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Gianfranco Cordì. La politica del “Nuovo Realismo”
27 Ottobre 2016
 

Diceva Sigmund Freud che esistono due principi i quali sovraintendono alla nostra psiche e al nostro rapporto con l’ambiente circostante: il «principio di piacere» e il «principio di realtà». L’uno si scontra con l’altro. Da una parte le nostre aspettative, le nostre capacità, le nostre risorse, dall’altra i problemi, i limiti, le barriere che la realtà mette rispetto ai nostri desiderata. Diceva Karl Marx che nella società senza classi si sarebbe verificato che ogni cosa sarebbe stata divisa «da ciascuno secondo i suoi bisogni, a ciascuno secondo le sue capacità». Da una parte i bisogni, le cose che ci mancano, i desideri che non possono essere soddisfatti, dall’altra le nostre attitudini, il nostro corredo genetico di potenzialità, i nostri desideri che bramano di essere soddisfatti. Diceva la politica che essa è sempre composta da desideri e da bisogni, da attitudini e da problemi, da risorse e da tentativi inespressi di stare meglio. Insomma da una parte c’è tutto quello che va, dall’altra tutto quello che ancora, nonostante tutti gli sforzi che sono stati fatti negli anni per potere cambiare le cose, ancora non va. Ma alla fine della fiera (che è sempre «ra») cosa vincono alla fine: i problemi o le risorse?

Non si tratta di vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, si tratta, invece, di rendersi conto della realtà: che è sempre inemendabile. Maurizio Ferraris diceva che esiste una soglia, un limite, un bordo che non è possibile superare, pur con tutto il pieno delle nostre interpretazioni («Le cose stanno andando bene, anzi benone!», «Le cose stanno andando malissimo, anzi di male in peggio!»). Insomma diceva Maurizio Ferraris che possiamo interpretare quanto vogliamo: alla fine un nucleo inemendabile di realtà esiste e persiste. Nel caso della politica (stretta fra problemi da una parte e capacità dall’altra) questo nucleo inemendabile appare la sua stessa capacità di decidere: la politica è sempre la sfera delle azioni umane che prende le decisioni che riguardano tutta la società. Ma come decide la politica? Niccolò Machiavelli affermava che «Sendo, dunque, necessitato sapere bene usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe e il lione, perché il lione non si difende da’ lacci, la golpe non si difende da’ lupi. Bisogna, dunque, essere golpe a conoscere ‘e lacci, e lione a sbigottire ‘e lupi». Cioè chi governa deve decidere senza tanti scrupoli ma con furbizia (o arguzia) e forza (o potere). Si deve decidere con mano ferma e spirito intrepido: con quel coraggio che ebbe il titano Prometeo, quando nella tragedia di Eschilo, rubò il fuoco agli dei per donarlo agli uomini. Ovvero peccò di hybris (di tracotanza).

La politica, e quindi il potere – che non ha mai divorziato da essa – come afferma per esempio Zygmunt Bauman afferendo come esempio quello delle Multinazionali che – essendo oramai, nei loro movimenti all’interno della globalizzazione, del tutto deregolamentate – devono quindi essere dure, ferree, devono decidere in maniera rigida e senza compromissioni con sentimenti che non siano quelli strettamente riguardanti la scelta che si sta compiendo in quel momento. La politica deve essere realpolitik e guardare all’inemedabile nucleo del quale sono composte le cose decidendo alla meglio fra problemi e risorse.

La realtà torna dunque ad essere la protagonista del discorso politico: se è vero, come è stato detto, che la globalizzazione non è affatto riuscita a scalzare il potere (sia pure esso, di nuovo rigeneratosi, nella forma di biopotere) che solo spetta alla sfera decisionale – sia pure essa declinata oggi nei termini della biopolitica. Le Multinazionali, infatti, decidono solamente all’interno dei loro confini e tuttalpiù nei confini del mercato globale che esse dominano. Ma non possono, al pari dell’ONU ad esempio, emettere decisioni che siano vincolanti per numerosi Paesi della Terra. Problemi e risorse si diceva, e nel mezzo l’inemendabile.

La politica – in termini del «Nuovo Realismo» di Maurizio Ferraris – deve tornare a fare la politica. Deve essere capace di scelte anche dolorose, se è necessario. Deve confrontarsi con la realtà e non con la sua interpetrazione. Se un reality-show si configura all’interno di una casa (la casa del “Grande Fratello”, ad esempio): qualsiasi telespettatore non deve pensare che quella casa sia una casa reale. Che le cose che avvengono in quella casa avvengono realmente in ogni casa o che le cose che avvengono in quella casa siano effettivamente reali e non manipolate dagli attori e dagli autori del programma o dal mezzo televisivo stesso che, comunque, non è mai la realtà ma una rappresentazione della stessa. Al di là delle interpretazioni si deve sempre tenere presente che il virtuale (checché ne dica Baudrillard) è una cosa e che il reale è un'altra. E che il virtuale non può mai sostituire (o «uccidere», come affermava lo stesso Baudrillard a proposito della «televisione» che «ha ucciso la realtà»). La tragedia dell’11 settembre del 2001 vista in televisione è una cosa: vista in prossimità delle Twin Towers è un'altra. E gli abitanti di Manhatthan che hanno assistito alla tragedia in televisione non si sono resi conto della realtà di Ground Zero per quello che era sino a quando non sono andata a vederla di persona. In televisione ci può essere solo il «simulacro»: i problemi e le risorse esistono e la politica deve decidere in maniera rigida (senza nessuna concessione neppure ai sentimenti più vicini al nucleo centrale stesso della scelta in questione) solo nei riguardi della effettualità delle cose e non nella sua rappresentazione mediatica. Era sempre Machiavelli a dichiarare che «Ma sendo l’intento mio scrivere cosa utile a chi la intende, mi è parso più conveniente andare drieto alla verità effettuale della cosa, che alla imaginazione di essa». Alla «verità» effettuale della cosa si arriva analizzando problemi e risorse, limiti e capacità, «principio di piacere» e «principio di realtà», «bisogni» e «capacità». È la realtà che sempre sta nel mezzo fra le cose che vanno e le cose che non vanno. E la politica del periodo «Nuovo Realista» deve sempre fare i conti con la realtà.

 

Gianfranco Cordì


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