Il profilo di una mano avanza verso il nostro sguardo, moltiplicandosi. Rende evidenti le sue doti di prensilità e leggerezza. Mostra inoltre le sue proprietà di elemento comunicativo, divenendo perspicace linguaggio gestuale. Il tragitto articolatissimo della mutazione è narrato da queste apparizioni digitali, simili a trasparenze alari o a vorticare nel buio: moto inesauribile in continuo rinnovamento. Queste fotografie strappano ai nostri gesti le pelli del transitorio e fanno risaltare l’evoluzione vitale come incandescenza di particelle, orbitazione, materia trasfigurata, rima di luce.
L’intendimento di slacciare le forme reali dal peso che le fascia per liberarne il nucleo è applicato anche ad altre testualità. La scrittura, a esempio, sotto la spinta di questa necessità di depurazione, si converte in una serie di linee ondulari o in un fascio di rette variamente impresse sulla carta. Fino ad assumere l’aspetto di un codice del profondo materico, difficilmente aggredibile dalla razionalità.
Sviluppo ed entropia – si osservino due inventatissime mani – sono stati imbevuti con risultati eccellenti, di sottigliezza espressiva e tono ironizzante. E si comprende che tutto rientra in una chiara coscienza dei limiti da assegnare alla nostra labile presenza nello smisurato telaio dell’essere.
Silvano Martini, Tre tempi per un cielo
Frammenti di un discorso sull’arte
Anterem Edizioni, 1995, pp. 88
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