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Virgilio Piñera. Il ballo (1944)
31 Dicembre 2016
 

La governatrice aveva letto la recensione di un gran ballo di gala, celebrato giusto un secolo fa, ed ebbe il vivo desiderio di riprodurlo in quegli stessi saloni. Ma la cosa non era così facile come sembrava; nonostante le risorse della governatrice, esisteva un punto del problema ballo abbastanza oscuro e difficile; un punto che si presentava proprio come una piccola chiave capace di dare accesso ad ampie dipendenze di una grande dimora. Si commise una piccola imprudenza: si annunciò ufficialmente, a tutti, il ballo. I giorni passavano e la governatrice non riusciva a capire la natura del punto menzionato. La cosa stava in questi termini: la lettura della recensione proponeva l’approccio e la risoluzione delle sette seguenti fasi:

Prima: il ballo come fu presentato realmente un secolo fa.

Seconda: il ballo recensito dal cronista dell’epoca.

Terza: il ballo che la governatrice immagina come fosse secondo la recensione del cronista.

Quarta: il ballo che la governatrice immagina come fu senza la recensione del cronista.

Quinta: il ballo come lei immagina di dare.

Sesta: il ballo come si dà realmente.

Settima. il ballo che può essere portato a compimento utilizzando il ricordo del ballo come si dà realmente.

Quindi la governatrice aveva davanti a sé sette possibili balli. Certo, lei avrebbe potuto non curarsi del problema e presentare regolarmente un ballo come usano fare le signore del suo alto rango sociale. Ma la governatrice, era profondamente femminile, e aveva i suoi scrupoli. Questo creò un particolare scompiglio: per esempio, non tanto l’evento ballo, ma un altro di diversa natura: una passeggiata, lo sventolarsi languidamente in una sedia a dondolo, si caricavano di tale nervosismo, proponevano tante interpretazioni, potevano presentare contemporaneamente tante altre versioni, che un visibile malessere quasi metafisico si diffuse per il paese. Chiaro, le gente che come siamo soliti dire non possiede due etti di cervello, la massa anonima, non andava tenuta di conto, anche se con il suo abituale e magnifico istinto cominciò a mormorare che l’aristocrazia di K. era indemoniata. Da parte sua, la governatrice cominciò a pensare in modo meno usuale; dopo tutto, perché rimproverarsi, se nel suo intimo continuava senza sosta a divorarsi il fegato. Forse, per tale circostanza la governatrice stava assumendo un colore che oscillava tra il rosso cardinalizio e il viola vescovile. Tutto ciò era quel che lei definiva le sue fasi interessanti, e quindi – diceva – lavorava con determinazione. Così ordinò che l’aristocrazia di K. si riunisse periodicamente nel palazzo del governatore al fine di speculare, niente più che speculare, intorno alla terribile circostanza rappresentata dalla possibilità di… A questo punto il testo dell’editto concludeva con interminabili punti di sospensione e fastidiosi eccetera.

Era solo un preludio che anticipava il carattere della soirée metafisica. Restava categoricamente proibito alludere a un ballo celebrato giusto un secolo fa. No, lì si andava niente più che a speculare sulla terribile circostanza che è rappresentata dalla possibilità di… eccetera, eccetera. A qualunque spirito, per metodico e sistematico che fosse, sarebbe accaduto quel che cominciava a succedere a quella gente: con il decorso delle soirées metafisiche, le speculazioni formarono un inestricabile tessuto nel quale ogni punto d’ago era di natura diversa da quello che l’aveva immediatamente preceduto. Per esempio, se nella soirée di ieri si era speculato in merito alla malinconia che emanavano i fiori fissati alla cintura di una signora che aveva potuto assistere a un ballo e la cui malinconia avrebbe potuto scaturire dalla probabilità conferita dalla problematica assistenza di un cronista che avrebbe potuto recensirla molto bene, nella soirée di oggi ormai si speculava sulla speciale conformazione che poteva assumere la malinconia di una signora dall’esistenza immaginaria, ma della quale si poteva immaginare che assistesse a un ballo la cui probabilità forse sarebbe quella di essere stato celebrato giusto cento anni fa, e che aveva potuto essere stato recensito da un cronista, così raffinato, peraltro, da poter discernere la malinconia che si deposita nei fiori che una signora, la cui esistenza è in ogni caso problematica, porta fissati alla sua cintura.

