Flavio Ermini
Della fine
La notte senza mattino
Formebrevi Edizioni, pp. 48, € 6,00
“Un libretto” l'avrebbero nominato Caproni, Raboni, Spagnoletti, Minore. Così chiamavano i grandi contenuti racchiusi in poche parole. Per comprendere l'orrore che attraversa lo scritto di Flavio Ermini e inchioda il cuore alle pagine come a strapparlo nei violenti battiti dell'angoscia, bisogna accettare di guardare il buio senza cercarne la luce. È il nostro esistere di destinati alla morte che l'autore mostra senza paratie, consolazioni e possibili rinascite.
“Se la morte, signor mio fosse come uno di quegli insetti strani, schifosi che qualcuno inopinatamente ci scopre addosso ...Lei passa per la via; un altro passante all'improvviso lo ferma e con due dita protese le dice: – scusi permette... e con due dita protese la piglia e la porta via… ma la morte non è come quegli insetti… tanti passeggiano portandosela addosso...” (L'uomo dal fiore in bocca di Luigi Pirandello). Siamo larve destinate a diventare insetti immondi ma, con termine “larva” l'autore non indica solo l'orrore del destino umano ma anche la maschera (anticamente, questa era l'accezione del termine) l'infingimento, l'indifferenza, il non voler sentire e proseguire così verso illusorie mete.
E negato è l'oblio.
“… io questo ciel, che sì benigno / appare in vista, a salutar m’affaccio, / e l’antica natura onnipossente, / che mi fece all’affanno. A te la speme / nego, mi disse, anche la speme; e d’altro / non brillin gli occhi tuoi se non di pianto” (La sera del dì di festa, 1820, Leopardi).
“Tra quegli alberi spogli, nel dilagare dell'angoscia e della disperazione, della frantumazione e della dissociazione, si spegne il grido di guerra della nostra infanzia” scrive Ermini nel suo ultimo lavoro nel quale disperazione e solitudine si sovrappongono in un silenzio urlato; la parola rimanda violenta al dipinto di Munch e al riaffacciarsi oggi del pericolo di quei tempi che rende lo scritto un grande poemetto civile e accorato. “Il mondo è il pericolo che ha preso forma” e “la bambola” che chiude le palpebre senza risposta segue l'uomo da allora, dalla soglia dei padri, dalla nascita e sarà incubo al suo percorso “Oltre il cielo stellato ci sono alberi spogli e un muro di pietra”. La natura è indifferente ad uomini e cose ma il pensiero di cui egli è pur dotato non guarda l'infelicità e la pagina che Flavio Ermini titola povertà è tra le più significative del poemetto. Breve, essenziale, denudata, spoglia indica nell'uomo l'incapacità di fronteggiare il male nel non volerlo vedere, dirigere, guardarne alle radici e averne pietà “cerca di sfuggirlo, volgendo il capo altrove”... “la vita è una traversata dal nero al nero”... “Anche carezzare l'illusione dell'oblio decreta un fallimento”. Flavio Ermini userà per due volte il termine carezzare, come inutile consolazione ma, e, a mio avviso più toccante, come momentaneo sollievo al male; una carezza, una stretta di mano, una fisicità di vicinanza, di condivisione anche nella cecità degli occhi della bambola che si chiudono senza risposta. Davanti al male ritrovare la fratellanza forse, auspicare la fine delle atrocità che ci assediano, la morte e le stragi di innocenti? Non stiamo forse ritornando, sembra dirci il poeta ai periodi bui del novecento?
Oltre alle parole incise nei fogli e che sembrano fuoriuscire sangue, forse la risposta potrebbe essere suggerita dall'immagine di copertina. Un fotogramma dal Faust di Murnau.
Ambientato in Germania il film è del 1926. Faust si trascina attraverso il buio, curvo, bianco, vecchissimo, l'albero è minaccioso e spoglio e il patto con Mefistofele ha aperto al protagonista la strada non al fallimento ma alla dimensione umana.
Il sogno di gloria e bellezza eterne schiudono il cuore alla coscienza del dolore così come scrive Flavio Ermini in Povertà.
E sembra di vedere una pietà scolpita dall'amore e dal dolore.
Patrizia Garofalo