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Lidia Menapace. Rivoluzione: quale?
05 Gennaio 2017
 

Ho scritto “culturale” e mantengo questa definizione, alla quale però vorrei premettere ancora alcune considerazioni sulla “rivoluzione” in quanto tale. Uso il termine nel senso che ha nella tradizione politica marxiana, che ritengo tuttora insuperata su questo punto e perfettamente costituzionale, dato che chi era d'accordo con questo uso è uno dei firmatari della Costituzione, cioè Terracini (comunista).

 

 Diciamo dunque che rivoluzione è un “movimento reale” (non una pura affermazione di pensiero, ma una “pratica”) che “muta” lo stato di cose presenti: qui importante è il verbo MUTARE, che non significa cambiare riformare aggiustare ecc.: significa introdurre una “mutazione”, che non è reversibile, come quando il termine si usa in biologia. La “stazione eretta” fu una rivoluzione, perché da quando un maschio o una femmina della specie umana incominciarono a camminare in piedi, un maschio o una femmina della specie umana possono ridiventare rozzo/a selvaggio/a o ignorante, ma non ridiventa né quadrupede, né quadrumane, resta bipede con stazione eretta.

Nella storia della specie umana con i due suoi generi vi sono state mutazioni, la storia sembra avanzare attraverso sistemi di vita comuni, che eseguono per un periodo più o meno lungo attività lavori linguaggi di un tipo, ma quando la cultura di un dato periodo non serve più, cade nell'oblio, viene “mutata” in una nuova. La storia ci ha lasciato alcuni esempi di ciò, che sono stati e sono oggetti di studio catalogazione definizione. Ma quando si è arrivati a una “Mutazione” il tentativo di ripristinare ciò che vi era prima non riesce, ad esempio il ripristino del paganesimo con Teodosio.

Il sistema che viene chiamato “capitalismo” è incorso in una crisi, analizzata da molti studiosi ed esperti, che la definiscono “strutturale”, cioè che non riguarda particolari riformabili correggibili ecc., ma il meccanismo profondo del sistema; è pure “globale” e non è limitata ad alcuni paesi; e secondo alcuni e alcune tra i e le quali mi colloco, essa è pure “finale”, cioè è collocata ormai in condizione di non riformabilità. Il riformismo una delle più importanti politiche attraverso le quali la classe operaia attraverso lotte è riuscita ad ottenere il livello massimo possibile di agibilità politica in un sistema che le è ostile, è oggi in crisi non reversibile. E pensare di lasciare che la crisi evolva nella sua spontaneità uscendo dal capitalismo, non ha fondamento. La questione fu studiata da Rosa Luxemburg che dimostra che se non si avvia l'alternativa, che lei chiamava “socialismo”, viene la catastrofe: “socialismo o barbarie”. Non occorrono altre parole: tutte e tutti possiamo testimoniare che di socialismo non si intravvede nemmeno l'ombra, ma la barbarie cresce tra noi visibilmente.

 

Che fare? come avviare una alternativa, cioè un inizio di pratica rivoluzionaria? se si parte dall'assaltare le fabbriche e abbatterle come causa di crescente disagio ingiustizia povertà, si viene repressi/e con l'approvazione delle masse, dato che la pratica violenta appare incapace se non di ripetere se stessa sempre crescendo fino all'atomica. Non è rivoluzionaria, bensì è involuzione regresso ripetizione. Provo a proporre che cerchiamo di mutare quanto nella pratica di vita è fatto di comportamenti antagonisti a quelli dello stato di cose presenti: se i e le più esercitano il loro egoismo senza freni, una pratica di generosità è antagonista; se i e le più tengono casa propria come una fortezza, l'ospitalità è un comportamento antagonistico; se la velocità è sbandierata come progresso, la misura del tempo fatta con riguardo ai tipi di desiderio e forza fisica di tutti e tutte, è un comportamento antagonistico. Chiamo il complesso di scelte di questo genere “Rivoluzione culturale” o “dei comportamenti”. E osservo che questa pratica è sempre in qualche forma e dimensione possibile, purché si vigili a che non si scenda sotto il livello di una buona democrazia media. È possibile: avanti, dunque!

 

Lidia Menapace


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