Una poetessa che ha segnato il modernismo ispanoamericano.
Arthur Rimbaud del Caribe al femminile.
Liriche struggenti d’un amore sognato
Juana Borrero (1877 – 1896). Poetessa modernista, nata a Puentes Grandes, L’Avana, Cuba. Fu anche una notevole pittrice. Come poetessa, è stata considerata una bambina precoce. Scrisse le sue prime poesie quando aveva soltanto sette anni. Suo padre, Esteban Borrero, fu narratore e poeta, e anche suo fratello, Dulce María Borrero, si distinse nella poesia e nella prosa. Juana crebbe, inoltre, in un ambiente artistico e letterario, tra cenacoli e riunioni intime alle quali partecipavano altri scrittori come i fratelli Carlos Pío e Federico Uhrbach, e Julián del Casal. Juana era molto piccola quando ricevette le prime lezioni di pittura, prima con Dolores Desvernine, e più tardi, nel 1886, nella famosa Accademia delle Belle Arti di san Alejandro, dell’Avana. Studiò anche con Armando Menocal, uno dei più importanti pittori cubani del secolo XIX. Nel 1892 accompagnò suo padre a New York, città dove conobbe José Martí, che in tale occasione, a Chickering Hall, dette una serata in suo onore. In quello stesso anno frequentò la scuola di pittura di Mac Donald, a Washington. Fece ritorno a Cuba l’anno successivo. Sue poesie compaiono nell’antologia Grupo de familia, poesias de los Borrero, pubblicata nel 1895, anno in cui vide la luce anche la sola raccolta edita da Juana Borrero: Rimas. Collaborò con le riviste La Habana Elegante, Gris y Azul e El Figaro. Ha lasciato diverse tele e disegni conservate in gallerie e musei, ma anche un epistolario che è stato pubblicato all’Avana, in due volumi, tra il 1966 e il 1977. Queste lettere ebbero origine dalla relazione amorosa di Juana Borrero con Carlos Pío Uhrbach, contrastata dal padre Esteban, quindi sviluppata nel segreto di lettere clandestine. Nel 1895 i Borrero, in seguito al coinvolgimento di Esteban nella causa rivoluzionaria, si videro costretti a emigrare negli Stati Uniti. Juana morì a Key West, dove si era stabilita la famiglia, il 9 marzo del 1896. Poco prima di morire, e ormai quasi senza forze per scrivere, dettò i versi di quella che sarebbe stata, in effetti, la sua ultima composizione poetica: Última rima. Juana morì pochi mesi prima di compiere diciotto anni, ma può essere considerata – a pieno titolo – una delle figure più affascinanti del modernismo ispanoamericano. Se sino a oggi non ha ottenuto il riconoscimento che merita è solo perché non è stata pubblicata mai fuori di Cuba. Tanto le lettere quanto le poesie sono letture imprescindibili per coloro che si interessano al modernismo ispanoamericano. Sono ritratti importanti per ricostruire la figura della donna e i suoi rapporti con il mondo esterno nel fin-de-siècle latinoamericano. Nel 2005 è uscita un’ottima edizione argentina (StockCero.com) curata da Francisco Morán, che comprende bibliografia, lettere e poesie, accomunate da una colta lettura critica comprensiva di un apparato di note a margine.
PICCOLA ANTOLOGIA DI LIRICHE
Ancora!
Perché così presto, oh mondo, mi offristi
Il tuo veleno amarissimo e letale?...
Perché della mia fanciullezza il giglio aperto
Godi a portare?
Perché quando le tue gale ammiravo
Il mio spirito infantile venne a sfiorare
Del pallido fantasma del disgusto
L’alito glaciale?
I petali di seta dei fiori
Lasciami vedere e gongolante amare,
Nascondimi la spina che pungente
Insieme al calice sta.
Più tardi!... Quando il triste scoramento
senta sul mio spirito calare
E l’anima lugubre o morta abbia affrettato
Il calice del dolore;
Allora che senta della tua beffa il freddo
E del dubbio lo spillone mortale…
Ma lascia che goda dell’infanzia
Nell’ora fugace!
(1891)
Nota: Todavía! (Ancora!), secondo la poetessa cubana Fina García Marruz, dovrebbe essere stato scritto prima del 1890, perché in una lettera a Carlos Pío, Juana afferma: “Devi sapere che la mia fanciullezza fu assai corta... Todavía! lo scrissi prima dei quattordici anni. Avevo già sperimentato qualche tristezza”.
