Poetessa schiva, voce dolce e rauca, combaciante con il ritmo del proprio dire, privo di ornamenti, oggettivato in dense immagini.
Poetessa che più di altri ha scritto dello sterminio degli ebrei, dei campi di concentramento, dei forni crematori, anche se non è stata ospite in nessuno dei campi allestiti dai nazisti.
Una testimonianza poetica quella di Nelly Sachs validissima pari al “muto orrore… delle cronache documentarie…”
Nata nel 1891 a Berlino, in una famiglia di origine ebraica, perfettamente integrata nella società tedesca, Nelly Sachs cresce in un ambiente colto, accostandosi alla letteratura e alla musica.
Nel 1908, durante una vacanza si innamora, ma la relazione viene drasticamente ostacolata dai genitori e per il dispiacere la giovane, ancora diciassettenne, cade in depressione e nell’anoressia; ne esce in parte, dedicandosi alla scrittura.
Dopo aver sperimentato la violenta persecuzione nazionalsocialista e la morte di alcuni familiari ed amici nei campi di sterminio, nel 1940 riesce a fuggire da Berlino insieme alla madre e, grazie all’aiuto di alcune amiche svedesi e della scrittrice Selma Lagerlof, si stabilisce in Svezia dove, ottenuta la cittadinanza, dimora fino alla morte avvenuta il 12 maggio del 1970.
A Stoccolma, sua nuova città d’elezione, conduce una vita sobria e traduce poesia svedese in tedesco. Contemporaneamente compone poesie e redige drammi lirici; ha scritto anche i poemi drammatici Segni sulla sabbia (1962), Incantesimo (1970) e raccolte di liriche: Nelle dimore della morte ( 1947), Fuga e trasformazione (1959), Al di là della polvere (1961), Alla ricerca dei viventi (1971).
Nel 1966 viene insignita del Premio Nobel con questa motivazione: «Per la sua lirica notevole e la scrittura drammatica, che interpreta il destino di Israele con forza toccante».
Tra i temi della sua lirica, oltre le persecuzioni nazionalsocialiste e la Shoah, troviamo l’esilio, la pietà, la nostalgia di un Bene perduto, la riflessione sul ricordo. La lingua di struttura discorsiva è dominata da immagini dotate di prepotente visualità fitta di elementi simbolici, metafore e immagini bellissime come quella della farfalla: come farfalle / saremo catturati dagli sgherri del vostro desiderio...
Dalla raccolta Nelle abitazioni della morte emerge poi una poesia scritta in un linguaggio del tutto lontano da codici e definizioni retoriche. Gli stessi termini di metafora e simbolo risultano inadatti per definire la natura di questi segni lirici, di cui la realtà della persecuzione e del dolore rappresentano l'elemento assoluto e insuperabile.
Scrive Walter Busch: «… se Rilke poteva dire di sé che entrava e usciva a piacimento dalle metamorfosi, nella Sachs il dolore è diventato l'elemento stesso in cui vive la sua opera, non più un contenuto che estrae da sé le forme liriche. Se in Rilke la perfezione della riuscita retorica estingue il dolore trasformandolo e sublimandolo, la lingua di Sachs non si concede al gioco dei segni. Il dolore qui non diventa una prestazione poetica, non viene sublimato in figurazioni retoriche, ma si trattiene al di qua del concetto e della metafora, come raddensato all'interno della lingua, inseparabile dalle tracce materiali della sparizione. Parola e cosa, significante e significato sono come concresciuti l'uno nell'altro».
Quando nell’agosto del 1960 l’angoscia e la solitudine intaccano profondamente fragilità e sensibilità, la grazia della Sachs subisce altra ferita e scrive:
L'angelo pietrificato
grondante ancora memoria
di un precedente universo
senza tempo
errante tra le inferme
rinchiuso nella luce ambrata
visitato da una voce primigenia
anteriore al peccato
cantando di verità
nell'aurora -
E gli altri pettinano i capelli dall'infelicità
e piangono
quando i corvi fuori
dispiegano il loro nero a mezzanotte.
