“Lasciateci essere gli angeli del desiderio del mondo in continua guerra tra fisicità e tempo
e permetteteci di portare a letto il mondo con noi prima di morire”
(Allen Ginsberg, L’automobile verde)
La Beat Generation fu un movimento giovanile che trovò la sua maggiore espressione in campo artistico, poetico e letterario, ma che ebbe anche una grande influenza su eventi politici e sociali della seconda metà del secolo scorso.
La prima questione che è bene mettere in chiaro è il periodo di nascita di quel movimento. Infatti, è frequente collocare quei giovani mal vestiti, con i capelli lunghi, inclini all’omosessualità e ad assumere droghe di ogni tipo all’incirca negli anni che precedono e culminano nel grande movimento mondiale che ha preso il nome di “’68”, che abbiamo conosciuto nelle rivolte nelle università americane, nel maggio francese, nell’occupazione della facoltà di sociologia a Trento e nelle lotte della FIAT Mirafiori a Torino.
Non è così. La Beat Generation nasce nell’immediato dopoguerra da un gruppo di giovani scrittori americani e viene alla ribalta e si sviluppa negli anni ’50 negli Stati Uniti, così come i fenomeni culturali da esso ispirati.
Jack Kerouac, Allen Ginsberg e Lawrence Ferlinghetti, che sono gli autori attraverso cui cercherò di farvela ascoltare, sono rispettivamente del 1922, 1926, 1919 e quindi nel 1968 avevano mediamente tra 42 e 49 anni. Non voglio dire che fossero “vecchietti”, ma non erano neppure giovani come i ventenni che caratterizzarono quel movimento e ne furono i protagonisti assoluti.
Ma è pur vero che si può dire a ragione che della Beat Generation fanno parte anche i movimenti culturali del ‘68: l'opposizione alla guerra del Vietnam, gli Hippy di Berkeley e Woodstock… E come è vero, che la cultura beat ha influenzato anche la Pop Art, ma questo è un capitolo che oggi non affronterò affatto.
I nostri erano, invece, molto più giovani all’uscita dalla guerra e furono profondamente influenzati, nella vita e negli scritti, dalla realtà storica del momento, dalla fine della guerra e del nazifascismo, dalla crescita pervasiva del consumismo, dalle straordinarie novità che apparivano all’orizzonte e in particolare dalla bomba atomica e cioè dallo sviluppo delle tecnologie e dalla possibilità che per la prima volta avevano gli uomini di distruggere la terra di cui erano ospiti.
D'altronde se Foscolo fu stravolto dal trattato di Campoformio, è comprensibile che i poeti beat lo fossero da Hiroshima e Nagasaki . Così Gregory Corso, importante esponente di quel movimento, “celebra” la bomba:
Incalzatrice della storia Freno del tempo Tu Bomba
Giocattolo dell'universo Massima rapinatrice di cieli.
Bomba sei crudele come l'uomo ti fa e non sei più crudele del cancro.
Ogni uomo ti odia preferirebbe morire in un incidente d'auto, per un fulmine, annegato,
cadendo dal tetto, sulla sedia elettrica, di infarto, di vecchiaia O Bomba.
Cerchiamo di capire chi erano e cosa volevano i rappresentanti della Beat Generation, per ora non nei nomi, ma nelle caratteristiche della loro arte e della loro vita, che tra l’altro risultano strettamente intrecciate.
Negli anni ’40 in America nascono gli hipster, che si può dire rappresentino una corrente esistenzialista, che percepisce il rischio di una guerra atomica, sente il peso oppressivo della crescente società consumistica statunitense e dell'asfissiante standardizzazione delle masse. Ma gli hipster sono distaccati dalla realtà che li circonda, sono tipi seri.
È accanto a questi personaggi che vengono fuori i beat, coinvolti fin nel profondo del loro vivere dalla realtà che li circonda, che vorrebbero condividere con l'umanità il loro amore per il tutto, invece si sentono incompresi. E che al contrario degli hipster sono tipi poco seri, tutt’altro che bravi ragazzi, anticonformisti, per vocazione dissacratori.
