Il cinema può a volte aiutarci a vedere le cose nella loro “nuda verità”, spoglie cioè dei pregiudizi, dei luoghi comuni, dei falsi miti, che si interpongono fra noi e il mondo; oppure, al contrario, può essere una lente che evidenzia, esaspera quei miti e quei pregiudizi, restituendo del mondo un'immagine palesemente artefatta. Sono due strade diverse che possono condurre a una qualche verità.
È la seconda strada – quella appunto dell'artificio, manifestamente, dichiaratamente tale – che segue il secondo film dello stilista americano Tom Ford (si intitola: Animali notturni, è tratto dal romanzo omonimo di Austin Wright, ed è stato presentato al festival del cinema di Venezia dove ha vinto il Gran Premio della Giuria).
Il racconto si svolge nell'ambiente di quella fascia alta della società americana – californiana – nella quale confluiscono i privilegi della cultura e della ricchezza. La protagonista è la curatrice di una prestigiosa galleria d'arte. E ogni dettaglio in lei e nelle persone del suo entourage (dalle acconciature, al trucco, agli abiti, agli ambienti spesso spogli e rarefatti, di un'eleganza funerea ma indubbiamente eleganti), tutti questi dettagli dichiarano con un'evidenza iperbolica, l'appannaggio di tali privilegi.
Ma, a quanto pare, questo mondo, tanto sofisticato, quanto arido, esangue, è attratto dal mondo a sé opposto: quello dei diseredati, dei criminali, nel quale, si immagina, gli istinti primari, come quelli della violenza o del sesso, sono allo stato selvaggio, e per questo più intensi, forse, a volte, più appaganti.
È un'attrazione che, stando al film, non si trasforma in un'autentica conoscenza di quel mondo, che non sfocia in un contatto diretto che sarebbe ritenuto troppo pericoloso, ma che si sfoga in un vagheggiamento immaginario.
Per esempio, nel caso raccontato dal film, attraverso un romanzo, che ha scritto l'ex-marito della gallerista – che lei aveva tradito e abbandonato tanti anni prima – e che lui le spedisce a casa. E nel quale si racconta di una famiglia – tanto simile a quella formata un tempo dallo scrittore, dalla gallerista e dalla loro figlia adolescente – presa in ostaggio, di notte, sulle strade desertiche del Texas, da un terzetto di delinquenti – giovani, belli e diabolici – e sottoposta – le due donne, in particolare – a violenze di ogni genere, fino alla morte.
In quel romanzo, filtra una fantasia di vendetta dello scrittore contro la sua ex-moglie e contro l'uomo con cui la donna si è poi unita. Perché la violenza – attribuita ai più rozzi o ai più poveri – è a volte quella che i più civilizzati covano nel loro cuore e che devono reprimere.
Nel film di Tom Ford, se del mondo dell'arte si dà una descrizione idealizzata, attraverso immagini tutte estetizzanti, di ricercata bellezza; se del mondo del crimine si dà una rappresentazione altrettanto irreale, perché il crimine appare come sognato da chi non vi appartiene; è proprio nel rapporto tra questi due mondi l'aspetto più autentico del film. E cioè nel sentimento di fascinazione e di spavento, con cui il mondo superiore, o che si ritiene tale, si affaccia sul mondo che ritiene inferiore o infernale. È il sentimento ambiguo che, per esempio, dà tensione alla sequenza molto bella del sequestro notturno della famiglia perbene a opera dei tre criminali.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 26 novembre 2016
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