito democratico, è importante perché impersona la malattia dell’elezionismo. Non ha nessun potere e tutta la malattia.
I candidati a concorrere alla segreteria, Andrea Orlando, che ha sollevato in pubblico il problema della prepotenza interna senza far nomi, e Michele Emiliano, che ha esitato tentato ad uscire e poi è rimasto, fanno un po’ di resistenza, come fa l’opposizione a sua maestà: chiedono il 7 maggio per le primarie, mentre Renzi le vuole il 7 aprile.
Chi ha seguito un po’ il tema discusso nella direzione del Pd a Roma sa che la scissione sta avvenendo sui tempi del congresso di partito. Chi se ne va lo avrebbe voluto nella seconda parte dell’anno, secondo i tempi normali. Chi sta con la malattia, naturalmente dice che il malato ha ragione.
Non c’è nulla da discutere, non c’è potere che obblighi. Tutto sta nella malattia.
Carlo Forin