Gli esponenti di questo movimento non erano certo professori o scrittori professionisti con un impiego in case editrici o nei giornali, anzi: per lo più erano giovani disperati e inquieti, che facevano lavori di ogni tipo per combattere una endemica povertà, che credevano ardentemente nella vita, ma respingevano i sistemi morali e sociali precostituiti, che stavano uscendo dalla guerra con tutto quello che questo significava in novità e istanze di liberazione e volevano scoprirne autonomamente dei nuovi, con la profonda aspirazione di trovarne di migliori e sostanzialmente più liberi da convenzioni.
Erano giovani che, spinti da curiosità e da un’istintiva volontà di rompere con la società tradizionale, bevevano e utilizzavano vari tipi di droghe per dilatare o alterare la conoscenza, spesso omosessuali e comunque inclini alla promiscuità.
Ma malgrado il forte collegamento alla contemporaneità, Beat non è politica, nonostante molti movimenti ispirati dai componimenti e dallo stile di vita dei loro esponenti abbiano nella politica la loro origine. Beat non è religione, nonostante sia forte la componente spirituale, sfociata frequentemente nel buddismo e nelle religioni orientali.
Erano per lo più ragazzi – e la caratterizzazione generazionale e l’assenza di adulti tra le loro fila è un elemento significativo – resi maturi troppo in fretta dalla guerra, con tutte le contraddizioni che una tale maturità può comportare. Giovani che non credevano più alle giustificazioni e agli accomodamenti dei genitori per spiegare il mondo, che ai loro occhi mascheravano solo pregiudizi e luoghi comuni. Giovani che rifiutavano un benessere costruito da altri di cui loro dovevano essere solamente fruitori passivi.
Un sentimento espresso alla perfezione da Benjamin Braddock, il giovane californiano di ricca famiglia, che nel film Il laureato (1967), mentre è circondato da regali e festeggiamenti per la sua laurea, al padre che gli chiede cosa c’è che non vada, risponde: “Sono preoccupato per il mio futuro…”. Esprimendo così la preoccupazione che lo stesso sia già predefinito e organizzato al di là delle sue aspirazioni più vere, ma soprattutto che altri lo facciano a prescindere da lui.
Così, bevendo e fumando molta marijuana, i beat hanno girato il mondo e l’America con l’autostop, immortalati in un brutto film come Easy Rider; si sono esaltati ascoltando o improvvisando jazz, ma soprattutto hanno scritto e a volte anche pubblicato numerosi romanzi e raccolte di poesie, inventando uno stile letterario molto originale e uno stile ancora più singolare nel proporlo, fatto di lunghissime recitazioni ad alta voce.
E a questi viaggi continui si contrappone il fatto singolare che i beat tornano sempre dalla madre, che è un personaggio sempre in cima ai loro pensieri e frequente protagonista delle loro poesie, perché è fortissimo in loro la volontà di tornare da dove sono venuti.
Fatto questo quadro delle caratteristiche dei componenti della Beat Generation, cerchiamo di scrutare cosa significa lo stesso termine “beat” nei tanti variegati significati che ha assunto, anche per gli stessi componenti che fondarono quel movimento (una generazione…) che porta quel nome, così da interpretarne ancora meglio i contenuti.
Se gli elementi centrali della cultura Beat consistono nel rifiuto di norme imposte, le innovazioni nello stile, la sperimentazione delle droghe, la sessualità alternativa, l'interesse per la religione orientale, un rifiuto del materialismo e in particolare del consumismo, e rappresentazioni esplicite e crude della condizione umana, molto più contraddittorio e eclettico è il significato che da varie parti si è attribuito a quel nome.
L'espressione Beat Generation viene introdotta nel 1948 per caratterizzare quel movimento giovanile anticonformista emergente dell'underground newyorkese, da Jack Keruac, forse l’iniziatore principale del movimento.
