Educazione, educare, far crescere,… richiama l’infanzia che ne è il soggetto e l’oggetto principale.
La Convenzione dei diritti del bambino, siglata nel 1989 e condivisa da 191 paesi nel mondo, precisa il diritto all’educazione con l’obbligatorietà e gratuità dell’insegnamento primario obbligatorio, la facilitazione e l’orientamento per l’accesso al resto dell’istruzione, con l’informazione diffusa perché ogni bambino o ragazzo possa accedere ai gradi di scuola in funzione delle proprie capacità.
Nelle società occidentali gli stati si occupano di educazione e formazione, con differenze anche notevoli, ma è comunque compito dello stato il percorso di istruzione e formazione dei suoi cittadini.
In Italia, alcuni settori scolastici sono delegati alle regioni, in virtù della riforma della costituzione, ma sempre dentro un sistema formativo integrato che vede compartecipare la scuola statale con la paritaria, oltre alla privata.
In tutte le comunità, anche le più primitive, in termini di mezzi e conoscenze, gli adulti hanno sempre allevato le nuove generazioni attraverso l’imitazione. Il piccolo cresceva imparando a ripetere ruoli e mansioni dei grandi perché ci fosse il passaggio del patrimonio di acquisizioni accumulato negli anni e non si disperdessero valori, abilità, tradizioni tanto faticosamente conseguiti. L’abbandono dell’infanzia era segnato in alcuni popoli da rituali specifici. Alla base c’era la condivisione di una filosofia di vita e il rispetto del mondo adulto come depositario del sapere. In questo caso il sapere è l’insieme del patrimonio comunitario.
La scuola è nata per rispondere al bisogno di conservazione di questo sapere e di trasmissione alle nuove generazioni.
L’idea di trasmettere il sapere come compito prioritario della scuola è sopravvissuta nei secoli, salvo alcune dissonanze nella storia del pensiero pedagogico. Non ci si poneva il dubbio che l’alunno potesse pensare o essere parte attiva nella costruzione della conoscenza. Il maestro, depositario del sapere, trasmetteva le sue conoscenze e l’alunno doveva impararle e ripeterle.
Su questo modello gentiliano si è retta la nostra scuola, salvo alcune eccezioni, fino agli anni '70 e si regge ancora: quando il programma è una lista di contenuti da imparare vige lo stesso modello!
Ma il ruolo del discente è talmente fondamentale che senza il coinvolgimento attivo, senza la motivazione del soggetto in apprendimento si rischia di far naufragare tutto un percorso di insegnamento.
La scuola si è interrogata molto, soprattutto la scuola di base, a partire da quella d’infanzia, e, alla luce delle nuove teorie della mente e dello sviluppo emotivo, ha optato per un percorso attivo visto che, comunque, bambini e ragazzi coinvolti e motivati imparano più facilmente, accettano compiti e responsabilità e apprendono anche a vivere crescendo con gli altri. La valenza sociale della scuola diventa trampolino di lancio per formare, allora, ragazzi curiosi e attivi oggi che diventeranno cittadini attenti e solidali domani all’interno delle loro comunità di vita, dove porteranno il loro contributo responsabile.
Grande ruolo ha dunque la scuola, se se lo vuole assumere!
Ruolo che, spesso, viene delegato da una società disattenta che non trova di meglio che rifilare nelle aule scolastiche i tentativi di soluzione ai problemi sociali soprattutto giovanili: dalla prevenzione delle tossicodipendenze o dell’alcolismo, al problema alimentare, all’educazione sessuale, al patentino per l’uso della moto ed educazione stradale, al rispetto per l’ambiente,…
E quando succede un disastro inspiegabile e i ragazzi si uccidono sulle strade oppure sono vittime di compagni o di omicidi molti interrogano la scuola, quasi fosse l’unica responsabile della moralità, dell’educazione, del comportamento di questi nostri figli.
I ragazzi di oggi saranno i cittadini che domani voteranno, decideranno, faranno figli e, a loro volta, li alleveranno. Ma se loro non hanno avuto un percorso educativo di crescita adeguato quali saranno gli esiti?
A chi spetta l’educazione oggi? Le riflessioni tenteranno di dare una risposta a un quesito credo importante, forse fondamentale per la sopravvivenza futura.
Fausta Svanella