Una nota Ansa diffusa da Ancona il 2 settembre rende noto che la giornalista italo-siriana Asmae Dachan ha vinto il Premio della Giuria al prestigioso Festival “Giornalisti del Mediterraneo” di Otranto per il suo reportage da Bruxelles “Nella tana degli uomini bomba”, sugli attentatori di Moleenbek, pubblicato da Panorama all'indomani dei tragici atti terroristici della scorsa primavera. La premiazione è fissata a Otranto per l'11 settembre prossimo. Marco Imarisio (Corriere della Sera) è il vincitore della sezione “terrorismo”; Luigi Politano (Roundrobin Editrice) e Paolo Butturini (Fns) i vincitori della sezione “libertà di stampa”.
«A Dachan», prosegue la nota, «era già stato assegnato dall'Ordine dei giornalisti delle Marche il Premio “A passo di notizia” per i suoi servizi in zona di guerra nelle città siriane devastate dal conflitto. Quest'estate ha firmato, sempre su Panorama, un reportage sulla Turchia all'indomani del fallito golpe di luglio e sul Fatto Quotidiano un servizio sui bambini siriani sfollati nelle tendopoli e ricoverati in ospedali e orfanotrofi di fortuna al confine tra Turchia e Siria».
La giornalista collabora da diversi anni a Tellusfolio e la redazione, in occasione di questo nuovo importante riconoscimento per il suo lavoro, l’ha intervistata per il giornale web.
– A chi dedichi questo nuovo Premio?
Lo dedico a chi crede nel valore delle parole e al piacere della condivisione e del dialogo.
– La dimensione transnazionale della tua personalità ti offre un osservatorio privilegiato nel mondo dell'informazione. Vedi particolari differenze alla 'circolazione delle notizie' in Italia rispetto ad altre aree geografiche? E quali sono i principali limiti alla conoscenza in questa nostra epoca, pur ricca come non mai di mezzi e potenzialità?
In generale, se si pensa che tutta l’informazione mondiale attinge da solo tre o quattro agenzie di stampa, si comprende che ci sono dei grossi limiti nel garantire pluralità e nel fornire notizie di prima mano.
In Italia esistono leggi che garantiscono la libertà e l’autonomia del mondo dell’informazione, diversamente da quanto accade in altri Paesi, come in Medio Oriente, dove l’informazione è imbavagliata e spesso i colleghi vengono minacciati e uccisi per il loro lavoro. Questo non vuol dire che ci possiamo adagiare sugli allori: io credo nel watchdog journalism e non nella trasformazione dei giornalisti in pet dog. Quando certe notizie non trovano spazio sui media e certi giornalisti diventano troppo accomodanti, significa che qualcosa non sta funzionando. La sfida quotidiana del giornalismo è avere il coraggio di andare contro corrente e raccontare anche quello che certa politica e certe lobby vorrebbero censurare. In Italia siamo ancora un po’ deboli sugli esteri e credo che avvalersi di giornalisti con una doppia cultura possa favorire un diverso approccio.
In quest’epoca di bulimia dell’informazione, si rischia di leggere senza capire, facendo solo una grandissima confusione. Per comprendere e conoscere certi fenomeni e certe realtà bisogna guardali da vicino, studiarli, approfondire, sentire una pluralità di pareri per poi farsi una propria idea.
– La regione del Mediterraneo è colpita da venti impetuosi con strascico di quotidiana tragedia. Quali, se ne intravedi, le possibili vie di uscita?
Rimettere al centro delle politiche internazionali il valore e la sacralità della vita umana. Smettere di ragionare per interessi economici e strategici e smettere di finanziare operazioni di pulizia etnica che stanno cambiando gli assetti demografici del mondo. Ciò che sta accadendo in Siria ad esempio, dimostra il fallimento della diplomazia internazionale. In cinque anni e mezzo non è stata creata la no fly zone e non sono stati aperti corridoi umanitari. Questo la dice lunga sull’ipocrisia che dilaga negli ambienti della politica mondiale. Lo stallo della diplomazia ha favorito la repressione, i bombardamenti, il terrorismo e le conseguenze sono state il martirio e la diaspora del popolo siriano. Oggi l’unica soluzione è fermare immediatamente i bombardamenti e le violenze, fermare il flusso di armi e le fonti di finanziamento del terrorismo. Poi bisognerà consegnare i criminali di guerra alla giustizia internazionale. Quando ero in Siria ho visto bambini morire a causa della malnutrizione, perché manca il latte in polvere. Eppure ho visto armi di ogni tipo, provenienti da ogni angolo del mondo. Questa vergogna è sintomatica dell’ingiustizia che detta i comportamenti degli esseri umani.