Il centenario della Prima Guerra Mondiale, Grande Massacro 15-18, può essere l'occasione per fare i conti con un capitolo doloroso e rimosso dalla memoria nazionale, quello di mille e più soldati italiani – il numero esatto non è conosciuto – fucilati e comunque uccisi dal piombo di altri soldati italiani perché ritenuti colpevoli di codardia, diserzione o disobbedienza. Fra di loro ci sono anche i decimati, estratti a sorte da reparti ritenuti “vigliacchi” e passati per le armi «per dare l'esempio».
L’Italia detiene il record pesante di essere al primo posto. In un esercito di 4 milioni e 200 mila soldati al fronte ne “giustiziò” oltre 1.000. L’esercito francese che iniziò la guerra nel 1914, un anno prima, ebbe 6 milioni di soldati e 700 fucilati. Nell’esercito inglese furono 350 e in quello tedesco una cinquantina.
Riabilitare la memoria dei soldati fucilati e decimati durante il grande massacro 15-18 è una chiave morale per un centenario che, altrimenti, rischia di essere solo retorico. Non è comunque sufficiente una riabilitazione morale, questa deve essere giuridica. Nel settembre del 1919 ci fu un’amnistia generale che cancellò pendenze penali non gravi. Questa misura non riguardò altri 20mila condannati, tra cui i fucilati con condanna da tribunali militari. I decimati furono passati per le armi senza una condanna formale. Discendenti di soldati fucilati avviarono iniziative giudiziarie e si batterono per anni per vedere riconosciuta la verità su quanto accaduto. Senza nessun risultato positivo. Emblematico è il caso dell’alpino Ortiz, fucilato con tre compagni a Cercivento In Carnia, con l’accusa di diserzione. Un suo pronipote si batte dal 1988, ma invano. La sua istanza di riabilitazione viene rigettata perché secondo i codici di procedura deve essere proposta dall’ interessato, fucilato decenni prima.
In questi ultimi due anni vi sono state molte iniziative per la riabilitazione storica e giuridica dei fucilati e decimati, anche collettiva:
- Perché è impossibile differenziare i casi dei fucilati. Molti documenti sono andati persi e gli archivi sono nel caos.
- Perché i soldati spesso sono stati fucilati collettivamente da plotoni d’esecuzione alla presenza di truppe radunate per l’occasione.
- Perché quelle esecuzioni dovevano terrorizzare la coscienza collettiva dei soldati.
In Italia c’è un vento nuovo che spira verso la riabilitazione. Non sono più i tempi della lettera ai cappellani militari di don Lorenzo Milani, condannata per vilipendio. La sentenza toccò solo il direttore di Rinascita che l’aveva pubblicata, perché Don Milani morì prima.
Le iniziative in corso sono state e sono varie.
Nel luglio 2014 il Pubblico Ministero della Procura di Padova, dr. Sergio Dini, ha inviato una lettera al ministro della difesa Roberta Pinotti nella quale chiese «un provvedimento di clemenza di carattere generale, a favore di tutti i condannati a morte del 1° conflitto mondiale». Dini nella lettera afferma che i fucilati, con sentenze dei tribunali militari, furono circa 750, mentre il numero dei decimati è ancora imprecisato. Nel seguente paragrafo Dini chiarisce il motivo di questo atto di clemenza: «Sig. Ministro anche i caduti sotto il fuoco di un plotone d'esecuzione sono morti in guerra, e (perché no?) sono morti per la Patria; essi furono mobilitati contro la loro volontà per una guerra di cui non ben comprendevano gli scopi, come fu per la maggior parte dei morti in combattimento o in prigionia». Il Ministro Roberta Pinotti ha risposto alla lettera dicendo che ha preso nota del problema e che ha nominato una commissione ad hoc, presieduta da Valdo Spini.
Il 14 settembre 2014 è stato pubblicato nel blog di Daniele Barbieri di un appello redatto da Daniele Barbieri, David Lifodi e Francesco Cecchini che finora ha raccolto ben oltre duecento adesioni con in testa Lidia Menepace, dell’ANPI. Hanno aderito persone ed organizzazioni di diversa posizione politica, come il senatore della Lega Nord, Gian Marco Centinaio, obiettore di coscienza, Sinistra Anticapitalista di Torino o l’ANPI di Cremona. L’appello chiede la riabilitazione giuridica dei fucilati e decimati, basandosi anche sul parere di un avvocato che afferma che la cosa è fattibile legalmente e che si rifà a quanto accaduto in altri paesi. L’appello è stato quasi simultaneamente pubblicato nel sito La Storia Le Storie di Pordenone e poi, via via, nel quotidiano Il Manifesto, nella new letter dell’agenzia internazionale Pressenza, nel sito dell’ANPI di Cremona, nel sito del Manifesto di Bologna, in Agoravox, nel sito di Azione Nonviolenta, nel blog di Paolo Brogi, nella pagina Facebook del CESC, nel giornale on line Oggi Treviso ed in altri luoghi.
All’appello ha accennato il settimanale Famiglia Cristiana e Mao Valpiana, Presidente nazionale del Movimento Nonviolento, in L’Huffington Post. L’appello è stato inviato al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e al Ministro della Difesa. Va sottolineato che Sergio Mattarella è sensibile al tema, avendo presentato anni fa a Palermo Compagnia fucilati di Diego Carpenedo.
