Allora li avete sentiti? Tutti, eh! Da Giovanardi in giù (o in su, fate un po’ voi…). Ma anche in trasmissioni solitamente attente e documentate come “Otto e mezzo” de La7 – e l’altra sera c’era nientepopodimeno che il capo dell’ufficio legislativo non ricordo più se del ministero della Famiglia o degli Affari sociali, ma fa lo stesso. Tutti, dico tutti, che indicano l’articolo 29 della Costituzione come potente barriera che ostacolerebbe il matrimonio omosessuale. – Sì, avete capito bene, matrimonio non “unione civile” o che dir si voglia.
Ebbene, ma che dice ‘sto benedetto articolo 29? Vediamo.
Art. 29. La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare.
I nostri espertoni politici trovano in quell’aggettivo, «naturale», la ragione del loro (libero) interpretare, che acquieta le loro coscienze, e su quel solo aggettivo, universalmente calzato a mo’ di paraocchi, fingono di discutere, si dividono e accapigliano, sul da farsi.
Ma è proprio così? Senza scomodare biologi o altri scienziati, a me pare che letteralmente quell’aggettivo indichi l’esatto contrario di quel che tutti fingono d’intendere. Che infatti, e peraltro non soltanto per la specie animale alla quale apparteniamo, la relazione omosessuale sia naturale quanto quella etero è piuttosto fuor di discussione. (E per quanti ritengono la natura corrispondere al creato… discendono conseguenze piuttosto interessanti, con buona pace di papi e cardinali – ma questo è un altro discorso e che ci porterebbe troppo lontano).
I nostri padri costituenti erano dunque ben più avveduti dei loro scombinati pronipoti. A maggior ragione se consideriamo il termine, «coniugi», usato - con perfetta e lineare coerenza - nel secondo comma.
Ma allora, diversamente che in Spagna, dove in costituzione erano indicati i sostantivi di “uomo” e “donna” (o moglie e marito, ora non ricordo esattamente, ma la sostanza non cambia), una scelta come quella spagnola non necessiterebbe, in Italia, nemmeno di una legge costituzionale? Ebbene sì! Vi parrà strano, ma è proprio così. Voi approfondite, ragionate etc. etc. ma questa è la conclusione.
E allora? Da dove derivano scandalo e tanto clamore per questi trucidi “attentatori” alla famiglia? Chi dà tanto valore al matrimonio (e stiamo parlando qui, ovviamente e beninteso, dell’istituto civile e non di sacramenti) non dovrebbe esser lieto che anche altri, finora ingiustamente esclusi, siano giunti a dargliene?
Poi, ma questo dovrebbe essere scontato, a chi scelga altre forme di unione spettano equi diritti/doveri com’è già (irreversibilmente, oso prevedere) nel diritto positivo europeo.
Enea Sansi