In questo suo ultimo libro, il poeta svizzero inscena una sorta di dramma poetico–filosofico in cui abbiamo in primo piano un personaggio (l’alter ego del poeta) che cerca di ridefinire la sua identità muovendosi tra i poli opposti di razionalità e follia e in secondo piano, sullo sfondo, la battaglia in sogno tra Armonia e Disarmonia (p. 58) che avvolgono il mondo in una rete inestricabile di contraddizioni. Citando un detto di Eraclito, potremmo dire che la trama nascosta è più forte di quella manifesta, e che il vero contenuto del poema è la caduta di ogni possibilità di sintesi tra le due entità dello scontro. Ma tutte le terminologie si sciolgono nei loro contrari per la consapevolezza, così acuta in Gilberto Isella, che «nella sua essenza la filosofia contemporanea è la distruzione inevitabile della tradizione filosofica e dell’intera tradizione dell’Occidente» (Emanuele Severino), e che anche la poesia – se non vuole essere uno sterile gioco di parole – deve muoversi nell’ambito delle stesse problematiche.
Si era messo in salvo oltre il corridoio polare ionico. È il primo verso dell’opera, una terza persona che risulta essere il punto di massima estraniazione dell’io. Il soggetto poetico ha espulso da sé la prima persona singolare per rivedersi (viversi, contemplarsi, ritrovarsi) come personaggio che si è messo nel saldo imballaggio/ dei salvati, e questo in ragione di una separazione dal milieu ambientale e sociale e culturale (o, in una parola, esistenziale) del suo mondo. Ma che cosa significa salvarsi immettendosi in un corridoio polare ionico, quando ionico magari/ per pallida congettura scientifica (p. 13) rinvia ad atomo o gruppo atomico che abbia ricevuto una carica elettrica, positiva o negativa, a seconda che abbia perduto o acquistato elettroni (si dice nell’esergo), e corridoio polare una strada scavata nel ghiaccio come dietro una coltre ultima, definiva e illimitata, quindi un luogo di occultamento chiuso all’interno di un altro luogo di occultamento, come nelle scatole cinesi. E “Corsia di resistenza” s’intitola la prima sezione del libro. Corsia è un termine ospedaliero o autostradale, che indica uno spazio delimitato all’interno del quale essere ospitato o muoversi secondo un ordine prestabilito. Quello di Isella è anche un luogo di costrizione. È metaforicamente la corsia dei pazzi (p. 16), nel senso, appunto, di un’autoesclusione vissuta contraddittoriamente e cioè da una parte come condanna e dall’altra come salvezza. E questa è la derivazione estrema della collocazione del poeta nella società moderna, la sua marginalità, e che ha i suoi capostipiti nel “passero solitario” di Leopardi e nell’“albatros” di Baudelaire, le cui ali di gigante gli impediscono di camminare, di adattarsi alla vita comune. Ma è un distacco che fa presumere anche al poeta di essere l’eccezione, il sospetto divino, (p. 16), e quindi anche di godere di qualche oscuro privilegio che resta tuttavia confusione e sofferenza. Occorre quindi, per salvarsi, passare attraverso una sorta di purificazione. Tornare alle forme semplici per miracolare la mente/ limarla purgarla toglierle efelidi tristi e nere/ acquisire la purezza marittima del pino,/ facoltativo il suo smontaggio in coni o sfere. (p. 17)
Che cosa significa, per Isella, semplicità opposta a follia, in cui semplicità sembra a volte coincidere con uno spinoziano ordine geometrico e altre volte pura visione della realtà naturale e follia tutte le superfetazioni culturali, dalla logica al senso comune, che bloccano la libera espansione della vita? Sappiamo che il poeta è prigioniero della necessità, che il corridoio polare è soprattutto coercizione. Ma allora in che cosa consiste la salvezza? Può essere l’ala dell’angelo (p. 17) ad aprire il cammino, ad additare, come in Rilke, un altrove rispetto alla condizione umana? Isella ci fa perdere le tracce del suo alter ego poetico, diviso tra un montaliano delirio d’immobilità e un furore raziocinante che lo spinge a trapassare la scorza fenomenica delle cose per attingere la loro essenza, o meglio la parificazione di essenza ed esistenza (o del nome e della cosa nominata). Da una parte abbiamo la visione di quell’ala angelica (forse emblema della somma semplicità) e dall’altro una bussola impazzita che conduce verso una moltiplicazione del disordine e della follia. (p. 19) Realtà e immaginario si fondono ([…]angeli impuri/mescolati con bussole e primordiali fronde)al di fuori di qualsiasi ordine simbolico. (p. 20) Nel trapasso dalla terza alla prima persona singolare, come avviene nelle parti in prosa