Vi ricordate delle prime ore del mattino, in montagna, quando, in piena estate, il sole brucia già e avete comunque un po’ freddo, quando la luce violenta del pomeriggio sembra introdurre calcio nelle vostre ossa, indurirle, e rendere più pesante il vostro corpo sulla terra, quando si suda a salire tra i sassi e quando vi prende la mania di fiori o nocciole, quando vi sembra si realizzi il sogno della vostra infanzia, quando il piacere dell’avventura che è una pietra muschiata o la resina da masticare o tirare un sasso vi dava la certezza di voi, di essere qualcuno… In buona parte di questi quadri mi sembra che ci sia un po’ di questo.
Tancredi, 1961
Si è aperta alla Collezione Peggy Guggenheim, fino al 13 marzo 2017, la mostra “La mia arma contro l’atomica è un filo d’erba. Tancredi. Una retrospettiva”, a cura di Luca Massimo Barbero.
Ѐ una mostra piena di vita, che cerca di definire, sala per sala, l’alfabeto visivo di questo grande talento della scena artistica italiana del secondo dopoguerra.
Artista istintivo intellettuale, Tancredi riuscì a cercare un rapporto diretto e velocissimo tra la propria mano, il pennello e la tela, fino a realizzare opere fatte d’aria, quadri leggeri, la cui pittura sembra volare su ali di farfalla.
La luce violenta del pomeriggio, l’alito cristallino della luce nell’atmosfera e il portare il proprio corpo sempre alla massima tensione con la bellezza crudele, magica, inarrestabile della Terra e della Natura sembrano essere i grandi “respiri poetici” di sempre per Tancredi, il pittore divenuto leggenda e il grande artista le cui tracce si sono fatte sempre più impalpabili segrete, lontane.
Il mio vocabolario è
L’universo… un uomo è
Tanto più grande quanto
Universo ha in sé.
(Tancredi)
Con oltre novanta lavori, questa importante retrospettiva sancisce il grande ritorno a Venezia di Tancredi Parmeggiani (Feltre 1927 – Roma 1964), tra gli interpreti più originali e intensi della scena artistica italiana della seconda metà del ‘900, Tancredi è stato l’unico artista, dopo Jackson Pollock, con il quale Peggy Guggenheim stringe un contratto, promuovendone l’opera, facendola conoscere ai grandi musei e collezionisti d’oltreoceano e organizzando alcune mostre, come quella del 1954 proprio a Palazzo Venier dei Leoni. Dopo oltre sessant’anni, dunque, l’artista ritorna protagonista indiscusso alla Collezione Peggy Guggenheim con una selezione di lavori, che ricostruiscono in modo intimo e capillare, tra produzione creativa ed emotività prorompente, la parabola breve, ma folgorante, di questo grande interprete dell’arte del secondo dopoguerra.
Partendo da rare prove giovanili di ritratti e autoritratti e dalle prime sperimentazioni su carta del 1950 – 51, le famose “Primavere”, il percorso espositivo, studiato dal curatore della mostra, passa a documentare la ricerca svolta dall’artista feltrino nell’arco dei primi anni ’50, periodo che segna l’incontro cruciale con Peggy, di cui diventa protégé, e che lo portò ad avere un proprio studio a Palazzo Venier dei Leoni. Questo significativo legame è documentato dal consistente numero di lavori appartenenti alla collezione Peggy, arricchito dalle nove opere della donazione Giorgio Bellavitis, ricevuta dal museo nel 2000. La mostra rappresenta inoltre il ritorno in Italia di una preziosissima selezione di opere donate dalla mecenate ad alcuni celebri musei americani.
Per la prima volta, dai tempi di Peggy, sono esposti capolavori come la Primavera, proveniente da MoMA di New York, Spazio, Acqua, Natura, Spettacolo, oggi al Brooklyn Museum, o Senza titolo (Composizione), dal Wadsworth Atheneum Museum of Art di Hartford. Ѐ proprio grazie al rapporto privilegiato che instaura con Peggy che il lavoro di Tancredi acquisisce un respiro internazionale, tanto da farlo diventare molto noto in età giovanissima. Ѐ in questo periodo che l’artista giunge a concepire una pittura personale, micro-spaziale e policromatica, definita da alcuni “molecolare”. Lo stile pittorico è incentrato su una sempre più evidente frammentazione del segno e su un cromatismo lucente, elemento trascinante nelle tele. L’energia del tratto, abbinandosi alle vibrazioni luminose, crea una nuova armonia che corrisponde a uno dei periodi più felici della produzione dell’artista.
Tancredi fu sempre attratto dagli accostamenti dei colori accesi, dalle invenzioni informali che, grazie a un pennello incessante e a una pittura piena di vita e intensità vibratile, occupavano tutti gli spazi della tela.
La grande retrospettiva non manca di documentare la produzione artistica degli anni ’60, momento di crisi e di completa revisione della propria pittura, a cui Tancredi vuole dare un senso esistenziale e politico. Ed è così che la vena della polemica e della tensione di quegli anni di guerra fredda emergono nel titolo della mostra “La mia arma contro l’atomica è un filo d’erba”, frase con cui Tancredi risponde agli innumerevoli conflitti dell’epoca. Di questo momento fondamentale nel suo percorso artistico, sono esposti i tre dipinti della serie Hiroshima (1962).
La parte conclusiva dell’esposizione è dedicata ai collage-dipinti, eseguiti tra il 1962 e il 1963, i cosiddetti Diari paesani e i Fiori dipinti da me e da altri al 101%, che a ragione possono essere definiti la vera rivelazione della retrospettiva veneziana e che sono da considerarsi esempi di eccezionale vigore creativo e drammatica euforia. Immersosi nel clima della nuova pittura degli anni ’60, Tancredi in aperta polemica con essa costruisce nuovi quadri “antieroici”, imbevuti di colore che diviene macchia ora immagine, capaci di alludere alla guerra, alla cronaca o a grandi fiori. Sono queste opere a chiudere lo straordinario percorso, geniale e sregolato, della pittura di Tancredi dedicata alla natura dell’uomo. Quadri che nella loro inquietante felicità cromatica, preludono all’ultimo anno di vita del pittore, tra le più originali e non classificabili personalità della pittura italiana ed europea del XX secolo. Tancredi muore nel 1964 a soli 37 anni, giovanissimo e pronto a entrare, come scrive Dino Buzzati, nel “mito di Tancredi”.
Maria Paola Forlani