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Realismo Meridiano 
di Gianfranco Cordì
02 Novembre 2016
 

1. LO SPIGOLO

 

«Una compagnia di porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, sentirono le spine reciproche; il dolore li co­strinse ad allontanarsi di nuovo l’u­no dall’altro. Quando poi il biso­gno di scaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro tra due mali, finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la mi­gliore posizione».

Arthur Schopenhauer, Parerga e paralipomena

 

Il «Nuovo» realismo ha puntato tutta quanta la propria attenzione sull’inemendabile. Di fronte alla massiccia in­vasione della Cybersfera (del virtuale, delle telecomunica­zioni, della tecnologia digitale e delle scienze informati­che) la scuola di pensiero fondata da Maurizio Ferraris è riuscita a stabilire che – nel comune sentire degli esseri umani oltre che nella stessa riflessione filosofica propria­mente detta – resta alla fine pur sempre qualcosa che non può essere cancellato da qualcos’altro.

Questo determinato «qualcosa» è uno spigolo di realtà. Cioè: è il punto di incontro tra i sensi ed il cosiddetto «mondo esterno». Chiaramente questa base di relazione ma anche di resistenza ed anche di sfregamento stabilisce, restituisce e (de)limita la distinta zona di un confine; ovve­ro: di un limite, di una barriera e di una saturazione. Ma ogni confine, nello stesso tempo, è anche un momento di scambio. Di un certo rapporto. Di una custodia e di un col­legamento. Nello scambio che avviene sempre tra i sensi ed il mondo esterno avviene una specifica percezione. La quale è, ogni volta, la percezione di uno spigolo. Ossia della parte angolare (od anche laterale) di qualcosa che poi, eventualmente ed evidentemente, continua ad essere per i fatti suoi. La percezione indica perciò l’esistenza e la persistenza di tale spigolo, il quale costituisce l’inemenda­bile. Ci si sbatte addosso, ci si imbatte in esso, sta ancora lì e non lo si può mettere in discussione: lo spigolo oppone forme di resistenza; è duro, è arcigno, è coriaceo; è presen­te. Ma questo spigolo non esaurisce però tutta la realtà.

La destabilizzazione invasiva dell’intero patrimonio sensibile dell’uomo ha condotto la speculazione ad intra­vedere la presenza di qualcosa che non può essere cancel­lato. Nessuno al mondo, del pari, ci assicura che tale spi­goloso istante sia pur sempre tutto quanto quello che ab­biamo davanti o che potremmo avere davanti agli occhi; tutto quello che ci troviamo di fronte durante la nostra at­tenta perlustrazione dell’orizzonte che ci stiamo proponen­do di indagare. Piuttosto, questo spigolo rappresenta sola­mente il fuoco di partenza di un’avventura che dal solerte momento nel quale è avvenuto il cozzo tra sensi e realtà adesso tende a condurci parecchio lontano dall’inemenda­bile. La puntuale notizia della percezione, infatti, può es­sere tranquillamente e nettamente elaborata dalla mente. Mercé le funzioni naturali della ragione umana, la materia fornita dai sensi può ora condurre il pensiero su itinerari molto più distanti dal semplice e solitario inemendabile. Lo spigolo intanto può non trovarsi ad essere e stare da solo.

Esistono numerosi esempi di particolari realtà percepite in un certo modo ma denominate in maniere enormemente dissimili. Ed esistono numerosi esempi di realtà in cui lo sbarramento e la delimitazione causate dalla capacità (tra l’altro, fallibile) dei sensi andando in avanti si scontra con la prosecuzione di un mondo che può benissimo essere ri­cavato per induzione dal dettato percettivo. Se ho qui da­vanti a me un pacchetto di Marlboro Rosse quello che i miei sensi consegnano alla mia mente è, per adesso, la pre­senza di un oggetto che possiede la forma di un pacchetto di sigarette ma con le stesse prerogative e caratteristiche della mia mente posso benissimo accorgermi dell’esisten­za – da qualche parte nel mondo – di un’azienda multina­zionale chiamata Philip Morris che ha mandato in produ­ zione proprio quel pacchetto di sigarette. Cioè posso be­nissimo dedurre – al di là ed anche al di fuori della mia immediata visione e presa in considerazione del mio pac­chetto – l’esistenza di un Amministratore Delegato, di azionisti (di maggioranza e di minoranza) nonché di operai i quali tutti hanno fatto sì che quelle Marlboro Rosse da essi messe in commercio arrivassero oggi proprio nella mia tasca. E non solo. Io posso anche ricordare il momen­to preciso nel quale il tabaccaio di fronte casa mia me le ha vendute. Inoltre: posso anche rendermi conto degli im­pegni di lavoro cui dovevo tener fede e che mi ronzavano in testa nell’istante nel quale ho acquistato quelle sigarette e stavo per recarmi in centro al fine di sbrigare alcune commissioni. Ed ancora: il braccio (che si sporgeva dal finestrino) della ragazza che guidava l’automobile giusto davanti alla mia nel particolare attimo in cui ho acceso la prima di quelle Marlboro Rosse acquistate poco prima. Insomma, quello spigolo dal quale eravamo partiti diventa adesso una pletora lineare di realtà. Ma su questo tornerò nel secondo capitolo.