L'aggettivo beat nel vocabolario tradizionale significa “battere” e quindi si potrebbe interpretare nel senso di stanco o abbattuto, denotando l'inevitabile sconfitta subita dalla società, dalle sue costrizioni, da schemi imposti e inattaccabili.
Ma gli stessi protagonisti di quel movimento, a partire come ho detto dallo stesso Keruac, ne alterano il significato includendo le connotazioni di ottimista, beato, nel senso di salvezza ascetica ed estatica, tipica dello spiritualismo, ma anche aderente al falso misticismo indotto dalle droghe, dall'alcol, dall'incontro carnale e frenetico, dal parlare incessantemente, con lo scopo di scaricare tutti i contenuti mentali.
Keruac, fervente cattolico, così dice del termine beat:
…a un tratto quando udii il sacro silenzio della chiesa, ebbi la visione di che cosa avevo voluto dire veramente con la parola “Beat”, la visione che la parola Beat significava beato…
Ma Beat ha preso anche il significato di rottura, ribellione, che è quello, tra l’altro, che personalmente mi convince di più. Beat è il richiamo alla vita libera e alla consapevolezza dell'istante.
Oppure Beat come battito, come ritmo. Il ritmo della musica jazz, il jazz di Charlie Parker che si ascolta incessantemente in quegli anni, il ritmo del be bop. O i ritmi della cadenza dei versi nelle poesie declamate a voce alta e in maniera incalzante fino a tarda notte.
… E sono stato su tutta la notte, a parlare, parlare, leggere
forte il Kaddish, ascoltare al grammofono
gli urlati blues di Ray Charles cieco…
(da Kaddish di Allen Ginsberg)
È certo, comunque, che al di là dei significati attribuiti al nome, “Essere Beat” significa la scoperta di sé stessi, della vita sulla strada, del sesso liberato dai pregiudizi, della droga libera, dei valori umani, della coscienza collettiva.
Dice Allen Ginsberg:
Aiuteremo a modificare le leggi che governano i cosiddetti paesi civili di oggi: le leggi che hanno coperto la Terra di polizia segreta, campi di concentramento, oppressione, schiavitù, guerra, morte.
Ed ora un breve excursus della storia di questo movimento, che dopo la sua nascita, ha avuto un suo sviluppo e una sua evoluzione in un arco di tempo che va dalla seconda metà degli anni ’40 ai primi degli anni ’70, anche se la data di conclusione è molto più incerta e indefinita dell’avvio…
Inizialmente, il movimento beat, anche grazie al libro di Kerouac, Sulla strada, raccoglie un notevole successo.
Poi, all’inizio degli anni ’60 nasce il movimento dei figli dei fiori e dei beatniks. Il termine beatnik è stato inventato nel 1958 da un giornalista come termine denigratorio per riferirsi ai beats come unione di parole con il satellite sovietico Sputnik, per sottolineare la loro distanza dalla società statunitense corrente, ritenendoli vicini alle idee comuniste, in un'epoca in cui gli Stati Uniti vivevano un profondo sentimento di paranoica paura rossa durante il periodo maccartista della guerra fredda.
La maniera stessa di vivere di questi gruppi provocherà un grave malcontento della società americana, che ne attribuisce nascita e comportamenti tout court agli scrittori beat. Questi movimenti vengono visti, infatti, come una rivolta contro la borghesia statunitense, con un suo culmine nella protesta contro la guerra del Vietnam.
Essere beat diventa molto scomodo sia per gli attacchi pressanti delle associazioni dei benpensanti statunitensi, che per le intrusioni nella sfera personale da parte di fan e giornalisti che, al contrario, vedevano in questi uomini dei simboli di una rivolta.