Insomma, quell’essere minuzioso che è il sociologo avrebbe assicurato che quella società cominciava, come si dice, a distruggersi dal suo punto più debole…E a proposito di sociologia giova chiedersi, senza la mente del sociologo, se la governatrice rappresentava una variante ulteriore di quella interminabile fauna che sono gli snob. Anche se la governatrice poteva, in effetti, essere toccata da un certo snobismo, non era assolutamente questo il motivo delle sue cosiddette stranezze; di quelle stranezze che adesso le impedivano di realizzare la semplicissima operazione di presentare un ballo che fosse la copia esatta di un altro presentato giusto cent’anni prima. No, la governatrice, rappresentazione vivente del languore delle creole, aveva il suo lato oscuro. Per esempio, si poteva forse pensare a uno sfoggio di snobismo se lei, in certe occasioni, dichiarava sopra un piccolissimo pezzo di carta che la luce è causa di molte cose oscure? E persino si arrischiò a dire nella ristretta cerchia delle sue amiche che non era vero che l’allegria fosse consustanziale con la luminosità. Ma subito dopo cadde nel suo impenetrabile silenzio. Le fecero domande; si cercarono risposte; invano, ormai la governatrice si era coperta con la sua maschera fatta di un’imponderabile sostanza.

Fu proprio pochi giorni dopo che si presentò la questione ballo. Non si deve credere – sarebbe un’imperdonabile leggerezza – che tale cosa avesse a che vedere o fosse causa di quella strana idea di rieditare un ballo celebrato giusto cent’anni fa. In realtà queste e altre situazioni costituivano i punti vivi nel tessuto morto della governatrice. Perché si doveva partire da un fatto inconfutabile: ciò che tutti definiamo concordemente la marcia del mondo non aveva niente a che vedere con la marcia della governatrice. E non dovevamo tenere conto se uno psicologo avesse pontificato che lei costituiva un evidente caso di quelli che loro chiamano psicopatologici…

Ma la cosa certa è che la governatrice possedeva la sua marcia. Dobbiamo proprio crederlo; non era impegnata per la distruzione perché fu sempre cosa distrutta; né per la putrefazione, perché ugualmente era oggetto di putrefazione. Chiaro che questo è un modo metaforico di esprimere tale marcia. E nella governatrice la contromarcia si poteva rappresentare con la sua teoria delle rappresentazioni. Voglio dire che non era tanto il fatto in sé, quanto le sue infinite interpretazioni, ciò che la elettrizzava. La sua vita era un perpetuo giocare a quel solitario delle possibilità. D’altra parte – perché nasconderlo? –, si era proposta con l’invenzione della soirée metafisica di ingaggiare nella sua marcia la maggior parte delle sue amicizie.

Ma improvvisamente, e come una bomba, piombò il governatore, durante un’animata sera della soirée, con una notizia terribile. Cosa era successo? Il governatore fece sapere senza indugi a coloro che erano lì riuniti che era assolutamente necessario presentare il ballo. A tutte le domande che gli vennero fatte su tale mostruosa determinazione rispondeva, accarezzandosi il mento affilato, che niente poteva aggiungere. Rendendosi conto che le dame della soirée, con la governatrice in testa, già cominciavano a speculare sul fatto citato, e meditando che questo poteva provocare un nuovo scandalo, concesse, con grande gentilezza, spiegazioni. Esternò che costituiva materia di scandalo quella soirée metafisica e che per mettere a tacere i pettegolezzi doveva assolutamente avere luogo il ballo; che la buona marcia dello Stato era in pericolo e che un governo doveva operare sempre con estrema chiarezza. Queste furono le sue dichiarazioni.

Si può immaginare lo scalpore. L’intero edificio della governatrice cadeva al suolo. Ma il governatore non fece il minimo caso a quel dolore e pretese l’elenco dei balli possibili; proprio così, dei balli possibili in sintonia con uno celebrato giusto cent’anni prima. Lesse con attenzione e, subito dopo, mise a conoscenza di tutti che aveva deciso per la prima fase. Visto che i partecipanti alla soirée metafisica conoscevano le sette fasi a memoria, è superfluo dire che tutti esclamarono con voce unanime che la decisione ricadeva su il ballo come venne presentato realmente un secolo fa. Il governatore, fregandosi allegramente le mani, espresse il suo desiderio di dare immediata lettura alla recensione del cronista che aveva assistito a tale ballo: “Perché – diceva il governatore – è una traccia infallibile per la ricostruzione di un evento passato”.