Con i tre mezzi dell’inemendabile, dei sensi e delle fa­coltà razionali dell’uomo, dunque, mi avvedo, ho contezza e mi rendo conto di una realtà stavolta molteplice e com­plessa: spigolosa appunto. Questa difficoltosa realtà (che va ben oltre l’inemendabile) io posso anche rinvenirla fa­cendo, ad esempio, ruotare la curva (ovvero: il punto di vi­sta) dal quale lo stesso Maurizio Ferraris (ma anche Um­berto Eco, John Searle, Hilary Putnam ed altri) era partito per giungere alla conclusione che nella Semiosfera (o Si­mulacro dei segni e dei significati culturali) del pensiero attuale non permane soltanto l’elemento del virtuale. Jean Baudrillard, per parte sua, era giunto a vaticinare e teoriz­zare nel 1996 l’omicidio della stessa realtà tutta intera per mano della televisione. Ovvero: la completa messa in mora dell’inemendabile. Ma si può evitare uno spigolo? Si può cancellare ciò che non può essere mai cancellato da nulla? Ruotando quella curva iniziale (e quell’ottica) attor­no ad una retta (che diventa: l’asse di rotazione) si ottiene una superficie detta: di rotazione. Intersecando questa su­perficie di rotazione con un semplice semipiano (uscente anch’esso e ancora una volta dall’asse di rotazione) si sta­bilisce l’esistenza di una serie di curve tutte uguali tra loro. Queste curve costituiscono l’apice, il culmine, il sommo. In definitiva esse sono il luogo oltre il quale non è più possibile andare nel movimento di rotazione. Il Meridiano.

Ma cos’è questo apogeo? Cosa è questa maturità dei punti di vista? Esso è anzitutto e appunto bordo, confine, estremo. È l’ottica, la prospettiva ed il punto di vista stesso dello spigolo. Anche facendo spostare completamente in modo circolare lo sfondo della visione (di ciò che ci sta ancora davanti) e lo spasmo dei sensi si ottiene del resto un orlo. Questo con-fine è ancora una volta punto di in­contro (e di contatto) e punto di sutura (è garza, è cerotto ma è anche intersezione, rimarginazione e traspirazione). In questo meriggio – che è luogo di scambio – si può la­sciare passare ancora una volta l’incontro primigenio tra i sensi e l’oggetto che essi hanno davanti. Appare adesso uno spigolo nel Mezzogiorno. Lo spigolo stesso, cioè, è il Meridiano. L’inemendabile è tutto ciò che si ha davanti ora – ed in tutta la sua specifica estensione.

Non si può sfuggire all’inemendabile che è già il massi­mo di se stesso. Il reale è tutto immediatamente presente a se stesso, non ha zone d’ombra, non possiede chiaroscuri, non consente ambiguità: è completamente evidente ed è ineliminabile. Non lo si può trascurare. L’inemendabile preme per essere osservato, valutato e descritto. L’inevita­bile domanda che esso sempre e per sempre pone al sog­getto è: ti stai accorgendo o no che io stesso esisto? Ma questo costituisce già l’acme del Meridiano. Più di questo la realtà non può dire e neppure pretende di voler dire. Essa invece afferma, dichiara, denuncia e impone soltanto la propria improcrastinabile presenza. Lo spigolo è già co­ unque al culmine; è la sommità del Meridiano.

Anche nella geografia si può rinvenire un esempio che fa alla nostra bisogna. Per i due Poli dell’Ellissoide passa­no delle semicirconferenze dette appunto Meridiani. Que­sti archi, che sono linee di longitudine, sono proprio delle linee che uniscono i due punti attraverso i quali passa l’as­se di rotazione terrestre. Esattamente come nella geometria abbiamo perciò che un Meridiano – assieme al proprio An­timeridiano (il quale è sempre opposto ad esso rispetto al diametro della Terra) – formano un cerchio massimo. Un’altra acme. Questo maximum si ottiene dalla interse­zione di un piano che attraversa tutta la Terra passando per il suo centro. Non si può andare, insomma, oltre il cerchio formato dall’unione di un Meridiano e di un Antimeridia­no.

Il colpo brutale che riceviamo imbattendoci nello spi­golo è la cima possibile di un contatto che avviene ancora una volta tra i sensi ed il mondo esterno. L’impatto è il vertice. Ed infatti ogni spigolo è anche un culmine oltre che una linea la quale si biforca a novanta gradi in due al­tre linee. L’angolo costituisce la possibilità di una disami­na – tra percezione, induzione e deduzione – di una realtà spigolosa e irta di trabocchetti. Ma se è vero che i sensi possono ingannare è altresì vero che l’uomo ha a disposi­zione solamente i sensi per rendersi conto della verità di tutto ciò che ha di fronte.