Scrive Ginsberg:
…un fiume inesauribile di telegrammi, telefonate, visite, giornalisti, ficcanaso, o quella volta che il giornalista si precipitò di sopra in camera mia mentre vi sedevo in pigiama sforzandomi di trascrivere un sogno… teenager scavalcano lo steccato alto un metro e ottanta che avevo fatto costruire intorno al giardino per restare solo…
Comunque inizialmente gli autori beat in quegli anni riprendono e amplificano i temi della contestazione giovanile della loro epoca, che, partendo da una critica radicale alla guerra del Vietnam, mettono in discussione la segregazione razziale dei neri, la condizione subordinata della donna, le discriminazioni in base all'orientamento sessuale…
Poi, però, quasi per non essere identificati con nessun movimento politico che avesse una presenza reale e concreta nella società, i beat iniziano a studiare Plotino, le teorie cosmogoniche contenute nel libro Eureka di Edgar Allan Poe, poesie mistiche, la telepatia e la cabala. Si innamorano del misticismo indiano e della meditazione. Studiano perfino i trattati ascetici di San Giovanni della Croce.
Iniziano a scrivere di viaggi mentali anche mediante una crescente dilatazione della conoscenza con un eccesso della sperimentazione psichedelica di droghe pesanti come l’LSD.
Ormai l’esperienza della beat generation è alla fine, come lo è la loro produzione letteraria migliore.
Ora, proviamo a dare un giudizio sullo stile letterario degli scrittori beat e sulla loro produzione di poesie e romanzi, cominciando a ascoltare il loro suono.
La letteratura beat è soprattutto autobiografica e denunciataria. Fortissima è la sua volontà di denuncia sociale, quasi di predicazione. Gli scritti beat venivano letti a voce alta e per tempi lunghissimi, con il “parlato” che sembra sostituire la parola scritta.
Per i beat la poesia (e la scrittura) che non ha un forte radicamento nella realtà e che non ha come finalità essenziale la rottura con la società dei benpensanti, non è vera poesia.
La lettura della poesia Howl (Urlo) di Allen Ginsberg nel 1955 diede immediatamente la consapevolezza della nascita di un nuovo genere di poesia. Una poesia “sulla strada”, perché lì mirava a riportare la poesia, dove era una volta, fuori dalla ufficialità delle facoltà e delle case editrici e soprattutto fuori dalla pagina stampata, che, secondo i beat, aveva reso la poesia silenziosa, mentre doveva essere parlata come un cosmico messaggio orale.
Si cercò di elaborare un nuovo linguaggio poetico adatto a esprimere la diversa e la ribelle sensibilità artistica, che doveva manifestarsi anche con uno stile di vita anticonfomista. E attraverso questo stile si manifestava in modo esplicito il desiderio, già nell'aria in California e soprattutto a San Francisco, di far uscire i versi dall'isolamento delle biblioteche.
La scrittura beat risulta un flusso ininterrotto di pensieri che vengono trascritti d’impulso e dall’impulso dominati, mentre vengono aboliti costrutti logici e organizzazioni formali.
Le poesie, molte, e i romanzi beat, in verità pochi, risultano eccessivamente ripetitivi nei temi, che vengono affrontati semplicemente con la loro esposizione, quasi che la descrizione delle situazioni e dei personaggi che le popolano avesse in se la forza di approfondirle e addirittura le proposte per affrontarle.
Gli stessi rapporti o l’approfondimento di una qualche interiorità alla fine restano in superficie, anche se è una superficie spesso fosca e inquietante.
Quello beat è un linguaggio astratto, ricco di neologismi, di parole storpiate o collocate seguendo un’anarchia semantica e sintattica scarsamente rigorosa rispetto ai più normali canoni letterari. La poesia beat contiene molto una sorta di missione da compiere, che va bene al di là di un genere letterario da rispettare.
