Il riformismo è stato la più importante politica di sinistra per tutto il periodo detto “tra le due guerre” mondiali, ma da quando si ripresentò, per la seconda volta nella sua plurisecolare esistenza, una crisi strutturale del capitalismo (dopo quella del 1929, cui si rimediò riformisticamente col Keynesismo) siamo finora senza una ipotesi di uscita da data crisi: chi pensa che se ne può uscire per via riformistica e/o riformatrice, per dire con grandi riforme, deve spiegare come; e chi pensa che non si può uscire per via né piccoloriformista, né riformatrice da essa, deve dire che cosa si può fare invece delle riforme. Già a Rosa Luxemburg che si accorse ben presto dei limiti della rivoluzione d'ottobre, la domanda si presentò, ma non fece a tempo ad approfondire la risposta, perché fu uccisa nel 1918 da un Kommando di ufficiali prussiani, in carcere, dove si trovava reclusa: abbiamo solo un rapido appunto su che cosa sarà la rivoluzione, che dice: la rivoluzione sarà uno sciopero generale ad oltranza nel corso del quale le masse costruiscono la nuova società. Bisogna cercar di capire che cosa intendesse quella straordinaria teorica di economia e di politica. Nel mio piccolo ho da tempo cercato di capire e vi rifilo i miei pensamenti perché possibilmente non diciate sciocchezze sulle donne più brave, intelligenti, generose, ma semplicemente maggioritarie.
Per tornare a Rosa, ricordo che era convinta che il massimo di agibilità politica che la classe operaia poteva raggiungere entro un sistema capitalistico era il contratto nazionale di lavoro e il diritto di sciopero. Queste modeste informazioni fanno capire che cosa volesse dire nel citato appunto. Preparare scioperi su tutto, riprenderli ad oltranza e intanto (qui è la massima portata teorica dello scarno appunto) cominciare a costruire da parte delle masse la “nuova società”, non il nuovo stato. Infatti Rosa, come del resto Marx, pensava che lo Stato fosse la massima forma di violenza legittimata (la violenza legittima dello stato si chiama forza: “Forze dell'ordine, Forze armate”) e che lo stato dovesse “deperire” se si vuole poter fare il salto rivoluzionario, cioè “mutare” lo stato di cose presenti.
Sono convinta che ci troviamo qui e non intendo lasciarmi coinvolgere in pettegolezzi su particolari miopi, ciao grazie, il seguito alla prossima: sulla rivoluzione culturale.
Lidia Menapace