Esce questa settimana nelle sale l'ultimo film di un grande regista francese, André Tèchiné, un autore, negli ultimi tempi, a mio parere, ingiustamente trascurato dalla distribuzione italiana.
Il film si intitola: Quando hai 17 anni; è stato presentato con successo all'ultimo festival di Berlino; e arriva in Italia grazie alla casa di distribuzione Cinema di Valerio De Paolis.
Perché si tratta di un bel film?
Una delle ragioni è che riesce a raccontare, con senso di verità, la prima radice di ogni storia d'amore, quando non soltanto ancora non sappiamo se la persona che amiamo ricambi il nostro amore, ma noi stessi non siamo pienamente consapevoli di essere innamorati di quella persona.
Il film racconta, insomma, almeno nella prima parte, lo stato tumultuoso, pieno di contraddizioni, dei sentimenti di un amore nascente; la cui confusione è esasperata dall'età dei protagonisti che, come indica il titolo, sono adolescenti, e dunque vivono emozioni allo stesso tempo molto intense e a loro ancora sconosciute, e che a momenti li spaventano.
In effetti, a considerare le prime scene del film, più che di amore pare che si tratti di bullismo.
In un liceo di una cittadina francese di provincia, uno studente nero perseguita uno studente bianco: gli fa lo sgambetto in classe, lo aspetta all'uscita della scuola per prenderlo a spintoni, lo insulta come per provocare una rissa.
Le ragioni di tanto odio sono oscure, perché l'invidia – lo studente bianco ha voti migliori – non sembrerebbe bastare a giustificare un odio appuntato su una sola persona. Del resto i due si osservano, si spiano. Sembrano segretamente attratti fra loro con la stessa forza con cui si respingono. Tanto che nello spettatore sorge presto il sospetto che la lotta sia un mezzo, in fondo il più conformistico, per potersi toccare a vicenda.
In effetti il loro rapporto si trasformerà presto, come anticipavo, in un rapporto d'amore a tutti gli effetti, che si esprime dunque anche sessualmente.
Ma la corrente di violenza che è all'origine di tale amore, non si esaurisce quando l'amore “sboccia”.
Un autore meno raffinato di Téchiné, più ideologico, e dunque meno aderente alla realtà della vita, avrebbe dato alla svolta “romantica” del racconto – o, se si preferisce, alla presa di coscienza dei due protagonisti – una valenza soltanto positiva.
Qui l'adolescente più sensibile, più fragile, psicologicamente più delicato, sembra soccombere all'altro, il nero, abituato alla vita solitaria in montagna, indurito dal dolore che, si intuisce, ha dovuto precocemente affrontare (si tratta di un figlio adottivo). È il primo che attende, insegue l'altro, e a volte ne è accolto, a volte ne è, anche rudemente, respinto. La passione, insomma, anche se conosce culmini gioiosi, perfino estatici, non è in questo film scevra dal dolore che a la passione può comportare.
Va detto che il film non si esaurisce nel ritratto di due adolescenti. La natura, il paesaggio di montagna, nel suo splendore ma anche nei suoi aspetti selvaggi, è, per tanti versi, una cassa di risonanza della storia d'amore.
Mentre altri contesti – la famiglia, la scuola, l'esercito, un ospedale – tutte le espressioni della civiltà che, in questo come in altri film francesi, hanno un aspetto amabile, danno un senso di efficienza, sembrano qui dimostrare come la civiltà non possa comunque espellere dalla vita i suoi lati irrazionali, a volte oscuri, come la violenza, il desiderio e il dolore.
Si tratta, insomma, di un film, nel suo complesso, bello e profondo, che vi raccomando di vedere.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale l'8 ottobre 2016
»» QUI la scheda audio)