Dunque – per tornare alle teorie postmoderniste – è sta­to ripetutamente detto che l’invadenza del virtuale ha fatto sì che venga considerata come sola realtà quella dei mass-media e dell’elettronica. Prendiamo il caso di una certa no­tizia fornita da un tabloid di grande diffusione nazionale. Per quanto priva di attinenza con l’inemendabile essa sia, per quanto faziosa, forzata, inutilmente fantasiosa, lontana dalla vita di tutti i giorni, qualche margine di contatto con la concretezza delle cose essa deve pur sempre possederla. Umberto Eco stesso ha affermato a più riprese che la se­miosi illimitata è impossibile. Non ci può essere un’inter­ retazione che sia totalmente avulsa dai fatti che, essa stessa, si sta impegnando ad interpretare. Tale sia pur esi­guo margine di contatto con la realtà può essere adesso chiamato spigolo. È evidentemente vero che la Cybersfera può influire nelle vite degli uomini erogando contenuti propriamente e del tutto digitali, procedurali e referenziali. Ma è altresì vero che rimane pur sempre una minuscola briciola di inemendabile. Altrimenti vorrebbe dire che lo spirito critico degli uomini è stato completamente annulla­to. Ma ovviamente, se tale annichilimento fosse vero, gli esseri umani sarebbero del tutto succubi di qualsivoglia fanfaluca; inebetiti, creduloni, senza nessun anticorpo utile a discriminare tra il vero e il falso e quindi tra il bene ed il male; degli sprovveduti.

Ma questo ovviamente è falso. Infatti la presenza stes­sa, durante la cosiddetta fase liquido-moderna (come ame­rebbe dire Zygmunt Bauman) dell’umanità degli enti e delle istituzioni politiche (che non sono mai venute meno) testimonia la rilevanza dello spirito critico e dell’esatto sceverare tra il vero e il falso che è comunque sempre per­sistito. L’inemendabile dunque ha continuato a insistere, ostinarsi e durare anche nella Condizione postmoderna di Jean-Francoise Lyotard. Lo spigolo ha continuato ad esse­re avvistato. E qualcuno ci si è scontrato e magari si è fatto anche male.

Questo «Nuovo» realismo così prende – nel suo stesso nome – i caratteri di una nuova stagione della modernità. «Nuovo» è questo realismo in quanto posteriore allo stesso «Post». Maurizio Ferraris ha dato per consolidato e con­fermato e scontato il fatto indubitabile che la cosiddetta fase post-moderna si sia effettivamente conclusa. Che si sia «estinta», come lo Stato in Marx dopo la Rivoluzione, la fase di transizione, l’avvento della società senza classi e quindi del comunismo. Come evento conclusivo della fase postmoderna Ferraris ha quindi consegnato alle stampe nel 2012 appunto lo stesso Manifesto del Nuovo Realismo. L’avvento dell’inemendabile ha così messo in mora defini­tivamente il decostruzionismo dal quale lo stesso filosofo di Torino proveniva come esperienza culturale. Ma questa «Nuova» stagione del pensiero (all’insegna di un realismo che è «Nuovo» anche rispetto a tutti quanti quelli che l’hanno preceduto – da Aristotele in poi) non si limita a circoscrivere la sfera delle cose che non possono affatto essere cancellate. Lo spigolo è il luogo in cui anche i di­versi si toccano. Vengono a collidere cioè i sensi e l’ogget­to. Si forma una fascia ed una frangia di confine. Ed in questo confine si realizza e si innalza una cima.

Realismo Meridiano è la constatazione di un rapporto tra due cose dissimili che configurano un contatto ed un intervallo i quali sono difficili e duri. L’incontro è spigolo­so, scabroso oltre che irto di problemi. Dire Realismo me­ridiano infatti vuole subito dire complessità e problemati­cità. Da questo spigolo che si è riusciti ad identificare si può far dipanare e può essere fatta dipartire tutta una serie di congetture. Di realtà possibili, immaginate, fantastiche oppure – perché no – vere.

Occorre naturalmente fare un altro passo in avanti dopo l’avvistamento dello spigolo. Con la consapevolezza, però, che le difficoltà anziché diminuire cresceranno anzi di più. Infatti: il mezzo successivo – che si ha a disposizione – ri­guarda la ragione umana e quindi le due capacità di dedu­zione e di induzione. Lo spigolo verrà allora immesso in tutta una realtà che è sicuramente vera ma che di per se stessa sarà – mano mano che verrà snidata – portatrice di ulteriori questioni e sfide.

