Maurizio Guidi
Miglietto
Romanzo d’amore e brigantaggio
Sarnus, 2016, pp. 120, € 8,00
Per chi conosce il contesto ambientale del romanzo di Maurizio Guidi è piacevole ritrovare tra le pagine luoghi, torrenti, monti, valichi noti, e scoprirne la vita di cinquecento anni fa. Lo scrittore si rivela una guida perfetta ed insieme un ricercatore, che non solo ricostruisce la storia, ma la popola di personaggi verisimili accanto ad altri leggendari. Certamente appartiene alla leggenda Miglietto, il brigante buono, ma si sa che la leggenda è mista di verità e di immaginazione. Quindi un Miglietto-Robin Hood deve essere senz’altro esistito, muovendosi tra i territori di Lucca, Firenze, Pisa, sempre volto a fare giustizia agli umili contro i soprusi dei potenti, a recuperare la roba rubata ai più deboli, ma anche pronto, come tutti i banditi, ad attaccare i carichi di rifornimenti alimentari quando transitano da un territorio all’altro, a suo parere per una più equa distribuzione.
Le sue imprese, i suoi scontri, le sue fughe per mettersi al sicuro, il suo particolare senso di giustizia, ne fanno un personaggio accolto ovunque con benevolenza e rispetto, come un eroe a difesa della comunità. Insieme agli altri tre componenti la sua banda si siede al posto d’onore nei pranzi delle ricorrenze sacre, accanto ai Governatori della zona ed al prete che lo tiene in enorme considerazione.
Eroe brigante, risveglia l’attenzione e il desiderio, e vive la sua grande storia d’amore con Elvira. Come tutte le donne dei banditi lei è pronta ad intervenire in aiuto del suo uomo, ne sa curare le ferite, la sa nascondere. Lo sa amare.
La storia di questo brigante, collocata nella prima metà del 1500, è raccontata come in un flash back all’inizio degli anni ’60 da un personaggio originale, Lidamo, a cui il un narratore dà voce, camminatore instancabile e poeta, che sa improvvisare rime davanti ai frequentatori di una locanda, colto, affabulatore, attendibile. Lui “quasi sempre arriva con le stagioni percorrendo a piedi una mulattiera”.
Ricostruire quel preciso momento storico significa recuperarne la cultura, e Guidi lo sa fare bene, riproponendo usi, costumi, feste, o le comuni azioni del quotidiano. Si immaginano interni fumosi con il paiolo della polenta di castagne appeso dentro il camino, si sente odore di boschi umidi, le grida del maiale macellato, le voci alterate dal vino e dal cibo dopo lo striscio, che è la cena dopo la macellazione. Si recupera il linguaggio del popolo: l’acquaio, la sciugna, la piella, i gorgoli, i necci, la semola, il cigliere, il pennato, il suppidiano, significanti che oggi sono un po’ dimenticati. Ma c’è anche il linguaggio colto del prete. E Guidi non si dimentica di far passare attraverso le sue pagine i personaggi illustri del tempo che hanno bazzicato quella zona per ragioni diverse, Michelangelo ed Ariosto.
Marisa Cecchetti