Italo Calvino così si esprime sullo stile letterario di quel movimento:
Le pagine degli scrittori e dei poeti della beat generation hanno in sé tutto quanto si può immaginare di più contrario alle mie preferenze e di più insopportabile per i miei gusti. Una scrittura sovrabbondante, informe, terrosa, un flusso verbale tutto lirico ed esclamativo che cerca di comunicare un entusiasmo per fatti, persone e cose senza riuscire a rappresentare nulla, e il tono predicatorio, e il genere di cose predicate: sensualità diffusa, esperienze mistiche con o senza droga, dilatazione dell’io e conseguente perdita del rapporto soggetto-oggetto.
Il giudizio dell’autore di Lezioni americane può apparire eccessivamente duro, quasi crudele, ma in effetti la scrittura beat presenta tutti i limiti di “gigantismo emotivo”, di eccesso di enfasi, che ne fanno uno stile ampolloso e soprattutto per chi ama l’essenzialità e il rigore nello stile letterario, addirittura insopportabile.
Mi verrebbe da dire che gli scritti dei beat, scollegati dalla loro vita perdono parte del loro senso e anche del loro suono.
Jack Kerouac (1922 – 1969) è considerato uno dei più importanti scrittori del ‘900 americano, è considerato il padre del movimento beat.
Si ritiene che il contributo letterario e sociale di Jack Kerouac sia assai più profondo e qualitativo rispetto ai giudizi che inizialmente l'avevano emarginato in una nicchia della controcultura americana. Il suo stile ritmato e immediato, chiamato dallo stesso Kerouac prosa spontanea, ha ispirato numerosi artisti e scrittori della Beat Generation e musicisti come Bob Dylan.
I suoi scritti riflettono la volontà di liberarsi dalle soffocanti convenzioni sociali e dalle forme dell'epoca e dare un senso liberatorio alla propria esistenza, un approfondimento della coscienza cercato nelle droghe e che sfociò nell’alcolismo.
Kerouac passò la maggior parte della sua vita vagabondando tra i grandi spazi dell’America settentrionale e la casa della madre in una piccola cittadina industriale, facendo i lavori più disparati.
Fu sempre un personaggio contraddittorio che proclamava l’inutilità del militarismo, ma che di fronte all’intervento americano in Vietnam dichiarò il suo favore affermando: “Giusto o sbagliato, è il mio paese”.
In aprile del 1951, riscrisse e completò Sulla strada, pubblicato nel 1957, con notevoli tagli di censura, primo dei quali i nomi reali sostituiti con nomi di fantasia. Questo romanzo fu classicamente definito il “manifesto” del movimento beat ed è quello che a quel movimento ha dato la prima notorietà e il maggiore successo.
Un romanzo, e la forma è sostanza per il beat, dattiloscritto in 3 settimane su di un rotolo di carta lungo 36 metri, che gli era stato regalato.
Questo simbolo di arte beat, estremamente povera e occasionale, fu poi venduto nel 2001 per un prezzo di più di 2 milioni di dollari e ha venduto nel mondo più di 3 milioni di copie. Un po’ la sorte dei Canti Orfici di Dino Campana, che al momento della pubblicazione costava £ 2,50 e nessuno voleva acquistare ed oggi le poche copie rimaste si vendono al prezzo di € 5.000 l’una. Comunque dei Canti Orfici non sono state vendute 3 milioni di copie…
Nonostante la zia mi avesse avvertito che mi avrebbe messo nei guai, sentivo una nuova voce che mi chiamava e vedevo un nuovo orizzonte, e ci credevo, giovane com'ero; e che importanza poteva avere qualche piccolo guaio, o che Dean mi rifiutasse alla fine, come infatti sarebbe successo, su marciapiedi di fame e letti di malattia - che importanza poteva avere? Ero un giovane scrittore e volevo andare lontano.
(Jack Kerouac, Sulla strada)
Il 20 ottobre 1969 si svegliò alle quattro del mattino in seguito all'ennesima sbornia, poi verso mezzogiorno, mentre stava bevendo un liquore di malto e scarabocchiando appunti per un libro sul padre, accusò forti dolori addominali e vomitò sangue: il fegato aveva ceduto per la cirrosi epatica.