Fino al 1969 sono anni di dolore indicibile e di inaudite sofferenze che, in periodi diversi, l’hanno vista degente in un ospedale psichiatrico per sintomatologia psicotica.
Condividendo il destino del popolo ebraico, la poetessa sembra smarrire la propria anima nella parola, da dove però ri-affiora un ritrovamento nascosto, curvilineo, perché, come scrive la germanista Ida Porena, «… ha sperimentato nel corpo e nell’anima il dolore in tutta la sua indicibilità, ne è stata più volte sopraffatta ma è riuscita a dargli voce e questa voce giunge fino a noi dal più atroce dei silenzi, è lo strumento attraverso il quale risuona per noi il dolore maturato nei luoghi dello sterminio trasformato nel dolore del mondo».
Dolore che torna oggi a straziare l’umanità con un nuovo Olocausto, quello dei migranti annegati nelle acque del Mediterraneo o dei morti assassinati, vittime innocenti della follia dei terroristi del sedicente Stato islamico.
Anche a questi nostri morti, spesso, come a quelli evocati in Gli Epitaffi scritti sull’aria di Nelly Sachs,1 non è concessa una lapide o una sepoltura ma solo versi o immagini filmate (cito soltanto Girasoli di mare di Patrizia Garofalo e Fuocammare di Gianfranco Rosi, ma ve ne sono altri).
Gli Epitaffi scritti sull’aria (composti tra il 1943 e il 1946, pubblicati tra il 1947 e il 2010) sono pietre sepolcrali che soltanto il poeta può trovare, ma non il carnefice, dove il poeta può deporre il suo fiore e il suo canto.
Persone che fanno parte in qualche modo della memoria personale dell'autrice e alle quali ella vuole restituire l'essenza attraverso la parola poetica.
L’annegata (A. N.)
Sempre cercavi la perla, smarrita il giorno della tua
nascita.
Cercavi il bene posseduto, musica della notte nelle
orecchie.
Anima lambita dal mare, tu tuffatrice, fino al fondo.
Pesci, angeli del profondo, risplendevano nella luce
della tua ferita.
Versi attraversati da inquietudine e dal sangue di profonde lesioni che si trasformano in immagini tra il reale e l’onirico, talora inafferrabili, ma che elevano il pensiero poetante ad altezze vertiginose.
Nell’attimo una stella chiude il suo occhio
Il rospo perde la sua pietra lunare
Tu nel tuo letto regali il respiro alla notte
Oh carta dell’universo
i tuoi segni cancellano dalla nostra mente
le venature dell’estraneità –
Diseredati piangiamo la polvere
La malinconia e la grazia tuttavia sembrano rinascere dall’oscurità e dal mistero della morte lontana e vicina, mentre la poesia del ricordo e del silenzio segnata dall’angoscia della morte, si manifesta nella raccolta Le stelle si oscurano.2
Ci esercitiamo già alla morte di domani
quando ancora appassisce in noi l'antica morte -
Oh, angoscia insostenibile dell'uomo -
Oh, abitudine alla morte fin nei sogni
dove la notte si frantuma in nere schegge
e l'ossea luna rischiara le rovine -
Oh, angoscia insostenibile dell'uomo -
Dove sono i dolci rabdomanti,
angeli di quiete, che toccano per noi
la segreta fonte che dalla stanchezza
stilla nella morte?
L’angoscia insostenibile si frantuma in nere schegge e invano si cercano gli angeli di quiete… Tuttavia bisogna esercitarsi alla morte di domani per abituarsi al pensiero che la morte prima o dopo, verrà.
La poesia di Nelly Sachs rimane nel cuore di chi la sa ascoltare, a testimonianza perenne degli sconfinati orizzonti del dolore.
Giuseppina Rando
1 Nelly Sachs, Epitaffi scritti sull’aria, trad. e cura di Chiara Coterno, Progedit, Bari, 2013.
2 Nelly Sachs, Poesie, Einaudi, Torino, 2006.