del libro (che costituiscono, più che un commentario dei versi, un’intensificazione interiorizzata delle loro aporie), il discorso si fa più esplicito. La tradizione dell’Occidente è diventata una sorta di maionese impazzita. Rimenavo dentro mulinelli le cose, con siringhe di silicio iniettavo rovine nelle cose, travagliavo con quelle bestioline che intoppano le cose e non le fanno vedere. Vi applicavo le teorie dell’Occidente, le cause causanti e non causate, le spaccature – trak! – tra il cogitante e il puro esteso senz’anima e persino perfido, ripieno di gocce nere pietrificate. Il «corridoio polare ionico» diventa l’alternativa, la dimora. Emerge la metafora della scala, dei gradini in serie ascendenti, (p. 28)in cui ogni gradino è un raggio, immerso con tutti gli altri gradini in una rotazione ininterrotta, e in cui moltiplicando un gradino per 3,14 si percepisce il valore, il ritmo, il sussurro (p. 28) della circonferenza complessiva. Per citare ancora Eraclito, nella circonferenza del cerchio il principio e la fine coincidono. Ma qui principio e fine divergono l’uno dall’altra, fino a dissolversi nel mostro errante della Totalità (p. 29) nell’impossibilità della sintesi. Corridoio polare è un poema dalla struttura circolare governata «dall’impari lotta tra follia e semplicità, tra ‘armonia’ e ‘disarmonia’» (Vincenzo Guarracino, nella Nota che accompagna il libro) in cui l’isolamento del destino poetico in un percorso di gelo, di solitudine, di follia (il «corridoio polare») s’interra là dove accerchiandosi ha aperto un buco nero (p. 79) cioè nella sua negazione, complementare alla fine dell’intera tradizione dell’Occidente. Siamo qui ad un livello molto alto della coscienza poetica che giunge a testimoniare la necessità della propria alterità (“La perla sospesa”, p. 30) nel dubbio di non essere altro che il terminale di un dispiegamento del destino della verità e del contenuto che in esso si manifesta della fine di una tradizione (il nulla della perla, p. 35).
Tiziano Salari
BREVE ANTOLOGIA DA "CORRIDOIO POLARE"
Guarda impassibile
Armonia e Disarmonia
farsi a vicenda crudeli dispetti
perdere orientamento
Ascolta il fegato di un cane
guaire e torcersi
nel siliceo cilindro
causa esperimento
Sente ogni vita avvitarsi a se stessa
e cigolare in fine via col vento
**
“Si era messo in salvo oltre il corridoio polare ionico”
come dietro una coltre ultima, definitiva e illimitata
Spiacenti, un corridoio con questi connotati
è un’insensatezza della fisica e se ciononostante
tempo addietro fu visto
da una placca spettrale di ghiaccio
ora ne siamo tanto distanti da risultarne alieni
ma da quella distanza qualcuno ancora
legifera su moncherini geografici o pedane oscure
d’oltremondo per passare inosservati a nuove dimensioni
cavando con dolore imbottitura di tempo
ineguale da immenso orologio di sonno
Forse una nube altissima
e fuori d’ogni norma lunga esiste
ripiena di n e di nn ecectera
ma giammai si scarica in pioggia o grandine
né è raggiungibile per veridificazioni di forme
e di sostanze
un dolente destruendo
da qualche conca matrigna, fossile raggio
ionico magari
per pallida congettura scientifica...
eppure lui si era messo nel saldo imballaggio
dei salvati
**
“Non esiste corridoio di tal fatta, nessun umano vi passa”
...........................................................
nella corsia dei pazzi ci sono solo pedine
scampate alla regina che le voleva divorare
quella corsia dove su teloni scorrono
per verdastri chilometri pini patinati
che nei crani stanzieranno remissivi
pellicole dentro le pupille
anticipanti il pianto per i pasti
e i veleni pigiati in pasture sferoidali
da brucare su lettiere ogni n ore
ovunque premono indemoniati becchi
per lui si era concesso un esterno naturale
anche la cuffia lo stormo indotto dai gabbiani
non solo il vero botanico pino
lui era l’eccezione, il sospetto divino
**
La perla sospesa
1
Allentato, intorpidito dall’ampiezza
disceso così verso una luce
indifferente, che non ha misura.
Istruito da uno spazio senza peso
senza notizia
mentre ancora la cosa aleggiava
informale.
Venuto giù senza porta celeste
negli occhi
solo vetro limato negli occhi.
Massicciata d’onde lo sosteneva:
muro amoroso, lungo indugio, breve costa.
**
6
Perla allarmata, moncherino di luce
per artigliare, spelonca di paura
e desiderio, miracolosa cosa.
Ma lui senza lume assorbì tutto il peso
della cosa che trascrisse:
il cielo si ritrasse come un rotolo –
monti e isole tutte scomparvero dai loro posti.
Nulla trascrisse
se non l’aere piumato, l’ultimo
castone nel vetro, il nulla della perla.