 

 

2. IL GRADINO

 

«Infatti gli uomini hanno co­minciato a filosofare, ora come in origine, a causa della mera­viglia: mentre da principio re­stavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi proble­mi sempre maggiori».

Aristotele, Metafisica

 

Sia una pedata il punto di incontro tra lo spigolo e l’alzata che conduce ad esso. Siamo giunti alla prova dell’esistenza di tale pedata attraverso l’uso della ragione umana. In effetti: è come se a quel pacchetto di Marlboro – cui abbiamo fatto riferimento all’inizio – con un’attenta osservazione, noi avessimo aggiunto (in quanto realtà altrimenti anch’essa del tutto e completamente inemendabile) il fatto indubita­bile che esso è stato realizzato da qualche essere umano. Che si tratta cioè di un oggetto artificiale e non di un og­getto naturale. Lo spigolo si è immediatamente amplificato così in un'alzata e una pedata. Questa pedata comprende in tale guisa tutti gli esseri umani che hanno fatto sì che quel particola­re pacchetto di Marlboro Rosse sia effettivamente un pac­chetto di Marlboro Rosse. Ma lo spigolo possedeva – come è emerso dal confine e dal contatto da cui era costi­tuito in senso primigenio – un lato che andava in una dire­zione ed un lato che andava in un’altra. Era presente cioè, attestata dai sensi, stabilmente rilevata la presenza di un certo dislivello tra il soggetto che osservava quell’oggetto e la realtà materiale dalla quale esso proveniva. In definiti­va, a cartografare l’esatta sostanza di un piccolo gradino interveniva la consapevolezza dell’intervento della co­scienza (all’interno del soggetto) e del cospetto e della partecipazione della multinazionale produttrice delle siga­rette (all’interno dell’oggetto). Questi sono i due lati lungo i quali si dipartiva la duplice inemendabile realtà di un es­sere umano che va a scrutare e di un oggetto che si lascia, viepiù, scrutare. Lo spigolo nasce quindi dall’intersezione dei due lati del gradino. E la realtà si dilata e si allarga a contenere atti linguistici, lavoro umano, economia politica, filosofia della mente, autocoscienza oltre che il senso del contatto tra tutti quanti questi elementi. Anche questo gra­dino esiste ed è inemendabile. Ma le varie componenti le quali fanno sì che il gradino sia gradino e che lo spigolo sia ulteriormente sempre spigolo rimangono reciproca­mente irriducibili e non ravvicinabili.

Ecco allora ritornare quel Realismo Meridiano – che aveva caratterizzato il discrimine della scabrosa spigolosi­tà di partenza. Questa volta, però, è come se tutta la nostra attenzione fosse puntata verso uno spigolo Mediterraneo. Se è, infatti, vero che il mare di Ulisse è sempre un mare «tra le due terre» è altresì vero che i due elementi che co­stituiscono la dualità dei lati su cui insiste lo spigolo sono proprio queste stesse «due terre». Inoltre, anche il Medi­terraneo, e quindi il Sud del Mondo (l’acme della sfera geopolitica) possiede una sua propria costa che è propria­mente e principalmente un altro limite. Tale costa è pro­prio quel pluriverso irriducibile ad un’unica componente dal quale eravamo partiti. È il limite entro cui comincia un ripiano del gradino e ne termina un altro. Lo spigolo è la costa dove avviene quell’incontro e quello scontro fra la sfera sensibile e l’oggetto che si sta – in quel determinato momento – osservando e ponendo in questione. Anche il gradino (ri)cade sotto l’ottica (piroettata lungo l’asse di ro­tazione) del Realismo Meridiano. E siamo sempre a Sud, nel meriggio, a mezzogiorno, nei pressi della maturità del­la realtà. La quale si presenta sempre sotto le vesti di qual­cosa oltre la quale non si può andare. Ma che è già da sempre immediatamente cogente, rilevante e presente oltre che precisamente definita giusto lungo l’asse di rotazione dei sensi.

C’è nel giornalismo la definizione di ciò che tende co­stituire una notizia e di ciò che si rifiuta a questa regola. Si cita spesso a questo proposito la seguente affermazione: un cane che morde un uomo non fa notizia, un uomo che morde un cane sì. Partendo dal presupposto che l’inemen­dabile esiste, immaginiamo che sulle colonne de La Re­pubblica appaia un articolo il quale affermi che un uomo ha morso un cane. Un filo di verità in questa notizia ci deve pure essere. La Cybersfera non ha del tutto ucciso la realtà. Dunque si è verificato qualcosa che ha molto a che vedere con la presentazione di questa notizia. Questo qual­cosa però ha avuto delle cause ed ha comportato delle con­seguenze. Per cui proprio quello in questione è il gradino che è derivante dallo spigolo (l’evento dell’apparizione della realtà di una notizia che ha affermato: un uomo ha morso un cane).

