Qualche volta può accadere che dopo quarant’anni e passa e a distanza ragguardevole, senza nessuna corrispondenza di mezzo, ci si incontra, per il tramite d’un libro, tra allieva e professore.
È accaduto a me qualche anno fa quando Patrizia Garofalo, mia allieva all’Università di Urbino, navigando su internet –si dice così– si è imbattuta nel titolo di un mio libretto di versi, L’alibi del clown, mio esordio pubblico a settantacinque anni. Se lo è procurato attraverso la Fondazione “La Radice” promotrice della pubblicazione. Insieme ha avuto le mie coordinate residenziali e si è iniziata un’amicizia telefonica d’una certa frequenza e da parte di Patrizia l’immediata pubblicazione su TellusFolio delle mie rare nugae che mi è capitato di scrivere dopo l’uscita della plaquette Come la vita del 2012.
La cosa riveste per me motivo di grande piacere e di sottile e intensa soddisfazione, dopo aver difeso per anni il mio ruolo di autore inedito con tutta la civetteria di cui sono stato capace.
Questo andava detto per la cronaca che può dirsi veramente di suggestione piacevole a livello umano e professionale.
Ora ricevo l’ultima raccolta di Patrizia intitolata Girasoli di mare e dalla nota biobibliografica apprendo un’attività di autrice e di impegno culturale davvero ampia e complessa... Come per esempio il fatto che il suo primo libro di versi Ipotesi di donna è stato prefato da Giorgio Caproni, uno dei più grandi poeti del Novecento, che io ho frequentato quando preparavo la monografia sulla sua opera poetica alla fine degli anni settanta.
Confesso che non conosco le opere precedenti di Patrizia, perciò mi limiterò ad alcune annotazioni relative alla lettura della raccolta citata.
In primis va rilevato che si tratta di una scrittura poetica di forte impatto per temi e cifra espressiva, rilevando di sguincio alcune parole-chiave come deserto, sangue, vento, mare, distacco, abbandono, luce etc.
Non so resistere, a proposito del titolo, alla tentazione di citare il montaliano “girasole impazzito di luce” e il “mare” che è, come si sa, uno dei centri tematici –la sezione Mediterraneo– in Ossi di seppia..
Ma chi può sfuggire alla ingombrante presenza di Montale.
Poi va sottolineata l’eleganza raffinata della comunicazione del suo sguardo vigile e sofferto sulle cose del mondo occorrenti ai tempi suoi.
Voglio dire che la certezza dei fatti si riscatta nella speranza delle parole “per una terra promessa” in un paesaggio interiore ed esterno di “macerie” perché la parola è come “il seme entrarmi dentro/ caldo”.
Tutto il paesaggio scrutato dal suo sguardo –il suo “muro di cinta” è di “desideri smarriti [che] naufragano” e “Le stelle barcollano/ qualcuna inciampa/ cade, colpisce/ per troppa luce”.
Gli occhi più che guardare scrutano pronti a cogliere dovunque quei valori incalcolabili che sfuggono a ogni ordine.
Così la poesia di Patrizia Garofalo si riempie di atmosfere, luoghi, ore del giorno e della notte, gesti, cose, e tutto si declina nella sua luce crepuscolare più che meridiana.
E i microcosmi della vicenda umana sono frammenti di memoria e per accumulo complicano le intuizioni estemporanee creando una sorta di vertigine labirintica.
I fantasmi di “amori proibiti” ossessionano l’ipotesi di salvezza, nonostante persino “i peccati attendono sempre d’essere vestiti d’amore” e poi forse si “trova il mare”.
Vale la pena citare, a questo proposito, Biglietto da Lucrino di Enzio Cetrangolo, grande traduttore di Lucrezio, Virgilio, Orazio e dell’Odissea, e poeta delicatissimo di Inni e Notturni, di I Miti del Tirreno che conservo con cura e affetto per le dediche e per la bellezza: Non temi i miei distacchi/ sai che ti smarrisco per poco// Così un volo di gabbiano/ ingannato da un lago/ ritrova il mare vicino.
Vi è diffusa nei versi la constatazione dell’impotenza “prima che il cuore/in terra lontana” possa aprirsi “ad una via di fuga”.
Insieme alla lontananza è condicio sine qua non della “logorata trama del nostro niente”, perché si nutre di “disperse meraviglie” e “il sipario leggero/ svela il dolore/ che affatica”.
Ormai è certezza certificata “Mi appare lontano oggi/ il declinare sentimenti d’amore” perché la vita s’incarica “a coprire di vento/ quanto resta dalla mattanza”, cosicché “di tramonti ed albe confuse/ nell’ambigua ora del non-senso” si consuma il vivere quotidiano all’insegna dell’amore deserto laddove “non torneranno più le rondini”.
Patrizia Garofalo mostra grande sapienza nella mappa della sua vocazione letteraria, “a scavare parole/ nell’inferno dei viventi”.
Ma forse in fondo non è la sola che vive la sua personale saison à l’enfer nell’esilio d’una condizione di struggenti nostalgie, di “deserta luce” esposti come siamo “all’arsura inquieta del distacco”.
Nella bellezza della “fine-pena mai” mi piace ricordare un verso, da me invidiatissimo, dell’amico poeta Ferdinando Falco “quoque tu gridando addio”.
Ma Patrizia è capace di assumersi le responsabilità della “decenza quotidiana” quando dichiara apertamente “Resisto al dissenso/ ormai/ lontana/ Attendo”.
La palese provvisorietà del tutto richiama alla memoria gli ultimi versi del Sogno del prigioniero montaliano: “L’attesa è lunga/ il mio sogno di te non è finito” seppure nella definitiva constatazione che “Deserta è la parola svelata/ anche quella di Dio” da cui discende l’ultima ed estrema ammissione “Mai tanto deserto/ confuse la rotta dell’esodo” e quindi, alla fine delle fini, “la riva è il perimetro/ del nostro dirci” dove la vita si fa parola e la parola vita.
Antonio Barbuto
Patrizia Garofalo, Girasoli di mare
Blu di Prussia, 2016, pp. 64, € 10,00
(La raccolta è in vendita anche presso
LABOS Editrice in Morbegno, Via Fontana, 11)