Sicilia, terra magica e ancestrale, culla di musicisti, artisti, attori, e scrittori come il grande scrittore e medico cardiologo Giuseppe Bonaviri (Minèo, 11 luglio 1924 – Frosinone, 21 marzo 2009). Nelle sue opere, la terra siciliana è vista come un universo stravagante e impetuoso, ricco di bagliori, di profumi, di sapori, ecc. In poche parole e per concludere sulla sua poetica, possiamo affermare che la Sicilia di Giuseppe Bonaviri è un luogo mitico, in cui si possono vedere ancora oggi i segni della nascita, della dipartita, della fanciullezza, e della scostumatezza. Fatta questa veloce ma doverosa introduzione, passiamo ora all'analisi delle sue opere maggiori.
Nel 1954 esce il romanzo Il sarto della stradalunga. Opera in cui al centro della storia c'è Minèo con le sue fragili baracche, con le sue strade e le sue vie in cui la merda sparisce nella melma, con i suoi zotici e fisimi occupanti, e con le sue atmosfere colme di patimento e di tristezza. In special modo, vengono rappresentati sulla carta i mezzadri di Minèo. Contadini, che sono intensamente uniti al ciclo della vita e che, avaticamente, rappresentano i figli dei fenomeni naturali. Accanto ai mezzadri viene trattato anche il tema della puerizia, vissuta fra povertà e magnifici bagliori etici; e per essere più specifici, il romanzo bonaviriano rappresenta la puerizia epica degli abitanti di Minèo. Fanciullezza riscontrabile nei luoghi, nelle piante, negli animali, nei fenomeni naturali, e in tutto ciò che gira attorno a Minèo. Non solo però bruma e sfiga in questo romanzo c'è, poiché quest'opera vuol dire Piazza Cittadina in cui i bambini giocano felicemente spensierati e paese in cui sentirsi tutti fratelli senza nessun tipo di distinzione etico-socio-umana.
Nel 1958 escono i racconti La contrada degli ulivi. In questi racconti il principale tema sviluppato è quello della dipartita degli uomini, ma, soprattutto e in particolar modo, quello della dipartita facente parte del naturale cammino esistenziale. Inoltre l'Uomo è visto come il ponte, fra gli uomini e gli oggetti. Gli uomini di contrada, come suggerisce il titolo, sono dei semplici mezzadri di Minèo, i quali si lasciano abbracciare e consumare, dai sentimenti della Natura.
Nel 1964 esce il romanzo Il fiume di pietra, il quale ha come sfondo geografico la città di Minèo, che è rappresentata durante lo sbarco degli Alleati. In particolar modo vengono rappresentate le vicende e le avventure di giovani ragazzi; e più nello specifico, vengono illustrate le vicende di Pelonero, Rischino, Colombino, e Stelladoro. Ragazzi che non ribaltano le gerarchie fasciste, poiché essi simboleggiano la libertà totale, attraverso i loro puerili e ingenui bighellonamenti quotidiani. Bighellonamenti che hanno anche il sapore del religioso-sacrale, perché come nell'Ultima Cena di Gesù Cristo, anche questi ragazzi si dividono il pane fra di loro, durante un banchetto rituale; e anche il loro pane è arrivato a loro, con mezzi di fortuna e per interventi “divini”. Al tema dei ragazzi è legato un altro importante tema bonaviriano, ovvero quello della Terra-Madre e dei suoi figli più puri, ovvero questi ragazzi, che non sono quasi mai rappresentati in pozione eretta, ma bensì vengono rappresentati a quattro zampe, inginocchiati, abbracciati ai massi, allungati sull'erba grondante sangue e sulla sabbia grondante paura. Inoltre, questi giovani protagonisti, sono maternamente riscaldati dalle braccia di questa compassionevole Terra-Madre che, così facendo, li protegge da qualsiasi dolore e strazio etico-spirituale. Un romanzo dalla trama aperta, dove i rimandi ai fatti veri sono solo ed esclusivamente utilizzati per allungare la storia, dando così l'impressione che si stia leggendo una storia infinita. Anche in questo romanzo è analizzato il legame vita-dipartita. Romanzo costruito e creato con lessemi disusati, didascalie pastorali, scene marionettistiche, e folclorismi mistico-spirituali. In conclusione, le nostalgie e le reminiscenze mascherano un rimorso familiare, nel quale pure alla Natura viene affidato un ruolo attivo.
