In pochi guardavano la televisione ufficiale a quell’ora. La notizia della morte di Fidel Castro ha iniziato a circolare nella notte di venerdì per via telefonica, come una notizia vaga e imprecisa. “Un’altra volta?”, ha chiesto mia madre quando gliel’ho raccontato. Nata nel 1957, questa donna dell’Avana di quasi sei decadi non ricorda la vita prima che l’Alto Comandante prendesse il potere a Cuba.
Venerdì scorso tre generazioni di cubani hanno messo il punto finale a un’epoca. Ognuno le darà la propria definizione. Ci sarà qualcuno pronto a sostenere che con la dipartita del leader se n’è andato anche un pezzo di paese e che ora l’Isola sembra incompleta. Saranno loro a dare forma al credo del fidelismo che riempirà, in sostituzione dell’importato marxismo-leninismo, i manuali, gli slogan e gli accesi obblighi di continuità.
I propagandisti del mito collocheranno le cinque lettere del suo nome nel panteon della Storia nazionale. Gli dedicheranno una preghiera rivoluzionaria ogni volta che la realtà sembrerà contraddire “gli insegnamenti” lasciati nelle ore dei suoi interminabili discorsi. Per i suoi seguaci, tutto ciò che di male accadrà a partire da adesso sarà perché lui non c’è più.
A Miami, l’esilio tanto disprezzato nei suoi discorsi solenni festeggia il fatto che il dittatore abbia intrapreso il suo ultimo viaggio. Sull’isola, nell’intimità di molte case, alcuni stappano una bottiglia di rum. “La conservo da così tanto tempo che pensavo che non sarei mai riuscito a bermela”, mi ha detto un vicino mattiniero. Sono quelli che sabato si sono svegliati con un peso in meno sulle spalle, una sensazione di leggerezza a cui ancora non riescono ad abituarsi.
Questi sono giorni per ricordare anche chi non è arrivato fino a qui
Questi sono giorni per ricordare anche chi non è arrivato fino a qui. Quelli che sono morti durante il castrismo, che sono naufragati in mare, che sono stati vittime della censura imposta dal Máximo Líder e che hanno perso il senno in seguito ai deliri da lui incoraggiati. Un immenso coro di vittime si libera oggi nel sospiro dei sopravvissuti, nell’euforia per le strade della Florida o in semplice amen.
I più, tuttavia, dopo aver preso atto dei dettagli del funerale magno, abbassano il volume del televisore ed esprimono la loro stanchezza con un semplice movimento delle spalle. Questa indifferenza contrasta con i messaggi di cordoglio dei leader internazionali, tanto di quelli dall’affinità ideologica quanto degli altri. Sul muro del Malecón dell’Avana, un paio d’ore dopo che Raúl Castro aveva comunicato la morte del fratello, alcuni gruppi di persone continuavano a comportarsi come in una qualsiasi altra mattinata: il sudore, la sensualità, il tedio e il nulla li circondava.
I cubani che nel luglio del 2006, quando venne annunciata la malattia dell’allora presidente, avevano meno di 15 anni ricordano appena il suo timbro di voce. Conoscono soltanto le foto in cui era apparso di recente, in occasione della visita di qualche ospite straniero o attraverso le sue sempre più sconsiderate riflessioni. È la generazione che non ha mai vibrato con la sua oratoria e che mai lo ha assecondato al temibile grido di “Paredón!” con il quale fece ruggire Piazza della Rivoluzione.
Questi giovani si sono già fatti carico di ridurre la sua dimensione storica, in proporzione inversa alla smisuratezza esibita per governare questa nazione. Non smetteranno di ascoltare una sola parola delle loro canzoni di reggaeton preferite per intonare lo slogan “Viva Fidel”. Non daranno alla luce ondate di neonati che portano il nome dell’estinto e nemmeno si batteranno il petto, né si strapperanno i vestiti durante il funerale.
Non si è mai sentito parlare meno dell’Alto Comandante come nel momento della sua morte. Mai l’oblio è stato un’ombra che incombe così minacciosa come nel momento dell’annuncio della sua fine. L’uomo che ha riempito ogni minuto di Cuba per più di 50 anni si stava estinguendo, svanendo, perdendosi alla vista degli spettatori di questa lunghissima pellicola, come il personaggio che si allontana lungo un sentiero fino a restare appena un puntino nelle nostra retina.
Lascia dietro di sé la grande lezione della Storia cubana contemporanea: cucire il destino nazionale alla volontà di un uomo finisce per trasmettere a un paese i tratti imperfetti della sua personalità e per instillare nell’essere umano l’arroganza di poter parlare per tutti. Il suo berretto verde oliva e il suo profilo greco animeranno per decenni gli incubi di alcuni o le zeppe poetiche di altri, oltre alle promesse populiste di molti leader del pianeta.
Il suo “antimperialismo”, come caparbiamente lo aveva chiamato, è stato il suo atteggiamento più costante, l’unica linea di traguardo che è riuscito a raggiungere fino agli ultimi risultati. Non a caso, gli Stati Uniti sono stati i secondi grandi protagonisti dei documentari che la televisione nazionale ha iniziato a trasmettere non appena divulgata la notizia. L’ossessione di Castro per il vicino del nord ha percorso ogni momento della sua vita politica.
Questi giovani si sono già fatti carico di ridurre la sua dimensione storica, in proporzione inversa alla smisuratezza esibita per governare questa nazione
L’eterna domanda che tanti giornalisti stranieri si sono posti, ora ha una risposta. “Che cosa accadrà quando morirà Fidel Castro?” Oggi sappiamo che lo cremeranno, trasporteranno le sue ceneri attraverso l’isola e le sistemeranno nel cimitero di Santa Ifigenia, a pochi metri dalla tomba di José Martí. Ci saranno lacrime e nostalgia, ma il suo lascito andrà disperdendosi.
Il Consiglio di Stato ha proclamato il lutto nazionale per nove giorni, ma il panegirico ufficiale durerà mesi, il tempo sufficiente a coprire con tanto clamore la piatta realtà del post-fidelismo. Un sistema che l’attuale presidente tenta di far rimanere a galla, introducendo rimedi di economia di mercato e chiamate al capitale straniero che suo fratello detestava.
Alla rappresentazione del “poliziotto buono e il poliziotto cattivo” che i due fratelli inscenavano davanti ai nostri occhi, ora manca una delle parti. Sarà difficile per i difensori raulisti sostenere che le riforme non procedono più rapidamente né sono più profonde perché in una abitazione di Punto Cero, nella periferia dell’Avana, un novantenne ha il piede sul freno.
Raúl Castro è rimasto orfano. Non conosce una vita senza suo fratello, un’azione politica senza chiedere che cosa ne pensa delle sue decisioni. Non ha mai fatto un passo senza quello sguardo sopra la spalla a giudicarlo, spronarlo e sottovalutarlo.
Fidel Castro è morto. Gli sopravvive una nazione che ha vissuto troppi lutti per vestirsi con il colore della vedovanza.
Yoani Sánchez
(da 14ymedio, 27 novembre 2016)
Traduzione di Silvia Bertoli