Il Nord Africa, la sua magia, i suoi colori e il suo clima sono sempre stati un'attrattiva per gli abitanti dell'Europa del Nord. In queste pagine lo affronteremo brevemente attraverso l'approccio geo-letterario, con il quale la geografia stringe un “patto d’alleanza” con la letteratura, come teorizza Dino Gavinelli (2014), e grazie alla ricchezza e alla veridicità delle descrizioni letterarie, impiegate quale strumenti di informazione e fonte di conoscenza per la geografia, può costruire un senso del luogo, analizzando il rapporto geo-poetico di un prodotto letterario con il suo territorio. Il paesaggio dunque, nel suo rapporto con gli uomini, e quale snodo di destini incrociati, ecco l’oggetto di studio dell’approccio geo-letterario.
Ma cosa si intende per paesaggio? Flavio Lucchesi (2012) riprende la definizione riportata nella convenzione europea del paesaggio (firmata a Firenze nel 2000 e ratificata dallo Stato italiano con legge n. 14 del 9 gennaio 2006), che all’articolo 1 recita quanto segue: «paesaggio designa una determinata parte del territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni». Il geografo procede pertanto alla distinzione fra paesaggio geografico e paesaggio culturale, intendendo con il primo l’insieme degli aspetti sensibili (fisici e umani) di un determinato luogo, percepito dal singolo, e costituisce la sintesi concreta di tutti i fattori che hanno portato all’utilizzazione del territorio. Il paesaggio culturale invece, seguendo anche le suggestioni di Andreotti (1994), è inteso da Lucchesi quale prodotto intellettuale, esistente solo nella mente dell'osservatore. Detto ciò pertanto in queste pagine ci occuperemo di una mediazione, che parte da un paesaggio geografico (Tunisia e Egitto), per intersecarsi con un paesaggio culturale (il mondo interiore degli scrittori), presentato attraverso le opere di due autori: André Gide (1869-1951) e Oscar Wilde (1854-1900). Il primo agli albori del XX secolo visitò la Tunisia e ne rimase affascinato e a tratti folgorato. In particolare nell'opera L'Immoralista, pubblicata nel 1902, descrive il viaggio e la permanenza nel Paese dai mosaici azzurri, in pagine ricche di suggestioni poetiche, ma anche geografiche.
Leggiamo: «Al mattino dell'ultimo giorno di ottobre sbarcammo a Tunisi. Era mia intenzione restarci solo pochi giorni. Vi confesserò quanto fossi sciocco: in quel Paese nuovo non mi attirava niente se non Cartagine e alcune rovine romane: Timgad, di cui Ottavio mi aveva parlato, i mosaici di Sousse e soprattutto l'anfiteatro di El Djem [...] bisognava dapprima raggiungere Sousse, poi da Sousse prendere la corriera: sostenevo che lungo la strada non ci fosse niente degno di interesse per me [...]». L'autore prosegue: «Invece Tunisi mi colpì molto. Nel provare nuove sensazioni, si risvegliarono alcune parti di me, alcune facoltà sopite che, non ancora usate, serbavano tutta la loro misteriosa freschezza». Gide arriva dunque in un nuovo Paese e inizia a lasciarsi conquistare da un'atmosfera nuova, oggi si direbbe dal mood del paesaggio naturale e antropico che lo accoglie. Leggendo queste pagine torniamo indietro di più di un secolo, nella Tunisia francese di fine Ottocento. Una terra ricca di malie per un viaggiatore occidentale. Ma anche un Paese fermo, quasi immobile rispetto alla Francia della Terza Repubblica, proiettata verso la modernità dall'Imperialismo. Proseguiamo dunque nella lettura: «La diligenza di Sfax parte da Sousse la sera alle otto e attraversa El Djem all'una di mattina. [...] Mi aspettavo di trovare un trabiccolo scomodissimo; eravamo invece sistemati discretamente. Ma il freddo!... Chissà perché, confidando scioccamente nel clima tiepido del sud ci eravamo vestiti con abiti leggeri e non avevamo portato che uno scialle con noi… Appena usciti da Sousse e non più protetti dalle colline, il vento cominciò a soffiare. Sollevandosi con grandi sbalzi nella pianura, urlava, fischiava, entrava da ogni fessura degli sportelli». Ed è così che l'autore giunge a Biskra. Un nuovo paesaggio dal quale lasciarsi meravigliare. Gide scrive infatti: «Finite le piogge di febbraio, il caldo scoppiò violento. Dopo molti giorni tetri, in cui era piovuto di continuo, un mattino, bruscamente, mi svegliai che il cielo era azzurro. [...] Il cielo, da un orizzonte all'altro, era puro. Sotto il sole, già ardente, vapori umidi si alzavano; l'oasi, tutta quanta, fumava, si sentiva l'Uadi in piena brontolare da lontano. L'aria era così pura, così leggera, che mi sentii subito meglio». La Tunisia farà scoprire all'autore sfaccettature di sé a lui ancora nascoste, i suoi paesaggi e le sue persone avranno un effetto quasi sconvolgente su Gide. E poi lo scrittore francese tornerà a malincuore nella sua terra natale descrivendoci però prima il viaggio di ritorno attraverso Malta, Siracusa, Taormina, Napoli, Ravello, Paestum, Amalfi, Sorrento, Roma, Firenze, Ravenna per poi giungere infine in Francia.