Il 4 novembre 2014 l’on. Fabio Lavagno ha presentato una proposta di legge sottoscritta da parlamentari di Libertà e Diritti-Socialisti Europei:
All’articolo 683, comma 1, del codice di procedura penale, dopo le parole: «su richiesta dell’interessato», Lavagno ha inserito le seguenti: «, del coniuge o di un parente entro il terzo grado».
La proposta ha come scopo, innanzitutto, quello di risolvere casi come quello dell’alpino Ortiz, accennato precedentemente.
Nel suo intervento alla camera l’on. Lavagno ha iniziato sottolineando che «La presente proposta di legge promuove un intervento legislativo per restituire dignità e memoria ai soldati italiani uccisi per fucilazione e decimazione». Fabio Lavagno ha parlato della sua iniziativa in una trasmissione di Radio 3, che ha avuto un buon ascolto.
Il 6 novembre 2014 il vescovo ordinario militare monsignor Santo Marcianò, intervistato dall'Adn Kronos ha dichiarato: «Riabilitare i militari disertori, come Caduti di guerra: ‘giustiziarli’ fu un atto di violenza ingiustificato, gratuito, da condannare. È sorprendente con quanta facilità costoro siano stati giustiziati, in molti casi senza un regolare processo e ad opera di altri militari. E che tale esecuzione fosse motivata da ragioni punitive o dimostrative non cambia la realtà: essa è stata e rimane un atto di violenza ingiustificato, gratuito, da condannare. Non c'è ragione che possa giustificare tale violenza, unita a diffamazione, vergogna, umiliazione. Come è già avvenuto in altri Paesi europei, la profonda ingiustizia perpetrata a loro danno sostiene la richiesta di chi vorrebbe una ‘riabilitazione’ di questi militari, tramite un loro riconoscimento come caduti di guerra. Anche lo Stato italiano, in particolare il ministro della Difesa Roberta Pinotti, ha deciso di studiare meglio questa problematica».
A fine 2014, inizio 2015 un appello promosso dal Messaggero Veneto, innanzitutto per la riabilitazione dei fucilati di Cercivento, raggiunse circa un migliaio di adesioni.
Il 21 maggio 2015 fu approvato, all’unanimità, dalla Camera un disegno di legge, presentato dall’on. Gian Piero Scanu del PD, che prevede «la riabilitazione dei militari delle Forze armate italiane che nel corso della Prima guerra mondiale abbiano riportato condanna alla pena capitale».
La faccenda iniziò due anni fa con un appello che un piccolo esercito di storici e intellettuali (fra gli altri Alberto Monticone, Luciano Canfora, Giulio Giorello, Mimmo Franzinelli, Antonio Gibelli, Nicola Tranfaglia, G. Marco Cavallarin). Costoro scrissero al Quirinale e al premier Renzi, nell’imminenza delle commemorazioni del centenario della Grande Guerra. La richiesta era che fossero riabilitati e annoverati nel giusto posto di «caduti per la patria» i soldati italiani fucilati «per mano amica». Un migliaio di ragazzi e ragazzini, le cosiddette “vittime di Cadorna”, assassiniati base alle famigerate circolari di quello che poi fu Maresciallo d’Italia. La più nota sarebbe stata ispirata dal suo consigliere psicologico Padre Agostino Gemelli – che consentivano agli alti comandi e ai tribunali di andare ben oltre i limiti imposti dalla legge. I soldati erano colpevoli di reati disciplinari per i quali non era prevista la pena di morte; oppure avevano cercato di evitare inutili massacri mettendo in discussione l’ordine di assaltare postazioni inespugnabili. La loro morte doveva essere «un salutare esempio» contro «la propaganda demoralizzatrice».
Dopo l’approvazione alla Camera, la legge Scanu passò al Senato dove la Commissione Difesa presieduta dall’on. Nicola La Torre, anche lui del partito democratico che la discusse solo dopo una quindicina di mesi.
La conclusione è che i fucilati e decimati non vanno riabilitati, ma solo perdonati (sic!).
Le reazioni sono state immediate. L’on. Scanu ha dichiarato: «Sconcertante, così si arriva a giustificare le decimazioni». Lo scrittore Paolo Rumiz ha scritto che la posizione della Commissione Difesa del Senato significa una seconda fucilazione per quelle vittime.
Sul tema, lo scorso 4 novembre, a Vittorio Veneto si è tenuto un convegno dal titolo “I fucilati della Grande Guerra: onor perduto?” Sono intervenuti il professor Guglielmo Cevolin dell’Università di Udine, Sergio Dini, sostituto procuratore presso il Tribunale di Padova, e i deputati Giorgio Zanin e Gian Piero Scanu a sostegno della proposta di legge Scanu. Importante è stato l’intervento della segretaria del locale Circolo SEL, che ha valutato positivamente la legge Scanu, ma ha anche ribadito l’importanza che la riabilitazione sia collettiva.
Comunque la legge Scanu non tiene conto che vi furono esecuzioni senza processo conseguenti a circolari ad integrazione del Codice penale militare, che ampliava a dismisura l’art. 40 del Codice stesso e che di misure repressive non sempre rimase traccia a verbale. Inoltre vi furono vere e proprie esecuzioni sommarie da parte di ufficiali o sottufficiali che sopprimevano immediatamente i soldati ritenuti rei di compromettere azioni militari o la sicurezza del reparto.
Quindi l’impegno per la riabilitazione collettiva dei fucilati e decimati durante il grande massacro 1915 – 1918 va continuato, nel paese, nei movimenti e nelle istituzioni. Quest’azione va considerata all’interno di un più grande impegno quotidiano contro gli armamenti, contro il nucleare e contro tutte le guerre.
Francesco Cecchini