Tzvetan Todorov, scrittore, critico, linguista, filosofo, nato a Sofia (Bulgaria) nel 1939 e morto a Parigi il 7 febbraio scorso, tra le tante opere, ci ha lasciato un interessante saggio che prende titolo da una delle frasi più celebri e sibilline della storia della letteratura mondiale: …La bellezza salverà il mondo.*
È la frase che Dostoevskij, ne L’idiota, fa pronunciare al principe Miškin, protagonista del romanzo. Cosa intendeva far dire Fëdor Michajlovic al suo principe idiota? Di quale bellezza si sta parlando? E in che senso “salverà” il mondo?
Parole enigmatiche che aprono a diverse interpretazioni e da cui Todorov trae spunto per tracciare un possibile itinerario di salvezza.
Se la bellezza viene intesa come “ideale supremo”, che vuol ricomporre in un’unità armonica il disordine della realtà o come arte che vuole realizzare in sé l’assoluto, allora il critico Todorov ci presenta tre grandi autori: Oscar Wilde, Rainer Maria Rilke e Marina Cvetaeva, protesi, per tutta la loro vita, verso la divina bellezza dell’arte. Essi infatti non si sono solo accontentati di creare opere d’arte sublimi, ma hanno posto la loro intera esistenza al servizio del bello e della perfezione.
Nel saggio, però Todorov, con un’attenta ricostruzione delle loro tragiche vicende, evidenzia come sia stata proprio l’ossessione di migliorare la condizione umana attraverso l’arte, a condurre inevitabilmente alla sconfitta: Wilde ha visto la propria decadenza fisica e psichica, Rilke ha avuto come compagna inseparabile la depressione e la Cvetaeva ha chiuso la vita col suicidio.
Nella lunga e accurata disamina, frequenti sono i richiami al pensiero di Arthur Schopenauer e a quella visione del mondo gnostica e manichea ossia al dualismo dell’opposizione tra mondo reale e mondo ideale, l’uno detestato, l’altro incensato... come se l’artista, privilegiando l’attività creativa, fosse costretto a trascurare altri aspetti della propria esistenza… la vita concreta, le relazioni con gli altri...
Todorov non analizza soltanto le esperienze dolorose dei tre letterati, ma apre anche una finestra sul dibattito circa l'eventualità che il mondo possa realmente essere salvato dalla bellezza. Ma quale bellezza?
Già nell’introduzione l’autore avverte che la parola bellezza assume nel testo un significato ampio, che non sempre corrisponde all’uso comune.
Il termine risponde, piuttosto, alla definizione di quell’ideale di pienezza, di compimento e di perfezione che è possibile rinvenire nelle opere d’arte, poiché esse incarnano il bello del mondo. Dunque l'arte come modello a cui tendere, collocandola al sommo delle attività umane… come aspirazione all’Assoluto.
Ma – l' aspirazione all'assoluto, scrive il Nostro – fa parte della vicenda umana, da sempre, e per una lunghissima fase storica tale aspirazione è stata collettiva. Dapprima, con la religione, l'assoluto si è collocato in cielo. Poi è disceso sulla terra: chiamandosi via via Stato, nazione, partito, uomo nuovo. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, e con la caduta del muro di Berlino, tutto è cambiato. E ora siamo alla ricerca di un assoluto individuale, che peraltro non va confuso con l'assoluto arbitrio. Perché è vero che questa ricerca non è più imposta dall' esterno. Nasce in una società pluralistica, in cui esistono norme tra loro concorrenti,e quindi ognuno la persegue come crede. Ma non si può cancellare l'interdipendenza umana. Siamo animali sociali ed è ben per questo che l'idea di bellezza è connessa a quella di morale. Il punto più alto di tale associazione si ha nell'Idiota di Dostoevskij, in cui il principe Myskin, una variante moderna del personaggio di Gesù, ci indica una bellezza che rimanda alla compassione. Eppure quella figura tanto perfetta va incontro al fallimento. Perché Dostoevskij ci offre un ideale dagli esiti tragici? Io credo che lo scrittore russo affronti questo paradosso per indicarci come l'aspirazione individuale all'idea di bellezza, non possa non fare i conti con l'egoismo, l'invidia, l'avidità che ci circondano. Per quanto santa e perfetta, una figura isolata non riesce a far fronte a tutto questo e incontra la disperazione.
In un altra pagina poi Todorov ricorda che… l’aspirazione alla pienezza e alla realizzazione interiore si trova nell’intimo di ogni essere umano... e non nell’opera d’arte.
Se l’arte per l’arte (tendenza tipica dell’Estetismo e del Decadentismo) non riesce ad appagare il bisogno di “assoluto”, bisogna riflettere – fa intendere il Nostro) – su un'altra forma di arte, sull’arte di vivere, che rimanda all’altra frase di Dostoevskij che si legge ne I Fratelli Karamazov: …la bellezza che salverà il mondo è terribile e paurosa, in quanto in essa coesistono tutte le contraddizioni, il male e il bene sono insite nella bellezza.
Si deduce allora che la bellezza che salverà il mondo potrebbe essere quella che, provocando il conflitto interiore, apre al rinnovamento e alla catarsi, ad uscire dal guscio del proprio io ed aprirsi all’altro.
Più che la bellezza o l’amore a “salvare il mondo” – e senza l’illusione di potere aspirare all’assoluto – saranno allora quegli uomini che compiono nobili azioni e ve ne sono già tanti. Sono missionari, religiosi, volontari, medici che operano all’ombra dell’anonimato e nel quotidiano contatto con la dolorosa esistenza.
Il saggio di Todorov merita, dunque, molta attenzione soprattutto in questo nostro mondo ormai povero di ideali e soffocato dal cieco individualismo.
In un’intervista di alcuni anni addietro il filosofo bulgaro, quasi a corollario della suo pensiero, così si è espresso:
…se non crediamo nell’immortalità del corpo e dell’anima l’unica trascendenza che ci resta è la traccia che lasciamo nella memoria degli altri.
Tanto vale che sia la più bella possibile…
Giuseppina Rando
* Tzvetan Todorov, La bellezza salverà il mondo. Wilde, Rilke, Cvetaeva, Traduzione dal francese di E. Lana, Garzanti, 2010.