Un altro autore innamorato del Nord Africa è Oscar Wilde. In questa sede prenderemo in considerazione il racconto “Il principe felice”, contenuto nell'opera Il principe felice e altri racconti pubblicato nel 1888. In esso lo scrittore irlandese narra la vicenda di una rondine che dal Nord Europa inizia il viaggio stagionale di emigrazione verso l'Egitto. L'Autore pertanto permette al lettore di scoprire un Paese, l'Egitto, non attraverso la propria esperienza, come in Gide, ma per mezzo della magia di una fiaba.
Leggiamo nel racconto: «Il clima nel nord dell'Europa è veramente capriccioso. [...] Questa notte partirò per l'Egitto disse il Rondone pieno di entusiasmo davanti a questa prospettiva. Visitò tutti i monumenti della città, e si posò a lungo sulla cima del campanile». E poi partì.
Durante il tragitto si fermò, per una sosta, in un non precisato Paese dell'Europa del Nord e fece amicizia con la statua di un principe. Essa era interamente ricoperta d'oro e pietre preziose.
Scrive infatti Wilde: «Nel punto più alto della città, su un'alta colonna, stava la statua del Principe Felice. Era tutto coperto di sottili lamine di oro preziosissimo, come occhi aveva due zaffiri lucenti, e un grande rubino brillava sull'impugnatura della spada. Era molto ammirato da tutti». [La rondine] Volò tutto il giorno, e di notte arrivò in città. Dove mi poserò? – si domandò il Rondone. – Spero che la città possa ospitarmi. Detto questo, vide la statua sull'alta colonna. Mi metterò là – disse ad alta voce, – è una posizione bellissima, ben esposta all'aria aperta. Così il Rondone scese tra i piedi del Principe Felice. Ho un letto d'oro disse tra sé, guardandosi attorno, e si preparò per dormire; ma aveva appena messo la testa sotto l'ala, che una grossa goccia d'acqua cadde su di lui. Che cosa curiosa! – pensò. – Non c'è neppure una nuvola nel cielo, le stelle sono chiarissime e lucenti, eppure sta piovendo». La rondine guardò in alto e vide che il principe piangeva. Allora essa gli chiese il motivo delle sue lacrime ed egli le rispose che piangeva perché in vita non si era mai accorto della sofferenza dei suoi sudditi, ma ora che era morto poteva vedere le difficoltà nelle quali si trovavano tanti abitanti del suo Paese. E fu così che il Principe iniziò a chiedere alla giovane rondine di prendere di volta in volta una gemma preziosa dal suo corpo e di donarla ad un povero. Nella prima risposta della rondine a tale richiesta, cogliamo l'immaginario che il mondo vittoriano aveva dell'Egitto. Wilde infatti scrive: «Mi aspettano in Egitto – rispose il Rondone, – domani le mie amiche voleranno fino alla seconda cateratta. L'ippopotamo nuota tra i giunchi e su un trono di granito siede il dio Memnon. Tutte le notti guarda le stelle, e quando la stella del mattino brilla, egli lancia un grido di gioia, poi fa silenzio. A mezzogiorno i leoni dalla bionda criniera scendono a bere fino al bordo dell'acqua. Essi hanno occhi come berilli verdi e il loro ruggito è fragoroso come il rumore della cateratta». Ma poi la rondine si lasciò conquistare dalle richieste del Principe e iniziò a spogliarlo di tutti i suoi preziosi, fino al sopraggiungere dell'inverno. Proseguiamo a leggere il racconto: «È inverno – [disse] il Rondone, – e la fredda neve scenderà ben presto. In Egitto il sole è caldo sui palmeti verdi, e il coccodrillo si allunga pigramente nella palude. Le mie compagne stanno costruendo un nido nel Tempio di Baalbec, e le colombe rosa e bianche stanno guardandoli e tubano fra loro. Caro Principe, io devo lasciarti, ma non ti dimenticherò, e la prossima primavera ti porterò due bellissimi gioielli in cambio di quelli che hai ceduto. Il rubino sarà più rosso di una rosa rossa, e lo zaffiro sarà blu come il grande mare». Ma la rondine non riuscì a lasciare il Principe, oramai spogliato di tutte le sue gemme preziose e delle foglie d'oro. Nel finale del racconto ancora Wilde descrive ai lettori la magia dell'Egitto, filtrata dall'immaginario occidentale di fine Ottocento: «Ora sei cieco – [disse la rondine al principe], – starò con te per sempre. No, Rondinella – disse il povero Principe, – devi volare in Egitto. Starò con te per sempre insisté il Rondone, e dormì ai piedi del Principe. Tutti i giorni che seguirono il Rondone si sedette sulla spalla del Principe e gli raccontò quello che aveva visto di strano nelle terre dove era stato. Gli parlò degli ibis rossi, che stavano in lunghe file sulle rive del Nilo, trasportando pesci rossi nel becco; della Sfinge, che è vecchia come il mondo, e vive nel deserto, e conosce ogni cosa; dei mercanti, che camminano lentamente al fianco dei loro cammelli, portando rosari d'ambra nella mano; del re della Montagna della Luna, che è nero come l'ebano, e adora una grossa sfera di cristallo; e del grande serpente verde che dorme tra le palme, e ha venti preti che lo nutrono di torte al miele; e dei Pigmei che navigano su un grande lago a bordo di una vasta foglia piatta, e sono sempre in guerra con le farfalle».
Da quanto fino a qui esposto, si è avuto modo di entrare in due paesaggi geografici, la Tunisia e l'Egitto a cavallo di due secoli (XIX e XX), che si intrecciano a due paesaggi culturali, quello di Gide e quello di Wilde, consentendo al lettore di vivere i due paesaggi in un'unica esperienza, quella geo-letteraria.
Bibliografia
Giuliana Andreotti, Riscontri di geografia culturale, Colibrì, Trento, 1994.
Giuliana Andreotti, Paesaggi culturali. Teoria e casi di studio, Unicopli, Milano, 1996.
Dino Gavinelli, Geografia e letteratura, la dimensione oggettiva e soggettiva della narrazione. Relazione tenuta ad Aosta il 27 marzo 2014.
André Gide, L'Immoralista, Garzanti, Milano, 1999.
Fabio Lando (a cura di), Fatto e finzione. Geografia e Letteratura, Etaslibri, Milano, 1993.
Fabio Lando, Geografia e letteratura. Le modalità per un’interazione, in F. Lando - A. Voltolina, Atlante dei luoghi. Ipotesi per una didattica della geografia, Libreria editrice Cafoscarina, Venezia, 2005;
Flavio Lucchesi, Sviluppi teorici e tematiche di indagine negli Studi di geografia umanistica: i paesaggi letterari e quelli cinematografici, in ACME - Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano Volume LXV - Fascicolo II - Maggio-Agosto 2012.
Marina Marengo, Geografia e letteratura. Piccolo manuale d’uso, Patròn, Bologna, 2016.
Oscar Wilde, Il principe felice e altri racconti, La Medusa, Marsala, 2009.
Simone De Andreis