Approfitto a volte dello spazio di questa rubrica, per presentare film interessanti, ma “clandestini”, che sembrerebbero destinati a una distribuzione nelle sale marginale; nell'auspicio che possano trovare quella diffusione più ampia che meriterebbero.
È stato presentato in anteprima a Roma, sotto gli auspici del regista Gianni Amelio, che lo ha introdotto ed esaltato, un film indipendente, a firma di due autori, Mariangela Barbanente e Antonio Palumbo, intitotolato: Varichina. La vera storia della falsa vita di Lorenzo De Santis.
È un film ispirato alla persona, realmente esistita, appunto di Lorenzo De Santis, detto Varichina, perché, nella Bari degli anni Settanta, ancora bambino, trasportava su un carretto dei flaconi di detersivo, per la vendita porta a porta.
Si tratta di una figura marginale – anzi, a tutti gli effetti di un emarginato – ma anche tipica. Era una di quelle persone omosessuali, che recitano ostentatamente il loro ruolo, secondo i clichés imperanti; e per questo oggetto di attrazione, di fascino inconfessato, agli occhi della comunità razzista e bigotta in cui si trovavano (o si trovano) a vivere; e allo stesso tempo, bersaglio di pubblico disprezzo.
Come si racconta nel film, chiunque si riteneva in diritto di insultare Varichina, quando non di picchiarlo; quegli insulti e quelle aggressioni erano anzi la valvola di sfogo delle frustrazione che serpeggiavano, in particolare, nel quartiere periferico di Bari, il quartiere Libertà, in cui Varichina viveva. Ma allo stesso tempo egli era a volte ricercato per amplessi clandestini da coloro stessi che lo insultavano, a patto naturalmente che di quegli amori non trapelasse notizia nel quartiere.
Il film, che prende spunto da un articolo di un giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno, Alberto Selvaggi, non è propriamente un documentario. Il protagonista, morto ai primi anni del Duemila, è interpretato, molto bene, dall'attore Totò Onnis. Mentre il film è costellato di testimonianze di concittadini che hanno davvero conosciuto Varichina. Si tratta insomma di un singolare connubio tra un film di finzione e un documentario.
Ma questa forma un po' sperimentale del film, non costituisce alcun ostacolo all'immedesimazione dello spettatore nel personaggio raccontato, grazie certo alla profonda empatia che gli autori hanno stabilito con quel personaggio.
Varichina poteva essere soltanto una macchietta folkloristica, o una figurina patetica, considerando in particolare gli amori infelici che hanno costellato la sua vita.
E invece il personaggio nel film acquista una dimensione ulteriore, politica, che gli dà significato e spessore. E deriva proprio dal rapporto tra lui e la società intorno a lui.
Le invettive, in dialetto pugliese, che scaglia contro chi lo insulta; quella rabbia che agli occhi dei persecutori doveva risultare comica e magari li istigava ad offenderlo ancora più velenosamente; le movenze provocatoriamente effeminate con cui passeggiava per Bari; i numeri di varietà, anche osceni, con cui si esibiva in teatro ma anche sulla pubblica piazza (esercitava il mestiere di parcheggiatore abusivo); questo complesso di atteggiamenti esprimeva in effetti, una privata, solitaria, disperata rivolta (in una battuta chiave del film si dice che Varichina, per tanti anni, ha celebrato il Gay Pride da solo!). Era in fondo il suo grido, magari sgraziato, ingenuo, rozzo, ma con il quale non si può che solidarizzare, perché provocato da una comunità perbenista, ipocrita, ignorante e scioccamente crudele.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 14 gennaio 2017
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