Esausti del (troppo?) lungo ‘prima’, l’esercizio più gettonato di queste ore sembra per tutti essere il ‘dopo’. Insomma chi ‘vincerà’ se a prevalere nel suffragio saranno i Sì e chi invece se saranno i No. Appunto: che succederà… dopo?
A ben pensarci, però, è stato così fin dall’inizio. A partire dallo “sbaglio” (cit. autografa) di Renzi circa la cosiddetta personalizzazione.
Bene, dunque, e forse anche utile per interpretare correttamente quel che sta succedendo, aprire una parentesi sulla genesi dell’odierno appuntamento referendario che è stata frettolosamente archiviata per la fregola di proiettarsi fin d’allora nella contesa ‘politica’ per la ‘vittoria’. Mi riferisco all’indizione del referendum sulla legge di revisione della Costituzione. Voi tutti sapete che questa procedura è dettata dall’articolo 138 della stessa Costituzione. Orbene, a dispetto di quel ‘dettato’ – che determina tre soggetti (1/5 dei componenti di una Camera, 500.000 elettori, 5 Consigli regionali), e ciascuno separati da un ‘aut’ (non da un ‘et’!), titolati a far domanda di sottoporre a referendum una legge di revisione che non sia «stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti» – cinque sono state le domande in tal senso accolte: quelle presentate dalla maggioranza alla Camera dei deputati; dalle opposizioni, sempre alla Camera; dalla maggioranza al Senato della Repubblica; dalle opposizioni sempre al Senato (tutte e quattro sottoscritte da almeno 1/5 dei componenti) e quella del sedicente Comitato per il Sì (corredata da 500.000 firme di elettori, convalidate dalla Cassazione senza possibilità di ‘accesso’ ai Radicali che ne avevano fatto richiesta). Dove sta il problema? Semplice: logica e buon senso (ma credo anche diritto) avrebbero voluto che, una volta accolta una prima istanza, tutte le altre perdessero d’efficacia essendo il risultato già raggiunto. Invece la Corte Suprema di Cassazione – Ufficio centrale per il referendum – ne accoglie ben quattro con una prima ordinanza e un’altra ancora con una seconda ordinanza. Vabbe’, quisquilie… Cosa cambia? Cambia, per esempio per le nostre tasche di contribuenti, che per effetto della seconda ordinanza il Comitato per il Sì ottiene un bel rimborso (un euro a firma, fate voi il conto). Chissà se e quando la Corte dei Conti avrà qualcosa da dire al riguardo, ma a me sembra proprio una truffa ben riuscita a danno dello stato e un attentato ai diritti politici dei cittadini. E chissà che non sia stato proprio quel bel gruzzoletto a dar l’idea al segretario del PD della letterina a tutti gli italiani residenti all’estero…
Chiudendo la parentesi, chiedo scusa se mi sono troppo dilungato con questa parabola, col rischio di annoiarvi, ma son proprio convinto che questa riflessione sul prima possa darci qualche concreto elemento (sicuramente più concreto di quelli fornitici dagli urlatori di questi giorni) sul dopo che ci attende. Quel che non capisco è perché tutti diano per scontata, in caso di respingimento della revisione costituzionale, la salita al Quirinale di Renzi per la remissione dell’incarico. Se la Carta vigente (che non è quella del ‘48, ma quella -per intenderci- che già include il revisionato Titolo V) e la pur ibrida maggioranza esistente hanno consentito la formazione del suo governo, perché mai, a condizioni immutate, il governo dovrebbe cadere? Lasci Renzi salire Grillo, al colle, il 5 dicembre… e Mattarella senz’altro gli darà un colpetto sulla spalla complimentandosi per il bel risultato. Poiché il voto di Grillo, come quello di Salvini, di Brunetta, di D’Alema, di Cuperlo, di Renzi stesso vale uno, come il mio, personalmente son disposto ad attendere il 2018 per valutare complessivamente l’azione di governo e -perché no?- magari riconfermare il mio appoggio al PD se alternativa più convincente non vi sarà. E a questo proposito è da ringraziare la minoranza dal PD di aver avuto la forza di tenere aperta questa prospettiva, quanto reale e consistente lo potremo valutare solo il 5 dicembre. Perché, di paura di chi tesaurizzerà il risultato contro il merito delle modificazioni introdotte con questa legge di revisione, muore sia chi rincorre non si sa bene quale nuova legge elettorale; sia chi per il piatto di lenticchie di un “Referendum Act”* sacrificasse il peggioramento innegabile degli attuali istituti di partecipazione.
Quanto poi al mantra della “abolizione del CNEL”, se davvero non si tratta di una cartina di tornasole, è indubbio che una legge costituzionale ad hoc riuscirebbe a centrare il risultato, con quadruplice qualificato consenso ex art. 138 e quindi senza nuovo ricorso a consultazione popolare, entro il 2018. Idem – consentitemi di sognare e così metteremmo alla prova anche Grillo – per una legge ad hoc per l’abolizione del quorum dall’art. 75 Costituzione.
Buon voto a tutti, domenica prossima!
Enea Sansi
* Adeguamento della tecnicalità di raccolta autenticazione certificazione delle firme in ogni caso dovuto e dolosamente fin qui non concesso. Peccato giungerà, semmai, quando ad usufruirne saranno soltanto le grosse centrali, cioè ‘loro’. (Cfr. “Referendari e referendum”)