Portato in ospedale, venne sottoposto a 26 trasfusioni e a un'operazione chirurgica e alle cinque e mezzo del mattino del 21 ottobre, senza mai aver ripreso conoscenza dopo l'intervento chirurgico, Jack Kerouac morì a quarantasette anni.
Jack Kerouac ha scritto: 19 romanzi, 3 raccolte di racconti, 2 poemi, 9 raccolte di poesie
Allen Ginsberg (1926-1997), insieme a Keruac è un po’ il simbolo della beat generation.
Con il componimento Howl (Urlo), dette voce alle sue esperienze di emarginazione (il ricovero in un ospedale psichiatrico, le droghe, l'omosessualità).
Girò l’America e il mondo leggendo le sue poesie, che hanno un verso ritmato con una forte assonanza al parlato, secondo la lezione di Walt Whitman, che può essere considerato il suo vero ispiratore. Nella poetica di Ginsberg si intreccia una forte carica visionaria con la realtà quotidiana, spesso rappresentata come delle foto o dei dagherrotipi.
Dagli anni Sessanta, quando sembra esplodere un successo né cercato né voluto, la sua ricerca della trascendenza subì il fascino del pensiero buddhista. Viaggia in tutto il mondo, battendosi contro quello che considera un devastante imperialismo materialista americano.
Nel 1972 pubblica The fall of America (La caduta dell'America), in cui è contenuto l'esplicito rifiuto della società occidentale e la sua conversione al buddhismo.
Nel 1964 partecipa al “Festival dei due mondi di Spoleto” e viene arrestato per una troppo esplicita conferenza sulla masturbazione.
Molto interessanti per capire la sua opera e anche il mondo beat sono i diari, pubblicati in Italia nel 1989.
Allen Ginsberg ha scritto 16 raccolte di poesie.
Lawrence Ferlinghetti (1919), laureato alla Sorbona, fondò a San Francisco la casa editrice City Lights Books, che diventò il centro del “rinascimento poetico” di quella città e il luogo di ritrovo della beat generation.
Il suo impegno di editore forse sovrasta anche quello di poeta. Nel 1957 fu arrestato per aver pubblicato Urlo di Ginsberg. Il libro fu fatto sequestrare da tal McPhee, dirigente degli uffici doganali della California, preoccupato che potesse turbare la coscienza dei bravi bambini americani che potevano venirne casualmente in contatto.
A favore di Ferlinghetti e delle poesie di Ginberg, malgrado si fosse ancora nel maccartismo, si mobilitò un’importante parte degli intellettuali americani e Ferlinghetti fu assolto.
La sua poesia è ricca di influssi del surrealismo francese, di temi politici e pacifisti di critica alla civiltà industriale. Dopo il declino del movimento beat, Ferlinghetti continuò negli anni Ottanta l'attività poetica e culturale con raccolte e opere teatrali di impianto sperimentale.
Lawrence Ferlinghetti ha scritto 25 raccolte di poesie e numerosi saggi
E per concludere, che rapporto c’è stato tra gli artisti della beat generation, tra quel movimento culturale e il nostro Paese?
L’influenza dei poeti beat fu notevole anche in Italia e forse l’esperienza più importante e significativa è stata la registrazione e la pubblicazione nel 1966 di sette numeri della nuova testata Mondo Beat, considerata la prima rivista underground italiana.
Delle influenze letterarie esistono tenui tracce e nomi di poeti come Gianni Milano, Vasco Are, Aldo Piromalli, Vittorio di Russo, Carlo Silvestro e Franco Beltrametti. O di scrittori come Silla Ferradini, Andrea D'Anna, Melchiorre Gerbino e Gianni De Martino si sono persi nel vento.
Diversa è l’influenza nel mondo musicale. Il beat in Italia influenzò tantissimi complessi: l'Equipe 84, i Dik Dik, I Corvi, I Camaleonti, i Nomadi; o i solisti: Riki Maiocchi, Gian Pieretti, Patty Pravo, Caterina Caselli. Ci saranno anche locali dedicati alla musica beat di cui il “Piper Club” di Roma fu quello di maggior successo.