Questo insieme di cose (di realtà) – il fatto, le sue cau­se, le sue possibili conseguenze – costituisce quel determi­nato gradino dovuto all’opera della ragione umana. Questa precisa occorrenza ed evenienza annulla qualsiasi tipo di deriva fenomenologica non solo nei riguardi del Nuovo Realismo di Maurizio Ferraris ma anche nei confronti del Realismo Meridiano qui presentato. La diverse maniere in cui si manifesta una realtà non sono influenti davanti alla presenza stessa di un inemendabile che non può essere affatto detto in altro modo (rispetto al modo unico con il quale è appunto detto). E se da questo spigolo poi si possono trarre tutte le considerazioni e le conclusioni che conducono alla pregnanza di cause e di conseguenze (altrettanto inemendabili) non diventa più questione di comportamentismi o di varie e cangianti apparizioni di fe­nomeni. La realtà rimane immutabilmente scolpita e rile­vata nella sua rigorosità e puntualità in un gradino. Il disli­vello non può essere però mai superato. Infatti tra soggetto e oggetto si aprono (per via dello spigolo oltre che dell’alzata e della pedata e del gra­dino stesso) tutta una serie di rimandi che sono fra di loro del pari ancora una volta inemendabili. Irriducibili, cioè, ad un solo verso, ad una sola onnicomprensiva spiegazio­ne. Che sarebbe poi quella che scomoderebbe qualcosa come uno Spirito Assoluto nel senso di Hegel, per esem­pio. Oppure di un noumeno altrettanto assoluto e indeci­frabile (come Immanuel Kant sicuramente ci potrebbe in­segnare).

Le cose invece sono complesse e sono irte di spigoli (è proprio il caso di dirlo, in questa sede). Non ci troviamo dunque alle prese con una fenomenologia perché lo stesso pacchetto di sigarette da cui eravamo partiti è un (con)fine ed è un acme. Esso può essere bordato in senso Meridiano. E questo luogo di approccio filosofico non può affatto rap­presentare, adesso, una modalità dell’essere. Essendo il massimo valore attribuibile e deducibile a partire da un oggetto, questa nostra concezione non rappresenta una semplice modalità della sensibilità ma piuttosto la modali­tà massima. Là dove tutti i cinque sensi esplodono, deto­nano e deflagrano è vero che tutte le vacche sono grigie ma è anche vero che non possono che essere solo grigie. Nel buio questo è il loro top. Di più dell’inemendabile non può quindi essere detto.

Se vedo un fabbricato, un grande palazzo a sei piani, io mi fermo (a causa della mia percezione) alla constatazione dei sei piani. Se vedo una strada dritta e lunga io mi fermo con la mia percezione alla constatazione che esiste davanti a me una strada (come davanti a tutti… Mi verrebbe da dire) che posso identificare e scorgere sino ad un certo an­golo visuale con i miei sensi. Ma subito dietro quel fabbri­cato non c’è niente? C’è qualcosa ancora? E subito oltre l’ultimo spigolo al quale la mia vista può farmi giungere non c’è dell’altra strada? Insomma occorre usare la ragio­ne. E questa realtà mista di percezione e di ragione condu­ce immediatamente ad un gradino. Un intero isolato esiste oltre quel palazzo; un’intera via di comunicazione verso altri posti e lontano dal posto in cui mi trovo in questo mo­mento fa continuare quella singola strada oltre il mio sguardo. Esistono altre cose oltre l’inemendabile.

Ci sono più cose in cielo e in terra, oh Orazio, che nel­la tua filosofia. Ci sono più cose in cielo e in terra, oh Fer­raris, che nel tuo inemendabile. Shakespeare, forse, non l’avrebbe mai fatto ma io azzardo anche una parziale conclusione: il gradino è immediatamente realtà. Sia lo spigolo che la pedata che il dislivello possono essere con­siderati (ovviamente pur sempre nella loro persistente problematicità) immediatamente come delle realtà. E questa importante conclusione sferra ora un altro attacco diretto contro il Postmodernismo. La sfera del virtuale si riduce, infatti, ab­bastanza drasticamente. Adesso sembra che la realtà stia uccidendo la televisione e che non valga più il viceversa. Ma quale è il punto di contatto tra virtuale e reale? Esso è ancora una volta nella ragione, nello spirito critico, nella consapevolezza! Tutto ciò costituisce, su un'altra alzata e su un'altra pedata e ad un altro livello, un nuovo spigolo. Anzi no, in verità: tutto ciò costituisce la scala.

 

 

3. LA SCALA

 

«Silvia, rimembri ancora

Quel tempo della tua vita mortale

Quando beltà splendea

Negli occhi tuoi, ridenti e fuggitivi

E tu, lieta e pensosa, il limitare

Di gioventù salivi?».

