L’attentato alla moschea di Quebec city non solo ha fatto il giro del mondo, ma è stata occasione per alcuni media di rilanciare le loro opinioni con analisi del tipo “il fallimento del modello canadese di integrazione”. Proprio quando il premier Justin Trudeau, a fronte delle iniziative di esclusione dei migranti del presidente Usa Donald Trump, aveva rilanciato la politica canadese di accoglienza che, ogni anno, vede entrare in questo Paese 300.000 persone che fuggono da fame e guerre. Basta l’iniziativa di una persona (al momento non si sa se con lui ci sia un gruppo consenziente) per far naufragare la politica di un Paese? Per noi no. La storia ci racconta di tanti episodi che singolarmente avevano portato nel tempo a distruggere speranze e politiche… ma è una storia di un mondo diverso che non c’è più, perché oggi la universalizzazione non è appannaggio di quattro disperati che magari parlano esperanto fra di loro, ma una realtà economica e politica con risultati visibili ed entusiasmanti sotto gli occhi di tutti (pur se con diverse spine). E allora, cosa accade? Sono alcuni media che confondono le loro necessità di scoop e sensazionalismo (fini a se stessi e incoscienti, in questo caso) per la realtà. Chi vive e osserva e partecipa col Canada alla sua esperienza attuale (e anche passata), sa che non sarà mai un fatto del genere a bloccare le sue politiche futuriste e futuribili in ambito umano, economico e sociale.
E allora, come reagire?
Non certo come hanno fatto nella nostra capitale. “Bello Figo Roma non ti vuole” e una manifestazione di protesta di un gruppo di estrema destra Azione Frontale hanno portato gli organizzatori di un concerto del rapper di origini ghanesi che oggi è molto seguito ad annullarlo: «...è necessario salvaguardare lo spirito che guida la programmazione del nostro locale,... ludico e non... violenza», per «...tutelare la sicurezza di ogni persona interessata e di chiunque quella sera si trovasse nei paraggi». Anche qui, la responsabilità di un certo modo di dare rilievo mediatico ad alcuni episodi, potrebbe portare ad identificare la città di Roma -come già per il Canada- come un “covo” di xenofobi che riescono ad avere la meglio.
Del resto -potrebbe essere un tipico ragionamento dei media che hanno contribuito a questo tipo di rilevo romano e canadese- non c’è la gente che vota Trump o la Brexit, che non vuole gli immigrati a casa propria; non ci sono gli alfieri di questa politica in Italia che hanno tutti i giorni un’esposizione mediatica notevole? Quindi, nella matematica della cosiddetta opinione pubblica, alcuni romani anti-rapper, un canadese stragista, xenofobi nostrani, tutti rinfocolati dalla maggioranza Usa che ha votato Trump e quella britannica la Brexit, sono una sorta di carta dominante verso la quale indirizzare l’attenzione.
Non è un caso, per fare un esempio locale, che queste tendenze mediatiche e -conseguentemente- politiche, si trovano tra coloro che, nella città di Firenze, per la costruzione di una moschea vorrebbero che si facesse un referendum… come se i diritti degli individui previsti in Costituzione e non solo (quello di manifestazione religiosa, nella fattispecie) dovessero essere decisi da una maggioranza di elettori.
Tutto questo condito, ovviamente, da giustificazioni democratiche, che vedrebbero le maggioranze risultare sempre vincenti, qualunque cosa esse abbiano deciso. Val la pena di ricordare che il partito nazista, nella prima metà del secolo scorso, era maggioranza in Germania, così come il partito nazional fascista nello stesso periodo in Italia ed oggi -per esempio- il governo del presidente Rodrigo Duterte nelle Filippine.
Queste esperienze storiche e attuali ci insegnano qualcosa? E soprattutto perché non vengono valutate da quei media che contribuiscono a formare la sempre cosiddetta opinione pubblica, basandosi solo sull’aspetto truce? Forse perché la sostanza, la radicalità, l’osservazione serena e attenta fanno vendere meno? E -ecco qui la nostra domanda- siamo sicuri che per stare bene bisogna vendere e incassare, come se tutto fosse denaro, cioè incolore e inodore? Non è che il necessario denaro (e tutti i sistemi per procacciarlo fine a stesso e non come strumento), ha esautorato la vita? Certo, questo lo dice anche papa Bergoglio… Ma noi non facciamo appello all’amore e alla fede -come Francesco I- ma ai contratti che legano gli individui e questi ultimi con le istituzioni.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc