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I Nabis, Gauguin e la pittura italiana d’avanguardia 
A Palazzo Roverella di Rovigo con Maria Paola Forlani
20 Settembre 2016
 

Si è aperta a Rovigo, nella sede di Palazzo Roverella fino al 14 gennaio 2017 la mostra “I Nabis, Gauguin e la pittura italiana d’avanguardia”, a cura di Giandomenico Romanelli (catalogo Marsilio).

Un centinaio di opere, molte conosciute, altre da scoprire, quattro grandi “isole” e tanto colore. Ѐ una mostra di emozioni. E di storie intense. Storie di artisti in fuga, da città, da legami, da loro stessi, in molti casi, che trovano rifugio in riva al mare, quello potente della Manica o quello dolce e casalingo della Laguna veneziana. Quasi fossero alla ricerca del valore purificatore dell’acqua e degli elementi naturali.

A Pont Aven, sulla costa della Bretagna, Paul Gauguin giunse nel febbraio del 1888. Vi era già stato per un breve soggiorno due estati prima. Il sodalizio con Van Gogh nel frattempo era finito, l’olandese aveva scelto il sud della Francia, lui la Bretagna. Qui si era andato formando un eden primitivo e quasi incontaminato, popolato da una comunità internazionale di giovani artisti che, dipingendo spesso insieme, traevano ispirazione dal paesaggio e dalle comuni esperienze e riflessioni.

Il linguaggio espressivo e antinaturalistico del gruppo entrò anche in contatto con le poetiche del primitivismo e dell’esotismo assai in voga nell’Europa di fine Ottocento. Confluì in varie correnti artistiche e ne influenzò nascita e caratteri.

Su tutti spicca l’esperienza parigina dei Profeti, o meglio Nabis, dall’antico testamento ebraico. L’inizio si deve a un viaggio in Bretagna di un giovane pittore parigino, Paul Sérusier (Parigi 1864 – Morlaix, Bretagna, 1927), il quale alloggiando casualmente, anche Gauguin con i suoi amici, il giorno prima della sua partenza, superando il proprio timore reverenziale di fronte al grande artista, osò rivolgergli la parola, ricevendone un’accoglienza cordiale e l’invito a dipingere insieme.

Da questo rapido incontro Sérusier trasse la lezione che doveva indirizzarlo verso un nuovo tipo di pittura, antinaturalistica e soggettiva. La conseguenza di queste poche ore di pittura en plein air è una tavoletta che Sérusier portò con sé a Parigi, facendola vedere a un gruppo di compagni, stanchi, come lui, dell’insegnamento accademico e che servì a tutti loro per rafforzarli nel convincimento di doversi affrancare dai vincoli della tradizione scolastica.

La stagione nabis è breve, non più di una decina d’anni fra il 1890 e il 1900, ma importante. Se anche i risultati artistici non sono sempre di eccezionale livello, le idee avranno un largo seguito in tutta la cultura del Novecento. L’arte secondo i Nabis, non è descrizione di un fatto o di un paesaggio, è espressione interiore; qualunque cosa rappresenti una pittura, ciò che conta non è il tema, è il modo con cui l’autore ha posto i colori l’uno in rapporto all’altro, determinando un accordo, che acquista, proprio perché costituito da quel rapporto e non da un altro, un significato unico e irripetibile: come scrisse uno dei principali esponenti del gruppo, Maurice Denis (Granville, 1870 – Parigi 1945), «un quadro prima di essere un cavallo in battaglia, una donna nuda, o qualsiasi fatto, è essenzialmente una superficie piana ricoperta di colori organizzati secondo un certo ordine». Ѐ facile intuire come questa celebre frase sia, nella sua concisione, la base, fra l’altro, dell’estetica «astratta».

Nella loro pittura comunque i Nabis non cercano la forza espressiva di Gauguin, ma la Purezza dei «primitivi» italiani, la bidimensionalità, la sintesi formale, la flessibilità della linea, la morbidezza del colore.

Questi stimoli innovativi contaminarono l’Europa, senza tralasciare l’Italia. Ed è proprio sul versante nazionale che si concentra la seconda parte della rassegna.

La “stagione bretone” dell’arte italiana tra gli anni ’80 dell’Ottocento e i primi decenni del secolo successivo è ben individuabile. La si incontra in diversi artisti, o meglio in precise fasi della loro produzione. Sono pittori che in molti casi hanno vissuto a Parigi e che nella capitale francese, o comunque oltralpe, hanno acquistato caratteri e cadenze linguistiche di inequivocabile qualificazione gauguiniana a Pont-Aven.

Non a caso la rassegna continua con Gino Rossi e la sua Burano. Rossi, uomo e artista pregno di illuminazioni e di tenebre, “straordinario campo di forze, di polarità, di tensioni, di urgenze e di riflessioni”. E, con lui, il grande Arturo Martini e il gruppo gravitante su Ca’ Pesaro.

Gauguin e Rossi, due storie lontanissime eppure vicine: il primo conquistato, catturato e tragicamente sedotto dai paradisi tahitiani, il secondo scivolato in un fulminante itinerario sin dentro i gironi d’inferno di un manicomio di provincia.

Eppure capaci, entrambi, di una pittura dove la semplicità è purezza primigenia e insieme ingenuità, affinamento alchemico e traduzione di un pensiero filosofico cristallino, lucido e tragicamente fragile.

L’ultima parte della rassegna è un grande capitolo dedicato agli eredi di questo universo artistico. Il Sintetismo, calato nella nuova sensibilità borghese e moderna grazie a protagonisti come Paul Sérusier, Emile Bernard, Paul Elie Ranson, Maurice Denis e gli svizzeri Cuno Amiet e Felix Vallotton (presenti in mostra con celebri capolavori), vive una stagione straordinaria anche in Italia: Gino Rossi, Felice Casorati, Oscar Ghiglia, Cagnaccio di San Pietro, Mario Cavaglieri.

La lezione del Sintetismo “borghese” trova in Mario Cavaglieri un adepto originale e aggiornato (su Bonard e Vuillard, prima di tutti) che si trova anch’egli a lasciare infine la terra veneta per trovare stimoli e riferimenti nella cultura artistica francese.

Diversi di questi percorsi di formazione e poi di affermazione di un altro capesarino destinato a notevole fortuna, a grande maturazione e ad altrettanto intensa riflessione critica, Felice Casorati; mentre un sogno di una rigorosa oggettività nuova si muove il geniale Cagnaccio di San Pietro, armato di determinazione autoptica e portato a una geometrizzazione ferma e feroce nei suoi nudi, nelle sue nature morte, nelle sue luci che feriscono l’occhio e toccano i corpi nudi trasformando la carne in metallo.

 

Maria Paola Forlani


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