Giacomo Leopardi, A Silvia

 

La scala è forse la fine del percorso rotante della realtà. Oppure no. In fondo non è possibile dire con esattezza quello che succede lassù. Se la scala fosse l’Universo que­sta questione potrebbe essere risolta nel migliore dei modi. Ma la scala non è altro che un apposito vano che è detto gabbia. Lungo questo vano – ma mica tanto se esiste ed ha una sua ragione d’essere – (s)corrono tutta una serie di gradini o di scalini. Tali gradini sono composti ognuno da un'alzata e una pedata e da un certo spigolo. L’insieme di questi scali­ni è detto rampa. Questi gradini sono disposti lungo piani verosimilmente inclinati. Posando il piede su alcuni ele­menti (detti: le pedate) tale scala consente di superare il disli­vello tra oggetto e soggetto. Cioè, una volta percorsa la scala si arriva alla verità. Ecco che le parole e le cose si fanno congruenti e conseguenti e tutto quanto corrisponde a tutto quanto il resto se viene abbattuta la distanza tra il particolare spigolo e la difficoltà – che è comunque il por­tato più naturale della scala.

Partendo di nuovo dal pacchetto di Marlboro Rosse si è arrivati all’insieme degli operai che ha permesso il fatto certissimo che le diverse fasi di lavorazione industriale portassero le sigarette, ora, nella mia tasca (e questi sono adesso l’azata e la pedata che vanno a formare lo spigolo su cui insiste lo spigolo). Dai suddetti due ripiani, salendo ancora verso una considerazione an­che spaziotemporale e che riguarda la politica, l’economia, l’antropologia, la sociologia, il costume a me contempora­nei, si può giungere alla piena consapevolezza della verità della scala. Le sigarette costano tanto perché adesso l’in­flazione è questa; gli operai in Cina, per produrre, hanno faticato anche di notte perché i turni di lavoro in quel pae­se prevedono anche questa eventualità ecc. Dalla spigolo­sità e dalla difficoltà di partenza di stabilire ed arguire esattamente che cosa fosse quell’inemendabile che ci era­vamo trovati di fronte, siamo giunti al gradino (che copri­va ed insieme disvelava parzialmente la realtà considerata) sino all’universo (o al pluriverso) dove ogni cosa torna al suo posto e siamo di fronte ad un inemendabile che esula dal non poter essere cancellato strettamente inteso delle Marlboro Rosse concepite solo per esse medesime come quella peculiare realtà che ho in questo preciso momento davanti a me. Subito ci si è spalancata tutta una realtà sca­lare che noi abbiamo felicemente scalato sino ad arrivare infine al Meridiano. Il mezzogiorno di quell’inemendabile che avevamo considerato spigoloso in partenza e che ades­so è invece il vertice di una considerazione che più in là di questo non può e neppure desidera andare. Siamo allo ze­nit; siamo al meriggio del realismo. Tutte le discipline cul­turali sono state convocate, tutti i sensi sono stati allertati, tutte le umane capacità razionali sono state messe in moto. Questo è il Realismo Meridiano.

Viene adesso da chiedersi veramente quale spazio ri­manga ancora per le manovre del Postmodernismo e non più il viceversa. Ci sembra di essere e di stare di fronte, in­fatti, solo alla realtà. Ma il punto esatto del nostro ragiona­mento è un altro. La realtà di un giorno è vincolata alle 24 ore. 8 se ne vanno via per il sonno. Le rimanenti per il la­voro e le altre attività quotidiane. Bene! Da questo punto di vista sembra che il Postmodernismo (il quale continua a sbandierare ai quattro venti l’invadenza del virtuale) ci venga a dire semplicemente che un tot di tempo della gior­nata noi lo dedichiamo adesso ad attività digitali e telema­tiche… Il virtuale insomma intacca una delle due dimen­sioni nelle quali si trova il mondo (il tempo) rendendolo infatti tempo reale.

La domanda che nasce a questo punto è: questo sempli­ce cambio di prospettiva (rispetto al periodo in cui la mo­dernità era invece solida) fa sì che la nostra vita cambi drasticamente? Che cambino gli obiettivi delle nostre esi­stenze? Oppure, i nostri stili di vita? La nostra mentalità?

C’è una contraddizione che io ravvedo ad esempio nel meridione d’Italia. I giovani sono sempre più in possesso di ritrovati ultramoderni (iPod, iPhone, iPad, Mp3 ecc.) ma nello stesso tempo mantengono ferreamente una men­talità molto conservatrice e abbastanza passatista. Il virtua­le li intacca e li (sor)prende dal punto di vista del tempo(reale) che essi vi dedicano ma non dall’orizzonte di ragionamento col quale poi compiono le scelte davvero importanti per le loro vite. E neppure nella rispettiva for­ma-mentis che li abita. Mi sembra questa, in fondo, la con­ traddizione in cui è caduto tutto interno il Postmoder­nismo.

