Golden Boy, Mandrogno,
Nato a Betlemme, Abatino...
In mille modi ti hanno definito, Gianni,
ma come si può inquadrare la fantasia?
Quali sono i suoi confini?
Dalla nebbia di Alessandria
a quella di Milano, dal grigio romantico
del Moccagatta al rossonero
e ai riflettori di San Siro breve è il passo
e artistico il dribbling, il lancio lungo,
la visione alla Juan Alberto Schiaffino
– com'eri simile a lui quel giorno del provino
sotto la pioggia al Saini,
sotto gli occhi del Cina Bonizzoni,
l'umanista per eccellenza,
quello del futuro di ieri
(mentre Benito Lorenzi ti avrebbe voluto
alla Beneamata: la tua classe
come antidoto al suo Veleno)... –
e il tiro a rete come un'ultima pennellata
di Rubens o il sublime tocco del Bernini.
A Wembley con il tuo giovane genio
regolasti Eusebio, la pantera mozambicana,
e Coluna, Torres, il centravanti-giraffa,
Águas, già giustizieri del Real Madrid
e delle sue leggende viventi.
Poi fu la mattanza brasileira dell'Intercontinentale,
il Santos di O Rei e gli scippi arbitrali,
il sorpasso dei cugini nel 1965 –
ricordi ancora quel bruciante 5-2
nerazzurro con il tuo gemello Sandro
sugli scudi? – e l'azzurro dolente
di Middlesbrough, con quei coreani
che agli ignoranti occhi occidentali
parevano tutti piccoli, tutti uguali...
Dei Ridolini, dissero. Era il 1966,
e tu eri già come Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band.
1969: dopo lo scudetto, di nuovo
la Coppa dei Campioni... L'arena di Glasgow,
il Manchester United di Bobby Charlton,
lo stempiato re della smeraldina Albione,
della città dal fumo industriale,
smog, pudding, birra e rock.
In finale trovasti con i tuoi dieci fidi
– e Nereo il Paròn in panchina,
giuliano d'altri mondi, padre aggiunto –
l'altro profeta, il divino Johan.
Fu 4-1, con Pierino la Peste
a far tripletta e Angelo Benedicto
a perfezionare il poker,
e tu con quel delizioso assist a cucchiaio,
a testa alta una carezza al pallone...
Così, primo italiano, giunse la gloria
del Pallone d'oro,
sempre più Golden Boy
o, per altri, sempre più Abatino,
come un tempo l'elegante Livio
dei 200 metri piani di Roma '60.
La Plata, Estudiantes... la furia di Aguirre Suárez,
Poletti e Manera, e calci e pugni e sputi,
aghi nel costato, il sangue di Combin La Foudre,
Prati svenuto, Sormani pestato,
Lodetti preso a pallonate,
questa fu l'Intercontinentale 1969:
3-0 e 1-2, campioni del mondo di club
e in fuga dall'ignobile.
Mexico '70: nuvole, templi e vulcani,
i cieli, le luci e le ombre di Tina Modotti,
Nahui Olin e la Rivoluzione permanente
di Trotsky stroncata da una scure,
Luis Buñuel e L'angelo sterminatore,
le acque antiche di Tenochtitlán,
i murales di Orozco, Siqueiros
e Diego Rivera – anche lui un fuoriclasse –
l'uomo di Frida, la visionaria
trapassata da lance acuminate
di dolore, cactus e polvere.
La staffetta... Perché non potevate giocare insieme
tu e il figlio di Valentino
(per Pasolini lui era un poeta elzevirista
e tu lirico prosatore
nella rappresentazione sacra del calcio:
anche qui il mondo era spaccato...)?
Sandro il primo e tu il secondo tempo;
questa fu la diagnosi, questo il verdetto.
4-1 al Messico e la Germania all'Azteca:
gol di Boninsegna e lo spleen del catenaccio,
e chi avrebbe pensato che Schnellinger,
il terzino di Colonia, Mantova, Roma,
e tuo compagno al Milan, avrebbe segnato
al 92' in torbida spaccata di destro l'1-1,
quasi a piedi uniti, come un tackle
alla Salvador Dalí, sulla sfera fatale,
lui che stava avvicinando gli spogliatoi?
Un tiro di dado degli dei
in nome dell'impresa immortale...
Poi le tozze gambe di Gerd Müller, 1-2,
Tarcisio la Roccia Burgnich, 2-2,
Gigi Rombo di tuono Riva, 3-2,
il caracollante Franz Beckenbauer
con il braccio al collo e il passaggio
divino d'esterno, e il tuo errore
(eri appostato sul palo)
per il 3-3 di Müller il fromboliere.
Che cosa ti urlò Ricky Albertosi?
A te, Golden Boy, con la gamba avvinghiata
al duro legno, aggrappato senza volerlo
al peccato originale?
Ma Bonimba non era d'accordo:
ringhiando e sbuffando, fuga
sulla sinistra e cross basso,
radente, dietro, e tu che di piatto destro
spiazzi la mascella di Sepp Maier
e spazzi dal cielo la tormenta,
la paura, ogni tormento.
Il premio furono i 6' della finale
contro... Félix, Brito, Carlos Alberto,
Piazza, Everaldo, Clodoaldo,
Jairzinho, Gérson, Tostão, Pelé
e il Gatto Magico Rivelino.
1-4 e i pomodori all'aeroporto...
E gira l'eterna ruota
delle vittorie e delle sconfitte...
la terribile Verona – quale impietoso karma? –
e il vano titolo di capocannoniere
con Paolino Pulici e Beppe Savoldi.
Per il tuo declino, morbido come un occaso
d'oro e fuoco, ancora le tue finte meravigliose
e lo scudetto della stella...
Correva il 1979, Gianni, e così ti congedasti
dal tuo popolo e dagli esteti del folber.
Quanta strada percorsa da un Mandrogno,
da un Abatino...
Alberto Figliolia