Ma la governatrice si frappose, dichiarando, a sua volta, che il signor governatore doveva correggersi e dire che la recensione del cronista, essendo la seconda fase della questione ballo, apparteneva al secondo dei balli possibili, e che questo significava celebrare il secondo ballo e non il primo. A questo punto il governatore rispose che non importava, perché non si trattava tanto di ricostruire quel che il cronista aveva detto, quanto, con il conforto della sua cronaca, di immaginare un ballo che seguisse tale interpretazione.

A questa affermazione la governatrice oppose che il signor governatore cadeva di nuovo in un’evidente petizione di principio, perché seguendo la sua interpretazione (quella del governatore) si cadeva nella terza fase e questo presupponeva di presentare il ballo numero tre e non il primo come ordinava il signor governatore. Allora questi, palesemente confuso e con decisione tipica della sua virilità, esternò che avrebbe presentato il ballo immaginandoselo tale e quale, senza la recensione del cronista. La governatrice, soavemente ma con fermezza, aggiunse che il suo signor sposo tornava a cadere in una petizione di principio, perché riprodurre un ballo offerto cent’anni fa, immaginando come fosse, senza poter contare sulla recensione del cronista, apparteneva alla quarta fase e pertanto al quarto dei balli possibili.

Il governatore si strinse furiosamente le narici e fece sapere che la riproduzione del ballo presentato proprio cent’anni fa avrebbe seguito la sua stessa immaginazione, ma la governatrice, con la freddezza tipica di una macchina calcolatrice, palesò al brioso consorte il suo disagio, perché, secondo questa versione, si cadeva con la nuova disposizione del signor governatore, nella quinta fase e nel quinto dei balli possibili. Quello, frenetico, annunciò che per l’imbarazzo di tutte le dame lì riunite avrebbe fatto un paragone molto significativo, e subito dopo raccontò la disgrazia e la dignità di un moscone catturato in una ragnatela. Allora, con mascolina ingenuità, dichiarò che l’onore era soddisfatto e che per evitare spinosi dibattiti proponeva che il ballo si presentasse ugualmente, certo, sempre nel suo carattere di esatta riproduzione di uno celebrato proprio cent’anni fa, ma senza tenere conto di recensioni dei cronisti e della stessa immaginazione di coloro che si trovavano lì riuniti.

Ma l’imperturbabile governatrice già alzava la sua bianca mano per chiedere la parola. Disse che lei non voleva rovinare la festa al suo sposo, ma presentare realmente il ballo significava cadere nella fase sesta, ossia, nel sesto dei balli possibili. Un lieve movimento e il moscone restò completamente prigioniero nella tela: facendo mostra di quel che lui chiamava la sua fervida immaginazione, e guardando apaticamente la governatrice, disse che un piccolo cambiamento avrebbe evitato ogni dissidio, e propose che il ballo si desse secondo il ricordo di un ballo presentato realmente, e che era stato a sua volta l’esatta riproduzione di uno presentato proprio cent’anni fa. Ma l’immutabile ragno tendendo il suo ultimo filo sopra il confuso moscone testimoniava che tale decisione significava cadere nella settima fase, o se al signor governatore sembrava meglio, nel settimo dei balli possibili.

E perché la sua vittoria fosse ancora più decisiva gli fece sapere che non analizzasse la questione ballo partendo da alcuna della altre fasi, perché sarebbe caduto ineluttabilmente nelle sei fasi restanti, e aggiunse che l’improbo esercizio l’avrebbe condotto a infinite combinazioni che ben presto avrebbero mandato tutto a rotoli con la loro evidente ragione. Mentre si toccava il punto della ragione, il governatore, antitesi vivente di un rifugio di matti, girò su se stesso e uscì discretamente dalla soirée metafisica. Ma non ci fu neppure il tempo di rimpiangere la sua repentina scomparsa, perché già tutte le dame circondavano la governatrice per udire dalle sue labbra che aveva appena scoperto un’ottava fase per un possibile ballo che sarebbe stato l’esatta riproduzione di uno celebrato proprio cent’anni fa.

 

 

(Da: Virgilio Piñera, Cuentos fríos, 1956)

Traduzione di Gordiano Lupi


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