Oramai mi sono abituato a frequentare Lioni, il mio “borgo natio”, sempre più di rado. E lo faccio come se io fossi un qualsiasi avventore di passaggio, il quale sosta in un bar a consumare un caffè, ovvero come un cliente forestiero che “scende” all'area commerciale per un giro, effettua qualche acquisto ed infine riparte. Nel contempo, aggiungo che non mi dispiacerebbe affatto se si risvegliasse una vivace e sincera dialettica democratica e pluralistica nella comunità lionese. Sarebbe auspicabile (ma è davvero attuabile?) una ripresa promossa dall'avvento della nuova amministrazione municipale. Una rinascita della dialettica politica, favorita magari dal ricorso ad una piazza telematica di discussione. All'uopo potrebbe servire persino Facebook.
In un recente passato, ho già avuto modo ed occasione di annotare che il limite oggettivo di questo spazio virtuale di confronto e di partecipazione politica, è insito nello strumento stesso di comunicazione, che attualmente rimane circoscritto ad una cerchia ancora elitaria di cittadini che usano abitualmente Internet e i social network. Comunque, ben venga il veicolo del web in soccorso alla libertà di espressione, dunque alla convivenza democratica e civile. Invito chiunque ad afferrare il valore e la portata di una questione assai delicata qual è, appunto, la rivendicazione di una maggiore partecipazione politica collegiale. Un'istanza proveniente dal basso, ovvero dai settori della cittadinanza più attiva e cosciente. Si tratta di un bisogno poco avvertito, essendo stato sovente sedato o soffocato dalle amministrazioni precedenti. Ma una simile rivendicazione, più che legittima, non deve scadere in futili pretesti per scatenare sterili e rissose polemiche personali.
Si rammenti, ad esempio, il caso Rouge: una vertenza che risale al 2013, sorta tra l'amministrazione allora in carica ed il circolo Rouge/RibellArci, un'associazione ancora operante a Lioni. Il sindaco aveva emesso un'ordinanza di sgombero del circolo dai locali occupati, ma poi fu ritirata grazie agli attestati di solidarietà e ad interventi a sostegno del Rouge da parte di numerosi soggetti attivi sul territorio, sia singoli cittadini che organizzazioni politiche e culturali. E si ricordi la vertenza sorta nel 2007 in merito alla famigerata “antenna dei tumori” nel rione di San Bernardino: definizione meritata ed avvalorata da riscontri in indagini statistiche condotte nel campo delle onde elettromagnetiche e degli effetti nocivi per la salute delle persone. Quella vicenda fu un momento importante di partecipazione democrativa in seguito ad una presa di coscienza corale e ad una petizione popolare che fu sottoscritta da una percentuale considerevole dei cittadini di Lioni: 689 firmatari costituivano all'incirca un decimo della popolazione residente dell'epoca. Una simile esperienza, significativa ed emblematica, ha insegnato che talvolta le iniziative popolari, sorte dal basso, possono approdare ad esiti positivi, per quanto inattesi ed ancorché ardui.
A me pare che l'ostacolo maggiore, che impedisce o pregiudica un'ampia partecipazione alla vita politica di una comunità, sia un limite culturale che chiamo “fatalismo”. Il fatalismo, tanto diffuso tra la gente del Sud, è il peggior nemico della gente stessa, nella misura in cui induce a pensare che nulla possa mutare e tutto sia stabilito da una sorta di destino, di forza trascendente e soprannaturale (ma in realtà è un'entità terrena o antropica, cioè politica) contro cui gli individui si sentirebbero assolutamente impotenti, ma così non è. La condizione reale che compromette o vanifica ogni tentativo di lotta, che frustra ogni desiderio o istanza di mutamento, è l'isolamento del singolo individuo, mentre la forza materiale e sociale discende dall'unità politica ed organizzativa degli uomini, dalla validità delle loro ragioni e convinzioni, dalla giustezza e dall'efficacia delle loro proposte, dalla tenacia e dalla volontà condivisa di modificare sul serio lo stato di cose presenti. Inoltre, sempre a proposito di “fatalismo”, di superstizioni o “corvi”, rammento il “corvo marxista” che appare in un famoso film di Pier Paolo Pasolini, Uccellacci e uccellini, interpretato da un inedito Totò e Ninetto Davoli. Il richiamo cinematografico serve ad osservare che non tutti i “corvi” sono da evitare, e tantomeno demonizzare. Il corvo protagonista del film di Pasolini, è la geniale metafora di un libero pensatore, è il simbolo allegorico della coscienza critica. La digressione da cinefilo vale a recuperare il tema (ormai demodé) della democrazia a partecipazione diretta. L'unica democrazia possibile e necessaria, l'unica autentica democrazia. Un modello praticabile e realistico, almeno sul terreno delle piccole comunità locali. Tutt'altro che utopia.
Lucio Garofalo