Il terremoto è una calamità naturale, e -come tale- non governabile da forze umane, non si può né abrogare, né ridurre, né riformare. L'unica forma di relazione con una calamità naturale (tutte hanno queste caratteristiche) si chiama tecnicamente riduzione del danno. Poichè il terremoto è pure una calamità naturale frequente, la citata riduzione del danno diviene la politica che si può e deve fare in previsione di esso, che non è prevedibile quanto ai tempi e alle forme misure durata, bensì è una corretta previsione probabilistica da parte degli e delle umane, specialmente se -come noi italiani- si vive in una zona sismica.
Bisogna fare l'elenco dei danni e metterli in ordine di gravità e poi vedere come e quando e quanto si possono ridurre.
Il primo danno è la morte delle persone che avviene per solito per soffocamento ed è evitabile se si esce in strada oppure facendo sì da mettersi in un cubo d'aria che permetta di accucciarsi sotto mobili travi ripiani tavole ecc. e poi con colpi o grida segnalare la propria presenza per i soccorsi
Il secondo danno è la morte degli animali da allevamento che pure possono essere uccisi dalla polvere, dall'abbandono, dalla fame: sloggiare la popolazione da zone terremotate agricole è una risposta che invece di ridurre aggrava il danno e lascia il territorio privo di risorse.
Il terzo è la morte dell'ambiente, se il terreno viene desertificato. In Italia significherebbe alla lunga abbandonare tutto il crinale appenninico e le Prealpi, il che non solo non riduce il danno, ma provoca danni più gravi: un territorio vive se è abitato: lasciato desertificare diventa più franoso impraticabile fragile.
Lidia Menapace