Forte, comunque, fu l’influenza sui costumi dei giovani; numerosi saranno i minorenni scappati di casa, che trovano facile rifugio nelle tende dei campeggi o nelle comunità del movimento.
L’onda beat giunse fino nella sonnacchiosa Macerata e precisamente in vicolo Cassini, che divenne in breve la location di una particolarissima scapigliatura maceratese.
Osvaldo Pieroni, ottimo studente del liceo classico, voce dei pueri cantores, sciatore provetto ne fu il punto di riferimento, il capo riconosciuto di una comunità che di capi non ne voleva più sentir parlare. Che disprezzava i tradizionalisti ed i benpensanti e, tra questi, anche i rappresentanti dei partiti politici, inclusi quelli di sinistra.
La trasgressione era il comportamento unificante dei frequentatori del vicolo, la rottura brusca con i luoghi dove da sempre i giovani maceratesi dormicchiavano tranquillamente: la famiglia, la parrocchia e la scuola. Vicolo Cassini incarnava la volontà di allontanarsi dalle abitudini quotidiane, la curiosità per il viaggio, spesso sognato e qualche volta fatto realmente. La generazione beat sostituì la vacanza, fatta a Porto Recanati e Porto Civitanova con la famiglia, o avanti e dietro con il treno, con il viaggio fatto in autostop con la tenda e il sacco a pelo, in giro per il mondo ad incontrare i giovani del 68 francese o i Provos olandesi.
Poesia e pittura, a Macerata furono certamente le passioni comuni a vicolo Cassini. Nascevano ogni giorno testi poetici, film in super 8 e quadri, alcuni assolutamente ingenui, di arte povera, ma che proprio per questo, in quell’ambiente, venivano particolarmente apprezzati.
I giovani che avevano aperto studi o abitavano in vicolo Cassini avevano provenienze in parte diverse. Coloro che lo frequentavano erano distanti socialmente molto eterogenei e culturalmente; vi bivaccavano i figli della buona borghesia e quelli di sottoproletari border line.
A vicolo Cassini, secondo le migliori tradizioni della Beat generation, fecero capolino alcune blande droghe. Oltre ad un uso abbastanza romantico di un pessimo vino pieno di solfito, si faceva uso dell’etere per alterare l’equilibrio e la normalità e rarissime volte comparse qualche foglia d’erba.
Il gruppo dei più “vecchi” era a Spoleto quando Ginsberg fu arrestato per una conferenza sulla masturbazione, e partecipò attivamente a due edizioni di una Biennale d’arte contemporanea che, sulla scia di quella di Venezia, si tennero a San Benedetto del Tronto. Accampati in due tende da campeggio, i beat maceratesi vissero un’esperienza esaltante, conoscendo e frequentando artisti che cominciavano una lunga carriera, tra cui Achille Bolito Oliva, Mario Schifano e il greco Kunellis. Parteciparono anche a vari happening suonando e cantando, mentre a cena nelle osterie di San Benedetto si beveva vino, si parlava d’arte e si cominciava ad intonare qualche canzone di lotta.
Comunque, più che la crescita di una coscienza politica a vicolo Cassini, in linea con l’esperienza beat, si praticò una rottura profonda con la cultura e l’arte tradizionale. La ricerca e la creatività spontanea erano di casa, si espresse un netto rifiuto per ogni tipo di censura e si sviluppò una critica radicale ai benpensanti. La diversità, così poco gradita ai maceratesi, malgrado avessero Matteo Ricci nel loro albero genealogico, a vicolo Cassini era un valore. Valori e personaggi diversi, anche un po’ border line, lì erano di casa ed avevano un ruolo.
Così tra l’America e vicolo Cassini, tra l’universo e il grembo della madre si conclude il mio racconto sulla Beat Generation.
Renato Pasqualetti