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Alfonso Navarra. Usa: Della scelta di Trump e della lezione sempre attuale del Vietnam 
L’operaio dignitoso e intelligente forse ha fatto bene a non votare la Clinton, ma sicuramente non avrebbe dovuto votare Trump
10 Novembre 2016
 

Donald Trump, a sorpresa, è il nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America e promette che cambierà il Paese restituendolo alla sua grandezza, per tener fede al suo slogan elettorale: “Make America great again”.

Dobbiamo imparare a prendere sul serio quanto ha prospettato in campagna elettorale: protezionismo commerciale, riduzione “reaganiana” delle tasse (specialmente per i ricchi, guarda caso) e limiti drastici all’immigrazione (il muro ai confini del Messico!) sono i temi forti che lo hanno fatto vincere. Poi: mano libera alla polizia, all’insegna di “legge ed ordine”. Aumento delle spese militari interne. Ed ancora: aprire una nuova pagina in politica estera, in senso isolazionista, con in primo piano la “riappacificazione” da tentare con Putin. Gli alleati della NATO, se vogliono continuare ad usufruire dell’“ombrello difensivo (anche nucleare)” americano dovranno pagare di più. Ed infine meno fisime ambientaliste. Trump è infatti schierato con Big Oil senza riserve ed è un negazionista dell’influenza umana nel riscaldamento climatico. Ha già dichiarato di non volere finanziare le agenzie ONU che se ne occupano e questo significa far saltare di fatto l’accordo di Parigi. Vuole revocare i limiti di Obama alle trivellazioni marine e agli oleodotti con il Canada. Vuole cancellare i divieti locali contro il fracking, cioè i pozzi e le tecnologie che, a prezzo dell’inquinamento dell’acqua, estraggono petrolio e gas dalle rocce scistose.

L’operaio maschio bianco ha fatto una cattiva scelta se crede che un riccastro imbroglione non lo dimenticherà. C’è da essere perplessi rispetto a chi suona la fanfara del trumpismo anche a sinistra ed intende passare sopra alle sue “piccole intemperanze verbali” giustificando, appunto, gli “strati bassi” che lo hanno votato con spirito di delega al Vendicatore e al Giustiziere. La realtà della stratificazione sociale odierna va affrontata in termini diversi di quelli classici 68ini, senza sperare che il mito della classe operaia di allora possa mai essere riproposto. Per questo potrebbe anche sorgerci il dubbio che siamo dispensati dallo “stare dalla parte dei rozzi e volgari metalmeccanici” persino se fossero, come in realtà nella mia esperienza lo sono, colti e civili molto di più di tanti Sciur Brambilla veramente cafonal. Mio nonno era un falegname comunista che scriveva poesie e suonava il clarinetto nella banda del Paese. E faceva anche il taglialegna a contratto nelle foreste della Sila in pieno inverno. L'arroganza e la villania non fanno parte, nel mio vissuto, della natura del popolo – e non attribuirei le caratteristiche egoistiche dei borghesi debosciati alla gente che sta ai margini della società, di cui ho potuto apprezzare lo spirito di umanità e di solidarietà ad esempio nelle mie esperienze carcerarie. Mi sono trovato, tra le sbarre, sempre a mio agio tra ladri, rapinatori, piccoli spacciatori di droga, più disteso che in certe riunioni di nonviolenti, in condizioni ambientali di sovraffollamento che avrebbero fatto perdere la pazienza anche ai santi. Quindi, per favore, “non adoriamo le parti posteriori del proletariato” (anche questo era un monito di Lenin): non diamo per scontato che gli operai “residui” debbano per forza condividere l'opinione di Trump che “le donne possono essere prese per la f...”. La classe operaia “residua” è ancora uno scrigno di dignità, ci dice Ken Loach nel suo ultimo film, vincitore della Palma d’Oro a Cannes: Io, Daniel Blake. Non credo affatto sia una favoletta per anime scemotte e “buoniste”.

Così come l'oppresso che si rivolta non deve reagire per forza con brutalità e cinica disumanità come un terrorista dell'ISIS. Quando il generale Giap morì ho letto articoli di encomio sul New York Times, un riconoscimento al “nemico” duro ma leale. Un nemico che glie le aveva suonate sul campo agli yankee – l'unico nella Storia – seppellendoli sotto colline di 50.000, diconsi 50.000, croci. E non è che mandassero nei dintorni di Saigon dei boy-scout ma dei bombardieri e degli elicotteri che vomitavano tempeste di napalm. Credete che il generale Giap avrebbe mai solidarizzato con qualcuno che si fosse fatto saltare per aria in un autobus di civili a New York? O avrebbe definito “martire” e premiato la famiglia di chi avesse accoltellato la prima bambina americana passata per strada? Anche per questa condotta di guerra, con l’idea di chi pensa alla pace futura e vuole trasformare i nemici di oggi in amici di domani, per i giri turistici sul Mekong che Jane Fonda poté compiere indisturbata, che i giovani USA divennero a migliaia renitenti alla leva bruciando nelle piazze le cartoline precetto. Anche per questo i Vietcong vinsero la guerra dando una lezione sempre attuale a chi sostiene di occuparsi di strategie e modelli di difesa alternativi.

 

Alfonso Navarra


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