Sabato scorso un collegio ristretto di amministratori locali, tra cui anche il sottoscritto, ha eletto il Consiglio provinciale, nell'indifferenza e disinteresse assoluto del territorio e dei cittadini. Mai mi era capitato di sperimentare un distacco più grande tra quello che la politica dovrebbe essere e quello che diventa quando gli amministratori vengono da una parte sottratti al giudizio del popolo, dall’altra privati della forza e della legittimazione dell’essere eletti direttamente dai cittadini. Si tratta purtroppo di un esito naturale a fronte di scelte precise di una classe politica al governo del Paese per la quale la rappresentatività delle istituzioni sembra essere diventata un fastidio. Di questa cultura di fondo sembra essere intrisa la riforma costituzionale che a breve sarà oggetto di referendum.
Partendo da questa considerazione, indicherò quali sono le ragioni per cui l’Associazione Sondrio Liberale ritiene opportuno votare NO il prossimo 4 dicembre.
Non ci stiamo affatto a passare, noi come milioni di italiani che voteranno no al referendum, per sostenitori della “cultura del no”, per nemici delle riforme, per difensori dello status quo.
La nostra Associazione ha sempre sostenuto, anche con la militanza attiva, le scelte a favore del cambiamento e della modernizzazione del Paese, e le riforme necessarie per attuarlo (purtroppo quasi sempre tradite, pensiamo agli esiti di molti referendum).
In materia di riforme istituzionali, le nostre idee sono sempre state chiare, e sono idee di profonda innovazione per un paese come il nostro.
Siamo sostenitori della necessità di attuare sul serio un modello di Stato delle Autonomie, e con “sul serio” intendiamo la realizzazione dell'incompiuto “federalismo fiscale”: il che significa autonomia e RESPONSABILITÀ. Al potere di autogovernarsi e legiferare a livello periferico deve coincidere la necessità di finanziarsi direttamente, assumendosi pertanto le responsabilità delle scelte compiute di fronte ai cittadini del territorio amministrato. Poche competenze demandate allo stato (sicurezza, infrastrutture strategiche, difesa, giustizia, potere di indirizzo in materia di scuola e università), il resto lasciato al sistema delle autonomie. A garantire l'unità della nazione un presidente della Repubblica eletto direttamente dai cittadini. Un sogno? Forse.
Certo è che la riforma del titolo V della Costituzione introduceva, seppure non compiutamente, un primo embrione di federalismo. Bene, oggi a soli 15 anni di distanza, lo stesso centrosinistra che approvò quella riforma, anziché migliorarla, anziché introdurre (quella sì, sarebbe scelta coraggiosa e riformista) un vero federalismo fiscale, anziché risolvere le oggettive problematiche create dalla legislazione concorrente Stato-Regioni decidendo “chi fa cosa e con che risorse”, smantella tutto, innesta la retromarcia e nei fatti riporta lo stato italiano ad un assetto completamente centralista, napoleonico.
Con la clausola di supremazia, lo Stato centrale avrà uno strumento INSINDACABILE per legiferare su materie teoricamente di competenza regionale (le poche rimaste). Di fatto le Regioni diventano un inutile orpello. Tanto varrebbe eliminarle.
C’è voluto quasi un secolo e mezzo per comprendere che uno Stato nato da una summa di particolarismi, peculiarità, storie e percorsi diversi e che non è riuscito a colmare le differenze tra diversi territori che lo compongono mediante un modello fortemente centralistico, deve sperimentare compiutamente una strada alternativa incentrata sull’autonomia e responsabilità degli Enti locali.
Oggi, una squadra di legislatori improvvisati (la riforma in alcuni punti è scritta talmente male ed è talmente intricata che sicuramente procurerà molto lavoro alla Consulta) ci fa fare un salto all'indietro. Chi sono, dunque, i veri restauratori?
In questa critica radicale di quella che a nostro avviso è la scelta più significativa della (contro)riforma, ovvero il ritorno ad un modello di stato centralista, si inserisce poi la nostra netta contrarietà all'abolizione delle province, a compimento di un percorso ondivago che in nome della riduzione dei costi della politica ha individuato questi Enti come vittime sacrificali.
Una volta cancellata la parola Provincia dalla Costituzione, resteranno competenze e servizi da organizzare sul territorio, resterà comunque l’esigenza, specie per territori periferici come il nostro, di raccordarsi con gli enti di livello superiore, in un contesto in cui anche le Regioni vengono peraltro depotenziate.
Questo compito spetterà a fantomatici Enti di area vasta tutti da inventare, non elettivi, meno controllabili dal cittadino e quindi più soggetti a logiche di scambio, alla mediazione partitica o all’affermazione di interessi personalistici. Insomma, anche sotto questo profilo, una riforma costituzionale che allontanerà sempre di più il cittadino dalle istituzioni.
Per noi, 180.000 cittadini di un ampio territorio alla periferia dell'Impero, la direzione intrapresa dalla Legge Del Rio in avanti delinea un quadro di incertezza, con rischio di ulteriore marginalizzazione. Abbiamo sperimentato un ente elettivo amministrato negli anni con oculatezza, che ha saputo anche compiere scelte importanti fungendo in alcune occasioni da punto di rifermento per un ampio fronte trasversale alle forze politiche e alla cittadinanza, ad esempio in tema di tutela delle acque.
Nonostante le rassicurazioni dei sostenitori della riforma costituzionale, non ci è chiaro, e non potrebbe essere diversamente, come da un generico accenno ai territori montani potrà derivare una tutela specifica del nostro territorio interamente montano e quale sarà lo strumento, in assenza di un ente elettivo, per realizzare le tanto decantate “particolari forme di autonomia”.
Il nostro sarà un NO convinto, motivato, determinato.
Andrea Massera
Consigliere comunale di Sondrio
Coordinatore Associazione Sondrio Liberale