Stavo tornando a casa quando, imboccando un vicolo che conduce a Piazza San Giovanni, una donna prosperosa affacciata ad una finestra colorava la severità delle mura con un saliscendi di farfalle che imbrigliavano gli ultimi bagliori di un tramonto limpidissimo di fine estate. Sorrido e mi lascio trasportare dal movimento delle mani, dall'immagine tutta che ridesta sogni, giochi, giovinezza ed accoglienza. E meravigliato desiderio di ringraziarla per avermi rapita nel gioco delle ali, del volo quello di Chagall ne la casa celeste e quello di Fellini in Amarcord.
Il giorno dopo non c'è più, ma riesco a contattare l'artista della creazione.
È Raffaele Cornaggia di Morbegno, autodidatta, vissuto per diverso tempo all'estero; mi mostra il suo logo, poco più grande di un francobollo con scritto “scraps world”.
Ci troviamo in sintonia sulla trasversalità della parola poetica e su come essa nasca dal dolore, dal male di vivere, dal consapevole non-senso del nostro percorso e si trasformi piano in una estenuante tensione alla ricerca di uno scopo, di un voler dire, fuori dalle stereotipe convenzioni dell'usuale linguaggio, di un voler cercare nel fondo oscuro di noi… la parola che salvi.
Raffaele mi parla della “Fenice” come primo lavoro di netta demarcazione tra la sua adolescenza e l'inizio di una progettualità costruttiva e mai più abbandonata. Parlerei di passione in tutte le accezioni del termine. Crea da “scarti” che diversamente andrebbero gettati, computer vecchi, macchine fotografiche, aspirapolveri smontate e piccoli cavetti e posate vecchie… di tutto mette insieme, di tutto gli portano; scompone e ricompone quello che finirebbe in un inceneritore se con nuova linfa e originale linguaggio, lui non forgiasse anche per i rottami una vita nuova, una rinascenza, un'epifania. Dagli oggetti dismessi affiora la loro sofferenza, un percorso senza futuro che appartenne a qualcuno, in qualche casa, vicino ai mobili di un non-luogo del quale l'artista si riappropria ed invita a farlo con la commovente bellezza di un bambino.
«Il dolore va affrontato» mi dice, «mai rimosso, devi entrarci, leggerlo, urlarlo… e oggi sono qui, stiamo parlando, la Fenice resta la mia immagine più vera, uno specchio che riflette quanto mi sia lasciato dietro e quanto desidero ancora fare. La mia arte non ha nome, né codici, né posizioni intellettualoidi e quello che sento quando assemblo i pezzi è la vita, che impasto come fosse creta, energia creativa... mai lasciarla sfuggire... mai» e l'uomo che pensa di resettare tutto sarà azzerato dalla natura che lui non ha saputo amare, vedere e condividere.
«È stata dura però…»
Non parla, Raffaele, dei suoi viaggi all'estero, delle sue mostre se non accennandone; mi porge da leggere un testo, una poesia bellissima scritta per la morte del padre:
PADRE SOLE
Tra gli anfratti dell'anima come flutti sbattono gli eventi
risvegliando con dolore il letargico quieto vivere
e non basta la fugace distrazione a lenirne gli spasmi
perché ci vorrebbe una tempesta di Sole
Ho visto allo specchio un giovane precipitar nell’abisso
rotolarsi esangue tra i rovi della propria anima
rialzarsi poi Fenice... e con ali volare più alto dei gabbiani
e l'inno vittorioso del suo spirito danzare al Sole.
Quando lo sguardo si fa carpiato e indaga dentro
ho visto il mio gaudio sorriso trasformarsi in solco di dolore
e la sabbia e il mare e il cielo,
trasformarsi in sarcofago di cemento.
Ho stretto la mano a mio padre che diventava memoria.
Mentre gli occhi gli si inchiodavano al soffitto
ho toccato la sua ansia ruvida e pelosa,
trasformarsi in beatitudine
di chi corre su eterei prati di dolcezza
irriverente sberleffo al mio dolore terreno
ma lui già… aveva compreso l'ignoto arcano.
Ed io corro finché il mio cuore m'esplode in petto
Sogno finché la mia mente indagherà desideri
Canto finché vedrò sorger il padre Sole.
e lascio al suo fuoco sincero colmare i fatui anfratti della mia
[anima.
E lo vedo in quelle parole il suo Cristo, alto due metri che fotografa il mondo, che coglie uno sguardo morente, che assiste un dolore che nasconde nell'insolito corpo le sofferenze del mondo e m'appare vibrare di pietà, misericordia e memoria del tempo nel luogo nascosto dove l'artista Raffaele Cornaggia ha scavato l'anima.
Patrizia Garofalo
»» raffaelecornaggia.altervista.org