Giovanni Semerano (foto, nel suo studio a Nepi), venuto meno nel 2005, definisce ‘lingua’ nei Dizionari etimologici Vol. II de Le origini della cultura europea, Firenze, Leo Olschki editore, 1994: 457:
lingua (*dingua secondo Marius Victorinus, G.L.K., VI, 26, 3): fu ritenuta forma dialettale (sabina?), calcata su ‘lingo’ (lingo, -is, -xi, -ctum, -ere leccare); cfr., accad. walaku (malaku, sum. all-gal: lingua, parte della lingua) dalla base di accad. leku (leccare): ma- (wa-) è prefisso in malaku; cfr., liqu in liq pu (palato), di lequ (prendere su, assumere, to take up); la forma dingua richiama un verbo che è quasi sinonimo di lequ: accad. deku (levar su, to lift, to raise).
È interessante osservare anche il significato opposto all’uso della lingua, lat.:
linquo, -is, liqui, lictum, linquere lascio, abbandono. Forma arcaica liquo.
Capita che de-linquo, ‘lascio da…’ porti all’italiano ‘delinquente’. È un delinquente, infatti, colui che abbandona la frequenza e la comunicazione sociale per isolarsi contro.
Giovanni Semerano mi scrisse quattro lettere prima di finire la vita con l’invocazione Canto per me solo? in La favola dell’indoeuropeo.1
Gli era sfuggito il contributo di Licinio Glori, che aveva pubblicato nel 1956 La pace di Cesare con un proemio, che contiene:
Fu rito della scrittura sumerica incidere Enzu e leggere all’inverso Zuen (semplificato Sin = Luna); diventò uso cananeo scrivere Ba’al diversamente dai correligionari europei di Al’ba. L’ascesa di Babele, verso il 2000 a.C., al predominio mesopotamico sovrappose Bel sia ad Alba che a Ba’al.2
È passato un anno da che mi sono occupato della lingua in Tellusfolio (era il 28/10/2015).
Dunque, la divinità di- è dingir vel digir:
digir, dingir
god, deity; determinative for divine beings (di, ‘decision’, + gar, ‘to deliver’ –meglio: di, dio, gir, ‘fuoco, luce, g, andare, via, -ir’ e di, dio, in, entra, gir, fuoco andare; il dio può andare senza entrare ad indeizzare, digir, e può andare dentro nell’animizzato per portare il suo me, la sua parola).3
L’estrema semplificazione di viene confermata dal ponte dirig:
dirig, diri, dir [SI.A]
n., bridge.4
dal momento che il ponte si passa da una parte dirig e dall’altra digir, quando le due parti sono l’orante ed il tu:
tu
to interfere (cf., tud and tur5) [TU archaic frequency].5
tu15
(cf., tumu –wind-).6
tu15…mer
to be windy (‘wind’ + ‘storm wind’).7
Ma tu15 è il dio vento, direte, e mu è la sua parola! Avete il tumu, vel tomo, il primo pezzo divino e linguistico, nel secondo pronome che i zumerologhi non vedono.
Veniamo al di = dio, non riconosciuto dal diz. Halloran:
di (-d)
n., lawsuit, litigation, case; judgment, decision, verdict; sentence [DI archaic frequency].
v., to judge, decide; to conduct oneself; to go; to escape (di [de2] used as non-finite maru form of dug4, ‘speaking, doing’).
Emesal, cf. de [DI].8
Osserviamo la crasi di+ish: dio + vita-morte:
dish(2), desh
one (dili, ‘single’, + ash, ‘one’ [no: + ish, ‘vita-morte’, nds]; the form resembles that of the semantically appropriate male body part, gish2,3, gesh2,3; cf., mina, min(5,6), ‘two’; cf., tesh2, ‘toghether’).9
Infine, osserviamo dil = di + il = ash, Uno d’origine:
dili, dil [ASH]
one.
adj., each; single; alone; unique.
adv., alone, by oneself.10
Carlo Forin
1 Raccontato a Maria Felicia Iarossi, Bruno Mondadori, 2005: 105.
2 Licinio Glori, La pace di Cesare, Editoriale Dimara, Milano, 1956: 28.
3 John Alan Halloran, Sumerian lexicon, Logogram Publishing, Los Angeles, 2006: 43.
4 Idem.
5 Ivi: 277.
6 Ivi: 278.
7 Idem.
8 Ivi: 42.
9 Ivi: 45.
10 Ivi: 43.