Per quanto invasive siano le sfere dei mass-media e del digitale ancora non si è verificato il passaggio ad una real­tà che, con buona approssimazione, potremmo definire pienamente elettronica. La tecnica è solo una protesi del­l’uomo che continua, per altro, a vivere ed a comportarsi come si era sempre comportato e come sempre aveva vis­suto. Altre cose semmai cambiano drasticamente gli stili di vita; in primis il lavoro. E la mancanza di lavoro per i gio­vani non è immediatamente una ricaduta tecnologica quanto piuttosto una caratteristica voluta e dovuta da alcu­ne politiche nefaste piuttosto che auguste.

In verità, il Postmodernismo è stato solo un gioco intel­lettuale di intellettuali. Costoro amavano ritirarsi all’inter­no di «Piccole narrazioni» quando il complesso delle grandi aveva – a loro avviso – fallito il progetto di spiega­re il mondo. Ma essi non facevano che narrare anche in quel caso. E narravano un mondo tecnologico e mediatico solo perché in quella piccola storia che avevano deciso di raccontare e con quella piccola ottica che avevano deciso di inaugurare potevano vedere solo quel mondo. Ma la ve­rità è sempre che la scala rimaneva. E con essa il gradino. E con esso anche lo spigolo.

Il Realismo Meridiano che io propongo e introduco con questo mio scritto vuole riprendersi quello che ci era stato malamente strappato via. Vuol tornare a narrare delle gran­di cose. Degli eventi vastissimi ed importanti. Da un pac­chetto di sigarette al cielo terso nel quale si trovava la con­tea di Henrico (in Virginia) – in cui un certo giorno sono state assemblate per la commercializzazione e il consumo. Del virtuale così resta poco? Certamente no. Anche il virtuale – chiedo scusa per il controsenso – è una realtà. Ma esso non riesce ad annullare la scalarità (o la scalata) della rincorsa difficile della realtà.

Questa particolare ascesa dallo spigolo al pluriverso contempla in sé anche un superamento dell’empirismo. L’esperienza infatti non è la sola fonte della conoscenza se si sono fatte intervenire (a dirimere gli scalini della scala) numerose altre branche del sapere umano. Abbiamo visto viepiù amplificarsi la realtà da quell’inemendabile di par­tenza (e da quello spigolo nei confronti del quale non pote­vano fare a meno di scontrarsi/contrastare il soggetto e l’oggetto).

Questo Realismo meridiano è un realismo estremo e dell’estremo. Un realismo non solo «Nuovo» ma anche li­minare. Oltre il mezzogiorno non si può andare. Oltre la maturità c’è soltanto la senescenza. È un realismo portato alle estreme conseguenze che promette le conseguenze più gravi per uno spigolo che da solo aveva rappresentato già una gravissima smentita rispetto al Postmodernismo. Na­turalmente non esistono solo gli oggetti naturali e quelli artificiali. Esistono anche delle parole che, nel momento stesso nel quale vengono pronunciate, fanno delle cose. Esiste il problema delle istituzioni che è già stato da me affrontato. Esiste il problema della verità, cioè quello della corrispondenza tra ogni parola ed ogni cosa. Ed esiste l’annoso problema delle interpretazioni.

Prendiamo un fatto estetico: io mi trovo davanti ad un dipinto e ne desidero sviscerare il senso. Di fronte ad una natura morta io posso produrmi in una certa interpretazio­ne. Un altro interprete può avventurarsi in un altro tipo di spiegazione. E così via. Cosa rimane alla fine? Intanto, esiste l’autorevolezza. Ecco quello che rimane. Se io sono un noto e influente critico d’arte con tanto di curriculum e di esperienza sul campo, la mia interpretazione ha più va­lore dell’illustre sconosciuto che mi ha voluto seguire lun­go la strada ermeneutica. Certo la mia interpretazione non possiede autorità; possiede autorevolezza. Ma siamo sicuri che non siano la stessa cosa? L’autorità nel campo delle in­terpretazioni di quel quadro dovrebbe essere l’interpreta­zione vera. Chi può emettere tale verdetto? La verità è sempre ed ancora una volta la corrispondenza tra le parole e le cose (delineata e (ri)prodotta dal fatto indubitabile che esiste un interprete certamente dotato di autorevolezza). Dunque per vie abbastanza intricate (ma non impossibili) siamo giunti alla conclusione che se io sono un interprete (dotato di somma autorevolezza) la mia interpretazione non sarà paragonabile a quella di un altro. Avremmo biso­gno di avere a che fare con due interpreti che siano effetti­vamente dotati di somma autorevolezza per trovarci di fronte a due interpretazioni delle quali – essendo diverse – una sia vera e l’altra sia falsa. Ma le nostre due interpreta­zioni possono essere codificate entro una storia dell’arte. All’interno di questa lo storico dell’arte – applicando un metodo composto da una griglia di regole – stabilirà mag­gioritaria una e minoritaria l’altra interpretazione. Quindi io avrò avuto ragione ed avrò detto peraltro la verità. La mia interpretazione (al pari dell’acme dei miei sensi nello spigolo) era la sola possibile.

