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Asmae Dachan. Il terremoto, come la guerra
02 Settembre 2016
 

Quella del 24 agosto 2016 è una notte che nessuno potrà più dimenticare. Il boato, la terra che tremava, la paura; due interminabili minuti che hanno segnato per sempre le vite degli abitanti del centro Italia. L’ennesimo terremoto che ha provocato la morte di quasi 300 persone e che ha visto la distruzione di borghi come Amatrice e Accumuli, arrivando fino ad Arquata del Tronto e Norcia. Erano le 3:36, come segnerà per sempre l’orologio di Amatrice.

Le immagini delle macerie, delle case piegate su se stesse, dei sopravvissuti che camminano spaventati avvolti dalle coperte, in lacrime ad aspettare le notizie dei propri cari o seduti su ciò che resta delle loro case hanno fatto il giro del mondo. Poi sono arrivate le immagini dei soccorsi, della corsa contro il tempo per salvare vite umane. Uomini e donne piegati a scavare a mani nude che hanno estratto dalle macerie molti feriti, ma anche tante vittime. Sono state raccontate le loro storie, e mostrate le loro foto.

L’Italia di è stretta intorno a queste popolazioni, in un lutto composto, ma difficile da rielaborare, specialmente perché tra le vittime ci sono tanti bambini.

Sin dalle prime ore, le immagini che giungevano da Amatrice e dalle altre località ricordavano, inesorabilmente, quelle della Siria. Aleppo, Daraya, Homs e tutte le altre città trasformate in una distesa di macerie e rese orfane della propria popolazione somigliano in tutta la loro desolazione alle località colpite dal sisma. La stessa angoscia per un passato che nulla potrà restituire, lo stesso senso di impotenza, lo stesso dolore per le vittime e la stessa angoscia per i sopravvissuti. Cambia il contesto, cambia la causa di tanto orrore, perché il terremoto è un evento tragicamente naturale, ma i bombardamenti scellerati sui quartieri residenziali non lo sono.

In mezzo a tanto dolore, anche le immagini dei coraggiosi soccorritori rimandano continuamente a quelle che negli ultimi cinque anni e mezzo ci siamo abituati a vedere dalla Siria. Donne e uomini impegnati a mani nude nella ricerca di sopravvissuti e nell’estrazione dei corpi rimasti intrappolati sotto le macerie. Vigili del fuoco, volontari della Protezione Civile e della Croce Rossa come i White Helmets siriani. La stessa determinazione, lo stesso altruismo e coraggio. Quello di cui hanno bisogno le popolazioni terremotate e i civili siriani è la speranza. Una speranza che va oltre la solidarietà e la vicinanza iniziali, ma che si concretizza e si protrae nel tempo.

Sotto le macerie del terremoto e dei bombardamenti sono morti interi nuclei familiari. Tanti innocenti che non torneranno mai più. Si indagherà su eventuali responsabilità legate alla sicurezza per quanto riguarda le zone colpite dal sisma, mentre per il massacro in Siria forse tra qualche decennio verrà aperta un’indagine, quando ormai persino i sopravvissuti saranno troppo stanchi per chiedere giustizia. Tutte queste persone, in Italia come in Siria, hanno perso qualcosa che nemmeno la più alta opera di ingegneria potrà ricostruire: il proprio passato, la propria identità. Perché i terremoti sono tragicamente simili alle guerre. Si prendono le vite degli innocenti e cancellano la loro memoria.

 

Asmae Dachan

(da Diario di Siria, 31 agosto 2016)


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