Nel 1984 esce il racconto Seminario sulla gioventù. Un racconto che venne costruito, dal suo autore, come un romanzo di formazione e come un diario di bordo, in cui sono riportati i viaggi del protagonista Barbino in Italia, in Francia, e in Inghilterra. Racconto dalle salse picaresche e dalle conseguenze satirico-grottesche. I personaggi di questo racconto si muovono in base alle azioni psico-motorie, e non secondo la volontà dell'autore. In questo racconto si assiste allo stupro e alla distruzione etica della puerizia, la quale è concepita dal Busi e dai suoi colleghi, come un'era divina e un Campo Eliseo. Aldo Busi guarda più in là, verso l'inumanità e la ferocia di una gioventù, lanciata verso la trasgressione e l'indifferenza criminale. L'unico personaggio luminoso è il Barbino, il quale rappresenta l'eroe per eccellenza, che sa essere cosciente e responsabile dei suoi peccati.
Nel 1985 venne pubblicato il romanzo Vita standard di un venditore provvisorio di collant. Un romanzo con tanti elementi autobiografici, in cui il protagonista Angelo è di Montichiari, proprio come il Busi; e come il Busi, anche Angelo si laurea con una tesi, sul poeta statunitense John Ashbery. Inoltre Angelo e il Busi, condividono un’ultima caratteristica in comune, ovvero, la loro omosessualità. In quest’opera Busi ci mostra la figura del furbo, che cammina nel Mondo in mezzo agli Uomini, in maniera totalmente peccaminosa e scellerata, seguendo una visione puramente fiabesca e chimerica. Una visione che è uno strumento del lavoratore in regola e non in regola. In particolar modo questo romanzo, rappresenta le falsità e le apparenze dell’industrializzazione, l’inutilità degli “incantesimi”, e le depravate oscurità del Capitalismo. Per concludere, possiamo dire che questo romanzo è diviso in tre atti, in cui assistiamo a tutta l’iniquità e l’angheria esistenziale.
Nel 1986 esce il romanzo La Delfina Bizantina. Romanzo in cui è rappresentato un universo colmo di depravazione e squallore, dove però, nessuno è condannato dal Busi. Personaggi meschini rinchiusi dentro un “carcere spirituale”, in cui il filo spinato traccia solchi sui loro occhi; e allo stesso tempo, vicini e lontani, dalle loro origini ancestrali ed esistenziali. In quest’opera, l’unica etica rintracciabile è quella legata alla malizia e alle oscure appendici statali, le quali non possono essere logicamente e umanamente accettate; e inoltre, sempre secondo quest’etica, le tenebre si lasciano imprimere sulla pagina, sempre però tenendo a mente, che sono qualcosa di indefinibile e intraducibile. I personaggi del romanzo busiano simboleggiano il decadimento socio-etico dell’italiano, il quale è spaventato dai suoi peccati, ma allo stesso tempo, è pronto a rifarli; e il Mondo che va all’incontrario, con addosso una falsa maschera di legalità, di razionalità oggettiva, e di buon senso. In poche parole e per concludere, questo romanzo può essere considerato, come un grande registro di tutte le luminosità e di tutte le brume della cognizione drogata sulla verità, che crede quest’ultima, di essere l’unica e vera “realtà”.
Dal 1986 in poi calano le tenebre sulla produzione letteraria del Busi e per leggere un altro successo, dobbiamo aspettare fino al 1988, anno in cui venne pubblicato il romanzo Sodomie in corpo 11. Anche in questo romanzo, sono presenti elementi autobiografici, in cui la vita del Busi è rappresentata attraverso nostalgie e reminiscenze, tratte dai suoi diari e dai suoi resoconti di viaggi in Marocco, in Tunisia, in Finlandia, nella Germania post Muro di Berlino, e nella Russia post dittatura. Accanto a queste memorie esistenziali, si affacciano e fanno la loro comparsa sulla pagina utili indicazioni e sagge meditazioni, sulla scrittura di un libro. Romanzo composto da uomini e donne, che camminano sulle strade e toccano le cose, senza però rimembrare chi sono e perché vivono. In poche parole, lo scrittore non è colui che sceglie la probità, poiché già insita in lui nel momento della sua nascita; e inoltre è il principio fondamentale, che spinge lo scrittore a scrivere di letteratura.
Dopo quindici anni di opere minori, nel 2001 esce il romanzo Un cuore di troppo. Un romanzo che espone il tema della mancanza e della dimenticanza criminale, della non-storia d’amore fra Aldo Subi e Pierluigi Maria Saporito. Un romanzo altamente rivoluzionario, poiché in esso si ferisce e si screpola il tema del concetto e della cosa, senza però separarli immediatamente, ma, con lumacosa lentezza.
Dal 2001 passeranno altri cinque anni prima di leggere l’ultimo capolavoro busiano. Capolavoro che verrà pubblicato nel 2006 col titolo E io, che ho le rose fiorite anche d’inverno? Romanzo dalle tinte e dai profumi parigini degli anni Sessanta, in cui Aldo Busi rimembra i suoi vent’anni e il suo infatuamento, per un artista dalle arie dandy e per un ricco libanese. In quest’opera l’autore si emargina volontariamente dal Mondo, fino ad arrivare alla “segregazione” volontaria nel suo appartamento parigino. Segregazione che però gli permetterà di fare una summa della sua intera esistenza. Una vita, quella del Busi, fatta di amori fugaci e veloci, senza che si consolidino in amori passionali e duraturi, però con un grande giardino in cui le rose sbocciano anche d’inverno. Una tematica forte quella delle rose invernali, che sta a significare di come l’amore non conosca età e stagioni per... nascere.
Stefano Bardi