Il Realismo Meridiano, lo si è detto, fa scendere in campo tutte le discipline di cui si compone la conoscenza umana. Anzi esso fa scendere in campo – nella sua disami­na dell’esperienza – nell’ordine: i sensi, la ragione e le scienze umane (ovvero, la cultura). In questo senso par­ticolare il Realismo Meridiano si annuncia e si sviluppa anche, oltre che come un realismo liminare, come un vero e proprio realismo totale. Assoluto. Proprio perché spinge ogni spigolo alla sua estrema continuazione razionale e culturale facendolo diventare scala, questa particolare qua­lità di realismo contempla e sviscera la realtà in quanto realtà. Mette in scena cioè l’incondizionatezza della realtà. Si presenta come un realismo universale e generale. Il più generale che sia possibile trarre dalla mera considerazione di un pacchetto di sigarette. Dire Meridiano vuole illimita­tamente dire cuspide, sommità, cima, fastigio e tetto. Sia­mo di fronte insomma ad un realismo finale ed estremo. Che parte dalla considerazione di quello che già è un pun­to finale (lo spigolo) e che considera l’inemendabile stesso di Ferraris un’altra vetta e che, infine, configura l’oggetto delle proprie considerazioni come un vertice. Un vertice dovuto al (con)vergere di numerose proprietà del soggetto e compartimentazioni della cultura umana.

La realtà esiste. La realtà non è stata mai fatta fuori del tutto dal Postmodernismo e tantomeno dalla televisione. Il rapporto tra soggetto ed oggetto è sempre l’incipit della realtà ma da sola questa relazione non basta, occorre anche l’urto. E se esiste questo sbattere le corna (per usare un giro di frase molto adatto ad un soggetto cocciuto come può essere chi non si arrende al Delitto perfetto di Baudril­lard) esiste anche uno spigolo. Che può pure essere chia­mato inemendabile. Ma che potrebbe anche essere chiama­to Meridiano o asse di rotazione oppure attrito. E se esiste questo spigolo – per via di induzione – può esistere evi­dentemente anche il gradino. E se esiste il gradino esiste allora anche la scala.

Siamo di fronte adesso ad una realtà molto più vasta e molto più ostica di quella con cui aveva a che fare Mauri­zio Ferraris. L’esistenza di questa realtà pone realmente in questione tutte le ragioni del Postmodernismo e nello stes­so tempo aggiorna anche tutti i realismi precedenti rispetto a questo. Ma, ancora nello stesso tempo: fa sì che non si possa considerare più alcun estremo che sia così estremo da superare il Realismo Meridiano. Il limite è limite pro­ prio per questo: perché non lo si può oltrepassare.

Kant, nella storia della filosofia, è stato il filosofo che più di tutti ha indagato il confine – la zona oltre la quale non si può andare. Kant molto più di Popper ha demarca­to. Le cose sono una certa cosa e non possono essere altro. Su questo «non poter essere» si innesta lo spigolo. Anzi: lo spigolo è proprio questo non poter essere. Non poter es­sere cancellate, non poter essere superate, non poter essere trasgredite, non poter essere rifiutate, non poter essere ne­gate. La vera grande caratteristica della realtà alla luce di questo mio Realismo Meridiano appare proprio questa: essa non può essere negata. Dallo spigolo alla scala tutto quello che viene considerato come ontologicamente ine­mendabile lo è perché è certamente provato dai sensi, dalla ragione, dalla totalità del mondo in cui si vive, dalle varie branche del sapere. Lo stesso mondo che per Wittgenstein rimane pur sempre «la totalità dei fatti» è implicato inte­gralmente nel Realismo Meridiano. Infatti il gesto alla ca­tena di montaggio dell’operaio che ha prodotto le mie si­garette, la stretta di mano del tabaccaio che me le ha ven­dute, il fatto che io nel momento della transazione avessi in mano cinque euro, l’alienazione come forma dello sfrut­tamento capitalistico della classe operaia nelle dinamiche economiche attuali, il gradino dei pigmenti che hanno composto il rosso del pacchetto delle mie sigarette: tutto il mondo ha fatto parte di questa mia enorme e postrema scoperta della realtà.

Il Realismo Meridiano si pone come non oltrepassabile. La realtà si (dis)pone adesso in tutta la propria interezza. Il digitale è pur sempre un mondo ma non cambia profonda­mente le cose. O perlomeno, si avvolge in molte contrad­dizioni. Una volta che si è posto mano ai sensi ed alla ra­gione, invece, le contraddizioni svaniscono. E il soggetto, superato il dislivello viene a trovarsi di fronte un mondo del tutto reale e non più lo spauracchio di un semplice schermo televisivo.


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