Nel 1969 esce il romanzo La divina foresta, il quale può definirsi una genesi in forma romanzesca poiché, a differenza degli altri romanzi, in quest'opera si ritorna alle origini del Mondo. Per essere più chiari, questo romanzo parla della nascita del Mondo, intesa come un partorimento della natura, la quale quest'ultima è composta da maree solari, da trasformazioni luminose, da energie inarrestabili, da abissalità astrali, e da tanto altro ancora. Esistenza del mondo visto come luce-tenebre, in cui tutto può succedere. Scopo principale di questo romanzo è quello di rappresentare l'irrappresentabile e l'irriproducibile nascita del Mondo, in chiave scientifica; e produrre uno schema espositivo in cui inserirci luci e melodie, cielo e terra, bestie e uomini.
Nel 1971 esce il romanzo Notti sull'altura, che analizza il rapporto fra l'essere e il trasformarsi, fra la vita e la dipartita, senza però nessuna divisione fra di esse, ma bensì con il raggiungimento dell'eternità attraverso magie e occulti culti. Inoltre, la dipartita è concepita dal Bonaviri come uno strumento di partenza, per scoprire e spiegare il problema etico-esistenziale, della vita dell'Uomo. Più precisamente, questo romanzo vuole essere un'inchiesta sull'esistenza degli uomini, i quali secondo il nostro autore, non devono vagare per terre cosmico-ancestrali, ma solo ed unicamente per terre, che li portino all'immortalità. Scendendo ancora di più nel dettaglio, questo romanzo rappresenta gli ultimi bagliori della storia umana, arrivando all'estremità della civiltà natale dell'Uomo, ovvero la civiltà mezzadra. Concludo su quest'opera spendendo due veloci parole, sulla sua struttura, colma di confusi pensieri, di assenze umano-sociali, di astratte contemplazioni, e soprattutto di demoniaci capricci.
Nel 1976 esce il romanzo L'enorme tempo. In questo romanzo non ci sono più i miti e leggende siciliane, ma bensì sono rappresentati fatti veri e quotidiani, i quali prendono vita dall'attività di medico domiciliare di Giuseppe Bonaviri. Una Mineo settantottina ci vien mostrata, con i suoi fanciulli infettati, le sue senili straccione, le sue mortali montagne maltose, i suoi pastori ignoranti, i suoi sindaci mafiosi, ed i suoi spettrali camposanti, in cui i morti riposano a cielo aperto. Una città, quella di Mineo, che grazie all'opera del Bonaviri diventa il cuore e il fulcro del Mondo, il quale è composto da luoghi fatiscenti, con le loro strade e le loro vie colme di spazzatura e di merda.
Il 1978 è l'anno del suo ultimo capolavoro, dal titolo Dolcissimo, in cui si riscoprono gli arcaici natali di Zebulonia-Minèo. Origini che simboleggiano l'eterna e definitiva riunione con la terra dei propri padri. Romanzo psicologico, che vuole scoprire, attraverso i labirinti della mente del protagonista Dolcissimo, le mutazioni divine e demoniache avvenute in questo luogo. Protagonista chiave è Dolcissimo, il quale è in grado di estrarre dalla natura tutti i suoi doni più preziosi, lui che vive in piena sintonia e unione con essa; e dalla quale ne ode le dolci melodie, come un bambino avvezzo e affamato di conoscenza.
Stefano Bardi