Patrizia Garofalo non è un’esordiente, il suo primo libro è del 1986 e merita di essere ricordato anche l’avvallo di Giorgio Caproni, che esortò l’autrice a pubblicarlo e ne scrisse la prefazione. L’editore Eugenio Rebecchi parla nella sua nota introduttiva di “passione civile e convinta”, di “immagini dure e forti” che conservano però un “gusto elegante e raffinato”. A confermarlo basterebbe il testo d’apertura che, nel rivolgersi ad un figlio, sembra alludere ad uno stupro, fisico o simbolico: «quando mi stesi nel legno della baracca / sentii il seme entrarmi dentro / caldo / strinsi le gambe / ché neanche una goccia ne uscisse / e ti partorii / per una terra promessa».
Un rapporto con la realtà emblematico, sospeso a metà tra violenza e speranza, tra sopraffazione e (ri)nascita. Decisamente più le prime che le seconde, però sono poesie che dicono di mani «che volevano proteggere almeno il core / ché morisse intero», di una «roulette russa» che «sapeva di gulag», di parole che «rantolano» e poi ancora, in rapida ricognizione, «gorgo d’odio», «corpi lacerati», «nidi fucilati», «gorgoglii di sangue», «corpi sventrati», «radice bruciata», «parascenio vuoto», «dolore consueto», «girotondo senza mani», «appesantiti sudari», «abissi colmi fino all’orlo».
Sono gli ingredienti della «logorata trama del nostro niente», di un «inferno di viventi» su una terra «impastata più di morti che di vivi», con la pelle non «non bruciata / non ustionata / ma non salva». La stessa parola di Dio contiene in sé «la crocifissione, la fuga, l’esilio» e dunque «da Damasco ebbe inizio Auschwitz», perché la vita si svolge tutta «nell’ambigua ora del non-senso», in una ricerca di vie di fuga che ha il sapore della disperazione: «mai tanto deserto / confuse le rotte dell’esodo» e, se si scelgono invece le vie dell’acqua, «il mare si tinge di mattanza».
Paesaggi i cui elementi potrebbero essere lirici si rivelano invece trappole, in un senso continuo di provvisorietà e di partenza, in un esilio perpetuo che «s’abbevera di sabbia, sassi e sangue».
Vi è, in tutto il libro, un unico momento disteso, splendido ma, appunto, a se stante: «Notti stellate da incendi / sparigliano il gioco del cielo // il vento respira / sui tuoi occhi / e spettina le parole». Per l resto «fiaccati dal peso del cielo / rovinano a terra / anche gli aquiloni»: la luce arrampica e «cerca il respiro del cielo» ma sempre nell’orrore del «fine-pena mai».
Qualche immagine più lirica, più enigmatica o semplicemente più pacata («la riva è il perimetro / del nostro dirci / nelle lenzuola d’acqua», «affidiamo al silenzio / un supplemento d’anima») non basta a riequilibrare i piatti di una visione cupa, sia pur non dissennata ma lucida e coerente: siamo «girasoli di mare / senza rifugio / radicati negli abissi / il buio dei fondali / trattiene gli ultimi fiati / in asfissia di luce».
Riemergere sembra un’impresa e, quel che è peggio, forse è un’impresa senza senso, e la realtà è davvero quella che questo libro sembra suggerire. Oppure no?
Stefano Valentini
(da La Nuova Tribuna Letteraria, Anno XXVI, n. 124, pagg. 56-57)
Stefano Valentini è il direttore responsabile della rivista La Nuova Tribuna Letteraria (Periodico di Lettere e Arte), Venilia Editrice, Lozzo Atesino (PD), nuovatribuna@yahoo.it, www.venilia.it
Patrizia Garofalo, Girasoli di Mare
Blu di Prussia, 2016, pp. 64, € 10,00
(La raccolta è in vendita anche presso
LABOS Editrice in Morbegno, Via Fontana, 11)