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Milano. Storia di una rinascita a Palazzo Morando 
di Mauro Raimondi
16 Gennaio 2017
 

Solo dieci anni di Storia su più di duemila.

Ma decisivi per la città in cui viviamo ora.

Questo, il senso della mostra Milano, storia di una rinascita. 1943-1953” che ogni milanese (e non solo) dovrebbe assolutamente vedere a Palazzo Morando, in via S. Andrea 6, entro il prossimo 12 febbraio, quando chiuderà i battenti.

1943-1953: questo il decennio preso in considerazione attraverso foto e oggetti d’epoca che ci accompagnano dal secondo grande bombardamento di Milano, quello del 14 febbraio 1943, fino all’approvazione del Piano Regolatore del 1953.

Tra questi due vertici, otto sale che prima ci mostrano l’orrore presente in una città martoriata dalle bombe angloamericane e dalle violenze nazifasciste (Villa Triste, i martiri di piazzale Loreto del 10 agosto 1944), poi il suo ritorno a una vita normale. Anzi, a una vita da capitale economica, con i suoi frigoriferi (prodotti dalla Breda) e le prime televisioni (della Magneti Marelli) anticipatrici dell’imminente boom. Ma anche da capitale culturale, come testimoniano le tre grandi mostre del dopoguerra – Caravaggio, Van Gogh, Picasso – e della modernità, come testimonia la poltrona Lady di Marco Zanuso con il suo innovativo design.

La mostra ci accoglie con un paracadute, un generatore di energia e una sirena che simboleggiano la devastazione dei bombardamenti subiti da Milano. Come quello del febbraio 1943 che provocò i primi massicci sfollamenti. Per aiutare la città in fiamme i Vigili del Fuoco arrivarono persino da Bologna. E nonostante il Corriere della Sera inserisse la notizia solo in seconda pagina, citando la “virile fermezza del popolo di Milano”, da quel giorno le scuole vennero chiuse e le prime mense pubbliche istituite (in aggiunta ai più cari ristoranti di guerra). Ma la rabbia di molti milanesi nei confronti del regime sarebbe sfociata da lì a poco, a marzo, con il primo, coraggioso sciopero nelle fabbriche.

Era cominciata la coventrizzazione di Milano. Come si vede nelle due sale seguenti, che mostrano le distruzioni dei successivi bombardamenti, da quelli di agosto (“Milano, agosto 1943”, la poesia di Quasimodo che sintetizza questo avvenimento andrebbe letta obbligatoriamente in tutte le scuole) fino al tristemente famoso 20 ottobre 1944 con la strage di Gorla, ricordata (solo) in un pannello.

Monumenti, industrie (per ognuna il servizio segreto britannico aveva una scheda), palazzi: a Milano nulla venne risparmiato. Anche perché l’obiettivo dei quattro bombardamenti di agosto (per cui vennero impiegati 916 aerei e gettate 2.600 tonnellate di bombe) era creare una “tempesta di fuoco”, cioè l’espandersi degli incendi di casa in casa fino alla totale distruzione della città, come era accaduto in Germania. Per fortuna, però, le costruzioni di Milano erano di mattoni, cemento e non di legno, ed il classico caldo umido dell’estate meneghina non fece circolare l’aria impedendo la contaminazione.

Fu anche per merito di Gino Chierici, Sovrintendente ai Beni artistici di Milano che già dal 1939 aveva stilato un piano per preservare i monumenti, che qualcosa si salvò.

In qualche caso miracolosamente, come il Cenacolo o il Duomo, solo scheggiato dai colpi alleati. Ma lo sfacelo era tale che i milanesi, la mattina, andavano in pellegrinaggio per vedere quale monumento si era salvato. Restando sgomenti davanti all’Ospedale Maggiore, a Palazzo Marino o a quella Scala che, con il concerto di Toscanini dell’11 maggio 1946, sarebbe diventata uno dei simboli della Rinascita.

La “sala delle biciclette” mostra alcuni esemplari di un mezzo di trasporto che era diventato fondamentale, in città. Il suo costo corrispondeva a quattro volte (minimo) il salario di un operaio, e il riferimento al (posteriore) film di De Sica viene spontaneo. Le mense (le calorie a disposizione scesero da 2.500 a 848), i rifugi sul sagrato del Duomo o nelle fabbriche, i luoghi delle torture nazifasciste presentano la vita quotidiana dei milanesi dal ‘43 al ‘45: chi poteva sfollava (come si vede in alcune, toccanti, foto), chi non poteva coesisteva col terrore. E con il maledetto Pippo, l’aereo isolato che compariva all’improvviso facendo “caccia libera” e colpendo tutto quello che si muoveva.

L’ultima sala dedicata al periodo di guerra dovrebbe essere intitolata al Direttore dei Civici Musei d’Arte, Costantino Baroni, che cercò di salvare i Palazzi storici colpiti. Nonostante i suoi sforzi, su 115 edifici tutelati ben 54 vennero demoliti a fronte di una sola decina veramente inutilizzabili. La speculazione iniziava a mettere radici, in qualche caso con la connivenza di autorità e famiglie nobili, che preferivano radere al suolo i loro edifici per guadagnare sul prezzo dei terreni piuttosto che ristrutturare. Del resto, come ha scritto Piero Bottoni: “Mai nella storia della nostra città si sono offerte occasioni così (tragicamente) favorevoli come quelle che le distruzioni di guerra avevano portato. E pure la ricostruzione, basata esclusivamente su scopi speculativi, ha ripetuto, ingigantendoli, tutti gli errori delle architetture precedenti”.

Ed è proprio alla rinascita di Milano che sono dedicati gli ultimi tre, luminosi, spazi della mostra. La Fiera, la Rai, le industrie di nuovo al lavoro. Ma anche il Vigorelli, il Gran Premio automobilistico di Milano (la pista di Monza era fuori uso) del 7 settembre 1947 presentano la voglia di vivere dei milanesi, come nell’immortale poesia di Franco Loi contenuta ne L’Angel che inizia con Che dì, ragassi! In depertutt, balera!

Certo, il pannello dedicato all’efferato omicidio di Rina Fort e le foto dei ragazzi che giocano in strada con la povertà in faccia ci dicono che non sarebbe stato tutto oro, quello che sarebbe luccicato: ma almeno la guerra era dietro le spalle…

La penultima sala, sicuramente cara agli architetti, espone le nuove costruzioni dei primi anni ’50, dal celebre QT8 all’Harar (a fianco dello stadio di San Siro), dalla rinata Rinascente (ma sul pannello non si dice del disgusto di buona parte dei milanesi di fronte alla sua ricostruzione) a quella Torre Breda che con i suoi 177 metri superò, ancor prima del grattacielo Pirelli, l’amata Madonnina del Duomo.

Mentre quella che chiude la mostra, oltre agli oggetti di consumo e design già citati, ci mostra le foto delle inconsuete reazioni dei milanesi di fronte alle opere di Picasso. La cui Guernica, allora esposta nella devastata Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, chiude il percorso insieme alle immagini dei nuovi musei – come quello della Scienza e della Tecnica – che riportarono ossigeno a Milano.

Perché la cultura, si sa, è vita.

Saludi


 
 
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