Come una stanza dopo la festa notturna,
le sedie mezzo rovesciate,
qualche bicchiere scordato in un angolo
e sigarette fumate a metà
[tra una musica e l’altra,
la città sta.
Le antiche mura decapitate piangono un’ombra diversa
[sulle Rimembranze,
i palazzi cinti d’assedio pesano
come malati sulle gambe malferme,
la piazza vuota di voci e senza sbocchi,
la chiesa obliqua senza preghiere.
Fra pochi giorni l’anno è compiuto.
San Ginesio è una bestiola presa nel laccio,
col cuore impaurito, il fiato sospeso.
Dondola a mezz’aria come un lanternino
sotto un arco di porta rimasto dov’era.
Una calma primitiva e senza tempo s’è presa gli usci
delle case che poche finestre hanno vestite a festa.
Uomini passeggiano lenti sui tetti squassati
invece dei gatti, pure loro spariti,
come i piccioni dalle cimase,
la gente dalle strade e dai bar,
le voci dalle stanze,
il tintinnio di piatti e stoviglie dalle tavole apparecchiate.
Fra poco le ombre si allungano
e pure gli uomini spariscono dai tetti.
Peccato mortale e illusione ridicola è il credersi eterni.
Enrico Crucianelli