Nostalgia
Ormai perse per sempre lo spirito
La quiete dei suoi giorni di calma
Come perde la sua fiamma una stella,
Come perde un fiore la sua fragranza.
Nel mio petto geme il fastidio
E mi opprime profonda nostalgia;
La bellezza immortale di Natura,
L’inganno felice dell’infanzia,
La memoria di giorni tranquilli,
Il ricordo di felicità passate
Non han potuto colmare un istante
Il vuoto che sento nell’anima.
(1894)
Ti appartengo
Ti appartengo, sono tua
Come lo splendore è dell’astro,
Come il profumo del petalo,
Come l’uccello dello spazio.
Come la tristezza pallida
È dell’anima dei bardi,
Ed è il dolore del destino
Ed è degli occhi il pianto.
Stai dentro di me, condividi
Le mie pene recondite,
Vivi la vita intima
Dei miei desideri nostalgici,
Sei nella mia mente chimera
E singulto tra le mie labbra.
Ma dopo, che tristezza
Mi provoca solo pensarlo!
Dopo le nostre anime tristi
Prenderanno direzioni opposte,
Tu andrai a cercare la tua morta
E io il mio morto dimenticato!...
Dal cimitero tenebroso
nell’architrave solitario
Ci sono due fantasmi insonni
Che ci stanno aspettando!
(1895, data incerta)
Nota: I due fantasmi erano, nel caso di Juana, Julián del Casal, e, per Carlos Pío, una fidanzata che aveva avuto a Mantanzas, morta da qualche tempo. Di questa lirica esiste un’altra versione più lunga.
Amarezza
Soffoca i singhiozzi la mia gola,
Di lacrime si colmano le mie pupille
Che dal petto dolente
La tristezza mi strappa,
L’angoscia infinita
Del mio spirito infermo, la nostalgia,
E il desiderio ardente
Nel quale mi accende sempre la fiamma
Di questa passione così triste e così ardente
Che germogliò nella mia anima
Come fiore malaticcio
Sul bordo d’una rovina solitaria.
(1895 – 1896, data incerta)
Non dimenticarlo mai!
Non dimenticarlo mai! Se non ottengo
Che il mio dolore e le mie preghiere trionfino,
È perché il tuo cuore mi sta ingannando;
Il mio dubbio orribile morirà con te
E anche se mi giuri la tua passione piangendo
Non ci saranno prove poi che mi convincano!
(1896)
Nota: Questi versi - non raccolti nelle edizioni della poesia di Juana - compongono la lettera dell’11 gennaio 1896 a Carlos Pío. Juana scrisse quella lettera con il suo stesso sangue. Juana avrebbe voluto fermare Carlos e dissuaderlo dalla sua volontà di combattere per l libertà di Cuba. Scrisse con inchiostro rosso fuoco, sgorgato dalle sue vene: “La tua patria, o la tua Juana: scegli. Se te ne vai mi perdi”.
Ultima rima
Io ho sognato nelle mie lugubri notti,
Nelle mie notti tristi di pene e lacrime,
Un bacio d’amore impossibile,
Senza sete e fuoco, senza febbre e ardore.
Io non voglio il diletto che snerva,
Il diletto affannato che brucia,
E mi recano disgusto infinito
Le labbra sensuali che baciano e sporcano.
Oh, mio amato! Mio amato impossibile!,
Mio sposo sognato dal dolce sguardo,
Quando tu con le tue labbra mi baci,
Baciami senza fuoco, senza febbre e ardore.
Dammi il bacio sognato nelle mie notti,
Nelle mie notti tristi di pene e lacrime,
Che mi lasci una stella nelle labbra
E un tenue profumo di valeriana nell’anima.
(1896)
Nota: Pubblicata ne El Figaro, anno XI, n.16, 1896, con la nota: «Scritto alcuni giorni prima di morire, in Key West». Ultima rima viene dettata a una delle sorelle, perché la giovane poetessa moribonda non ha più la forza di tenere penna e carta tra le mani. La poesia è dedicata al suo amore epistolare, il poeta Carlos Pío, al quale in una lettera si rivolge con identiche parole in prosa: «Dammi il bacio sognato, il bacio puro e tranquillo, appassionato, soave. Il bacio casto, il bacio senza febbre, il bacio interminabile come quello che congiunse le nostre anime. Oh, dammi il bacio sognato!» Molte sono le lettere scritte su questo tono: «Ti avrei baciato dolcemente, senza febbre, senza spasmi. Ti avrei dato il bacio interminabile che commuove ma non sconvolge né infiamma. Il bacio astrale. Il bacio-sogno».