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Maria Paola Forlani. Storie dell’Impressionismo 
I grandi protagonisti da Monet a Renoir da Van Gogh a Gauguin
11 Dicembre 2016
 

È tutto un grande mistero!

Per voi che pure volete bene al piccolo principe, come per me, tutto cambia nell’universo se in qualche luogo, non si sa dove, una pecora che non conosciamo ha, sì o no, mangiato una rosa. Guardate il cielo e domandatevi: la pecora ha mangiato o non ha mangiato il fiore? E vedrete che tutto cambia… Ma i grandi non capiranno mai come questo abbia tanta importanza.

Antoine de Saint-Exupéry

 

 

Si chiama “Storie dell’Impressionismo” la mostra aperta al Museo di Santa Caterina fino al 17 aprile 2017, curata da Marco Goldin per festeggiare i vent’anni di Linea d’ombra, la sua “creatura” attraverso cui ha organizzato tantissime mostre che hanno raccolto ben 10 milioni di visitatori, partendo proprio da Treviso dove ora è ritornato come protagonista ad operare.

La mostra è raccontata in 140 opere (soprattutto dipinti, ma talvolta anche fotografie e incisioni a colori su legno) e sei capitoli, con un forte intento di natura didattica. Per dire in ogni caso non solo quel mezzo secolo che va dall’Ottocento fino ai primissimi anni del Novecento, ma anche quanto la pittura in Francia aveva prodotto, con l’avvento di Ingres a inizio Ottocento, nell’ambito di un classicismo che sfocerà, certamente con minore tensione creativa, nelle prove, per lo più accademiche, degli artisti del Salon. Ma anche, con Delacroix, entro i termini di un così definito romanticismo che interesserà molti pittori delle nuove generazioni, fino a Van Gogh.

L’esposizione è suddivisa in sei sezioni, che consentono al visitatore di percorrere un cammino tra capolavori che hanno segnato una delle maggiori rivoluzioni nella storia dell’arte di tutti i tempi.

 

Il percorso inizia con Lo Sguardo e il silenzio

Percorso del ritratto da Ingres a Degas a Gouguin

Scrive Ingres: «Voglio però che si sappia che ormai da tempo le mie opere riconoscono solo la disciplina degli antichi, dei grandi maestri del secolo di gloriosa memoria in cui Raffaello fissò i confini eterni e indiscutibili del sublime dell’arte».

Il riferimento all’antico, e in modo particolare a Raffaello, è costante nell’opera di Ingres, ed è per questo motivo che in mostra si vede, quale segno distintivo, una copia proprio dell’autoritratto di Raffaello conservato agli Uffizi.

Per tale circostanza la presenza di Ingres, al principio dell’esposizione, trova il suo centro piuttosto che nelle opere più sfarzose della maturità, nell’evidenza quasi dialettale dei volti da lui dipinti nel primo decennio dell’Ottocento, in un età di poco superiore ai vent’anni.

Sono quadri come questi, posti quale incipit a capo di tutto il percorso, che mostrano quell’attitudine a un realismo anche silenzioso e segreto che sarà importante per pittori come Courbet e poi Manet, Degas, Renoir, tutti intenti a dipingere la verità e l’assoluto di un volto colmo d’anima.

Prima che tutto sia terremotato dall’ingresso sulla scena di Van Gogh e Gauguin, i quali puntando ogni loro fiche sulla resa antinaturalistica del reale, segnano uno scarto ulteriore, e ormai proto novecentesco nella pittura.

 

Per stare nella natura

Quando al Salon del 1852, Courbet presenta Le ragazze del villaggio, si attua una vera e propria rivoluzione, nel realizzare una scena di vita vera, ambientata nella regione della Franca Contea natale. Non è un caso che la sezione ponga vicine ai quadri “nuovi” anche alcune opere che ci fanno comprendere come gli anni sessanta dell’Ottocento fossero ancora un decennio in cui persisteva una stretta convivenza degli stili. Per cui alle figure ambientate dei pittori del naturalismo di Barbizon – da Troyon, a Millet, a Corot – si affiancavano quelle dei pittori del Salon, a cominciare dal suo divo, Bouguereau, ma anche quelle dei primi impressionisti, per dire già delle bellissime spiagge normanne di Boudin, tutte sparse, nella luce del temporale imminente o del tramonto avvenente, di figure soprattutto femminili sulla riva del mare. Con la linea ferroviaria che finalmente collega Parigi a Le Havre e Honfleur, con la costruzione delle case di vacanza per i parigini ricchi, con l’apertura di alberghi e casinò a ridosso delle spiagge. Ѐ quella che venne appunto definita la vie moderne, che apre definitivamente la strada delle opere che seguiranno di Pissaro, Renoir, Monet. Tutti loro impegnati a rendere l’esperienza intima della vita all’aria aperta, soprattutto nella dimensione del giardino, come Monet ci mostra in modo meraviglioso nel suo capolavoro del 1873, La casa dell’artista ad Argenteuil.

 

Nel Novecento a passi veloci (ma in silenzio)

Nel primo decennio del XX secolo, mentre era intento al suo poema così variato delle ninfee, Claude Monet rese tra le altre questa dichiarazione: «Quelli che dissertano sulla mia pittura, concludono che sono giunto all’ultimo grado di astrazione e di immaginazione legato al reale. Sarei più lieto se volessero riconoscervi il dono, l’abbandono totale di me stesso». È lo sprofondamento sempre più accentuato, e quasi cieco dentro la materia del colore, per colui che era partito dalla registrazione del dato di natura. Mentre Cézanne, soprattutto nell’ultimo decennio della sua vita, dà luogo alla costruzione quasi eroica delle forme, siano esse natura morta, volti e figure o paesaggio.

Alla fine della mostra il percorso presenta solo alberi. Alberi di Cézanne e alberi di Monet.

Su un’unica parete, due quadri. Il primo dipinto in Provenza a Chȃteau Noir e il secondo nel giardino di Giverny. Negli alberi di Cézanne non c’è più trama, più racconto, nulla di più se non l’atto del vedere e la sua trasformazione in nucleo della realtà. Il tornare a quel punto interno e invisibile che costituisce l’architettura stessa del mondo naturale.

Gli alberi di Monet attuano certamente una delle visioni più radicali ed estreme da lui operate nello scorcio finale della vita, prima delle Grandi decorazioni.

Il pittore non accetta più la visione convenzionale, ma ricerca la prospettiva dell’anima. Tutto si schiaccia contro i suoi occhi e la materia di quei rami, e di quell’acqua che sale dallo stagno in riflessi, è poltiglia alata, materia che occupa tutto lo spazio. Il vuoto è dentro la materia e la materia è pieno e vuoto insieme, in una stordente profondità di superficie, come aveva fatto per vie diverse lo stesso Cézanne.

Annullando l’idea del luogo, e dipingendo invece tutto il tempo dentro lo spazio, Cézanne e Monet aprono con la loro arte fenomenale al XX secolo.

 

Maria Paola Forlani


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