Intervista ad Alessio Scandurra, responsabile dell’Osservatorio di Antigone sulle condizioni di detenzione
Fin dall’inizio degli anni ‘90, chiunque si sia occupato di diritti umani in Italia ha avuto numerose occasioni per conoscere ed apprezzare Antigone,* un’associazione politico-culturale impegnata:
- a promuovere elaborazioni e dibattiti sul modello di legalità penale e processuale del nostro Paese e sulla sua evoluzione;
- a raccogliere e divulgare informazioni sulla realtà carceraria;
- a curare la predisposizione di proposte di legge e la definizione di eventuali linee emendative di proposte in corso di approvazione;
- a promuovere campagne di informazione e di sensibilizzazione su temi o aspetti particolari attinenti all’innalzamento del modello di civiltà giuridica del nostro Paese.
Da alcune settimane, l’associazione ha aperto una nuova campagna dedicata a favorire in maniera sempre più intelligente, civile e costruttiva il ricorso alle misure alternative alla detenzione carceraria.
«Dobbiamo dare forza alla parte più moderna ed efficace del nostro sistema penale, quella delle alternative alla detenzione», ha dichiarato Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione. Alla campagna hanno finora aderito numerose associazioni e organizzazioni operanti nell’ambito dei diritti umani: A Buon Diritto, Arci, Associazione 21 luglio, Gruppo Abele, Cittadinanza Attiva, Conferenza nazionale volontariato giustizia, Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, Forum Droghe, Funzione Pubblica Cgil, Medici Contro la Tortura, Naga, Progetto Diritti, Ristretti Orizzonti, Società della Ragione, Società Italiana di Psicologia Penitenziaria, VIC/Volontari In Carcere.
Al fine di meglio comprendere gli obiettivi di quest’ultima campagna ci siamo rivolti ad Alessio Scandurra, responsabile dell’Osservatorio di Antigone sulle condizioni di detenzione.
– Da qualche giorno, state portando avanti una nuova campagna, denominata “20x20”. Di cosa si tratta esattamente?
L'idea è chiaramente quella di promuovere il ricorso alle misure alternative.
L'obiettivo è che, entro il 2020, il 20% del bilancio dell'Amministrazione penitenziaria venga speso per il sistema delle misure alternative.
Oggi ci sono oltre 53.000 persone che stanno scontando la propria pena nelle nostre carceri. Nello stesso momento, circa 23.000 persone la scontano fuori dal carcere, in misura alternativa. Ad esse vanno aggiunte, poi, le oltre 8.000 che usufruiscono della nuova misura della messa alla prova.
Ora però, per queste misure l'amministrazione penitenziaria spende meno del 5% del proprio bilancio. La parte più avanzata del nostro sistema di esecuzione delle pene, dunque, è anche di gran lunga quella con minori risorse. Quasi tutti i soldi servono per il carcere.
Riuscire ad arrivare al 20% del bilancio potrà rappresentare un primo atto concreto per dimostrare che l'Italia vuole puntare su un nuovo modello penale, nel quale il carcere non sia il metro di paragone di ogni possibile pena, bensì venga riconosciuto per quello che è, un'invenzione che è nata in un momento ben preciso della storia dell'umanità e che non ha alcuna necessità di restare eternamente tale.
– In questi ultimi anni, dopo le tante denunce e promesse, si sono verificati progressi tangibili all’interno del nostro sistema penitenziario?
Sicuramente.
– Innanzitutto, dopo la legge approvata nel dicembre 2014, è stato recentemente nominato il Garante Nazionale delle Persone detenute nella persona di Mauro Palma. Una nota positiva verso le garanzie nel sistema penitenziario.
– Il 30 giugno del 2010 i detenuti erano 68.258. In sei anni i detenuti sono diminuiti di 14.763 unità (anche se, purtroppo però, sono cresciuti nel corso di quest’ultimo anno).
– Sono 23.000 le persone che stanno scontando la pena detentiva non in carcere. Di questi più di un terzo sono in detenzione domiciliare, per la precisione 10.182; 12.910 sono in affidamento in prova al servizio sociale; 758 in semilibertà. Rispetto al 2009, c’è stato un raddoppiamento dell’uso della detenzione domiciliare solo in parte confortato dalla possibilità di uso di braccialetti elettronici e un aumento significativo di persone affidate al servizio sociale (5 mila in più in sette anni).
– C’è stata una vera e propria esplosione nei numeri della messa alla prova, misura prevista nel 2014 che è un’alternativa al processo per le persone che hanno commesso un reato non grave, ovvero punito con pena detentiva inferiore ai quattro anni. Sono 8.560 le persone adulte che ne hanno fruito. Altre 10.733 sono sotto indagine dei servizi sociali prima della decisione giudiziaria. Si tratta di una misura che ha impedito una nuova ondata di ingressi penitenziari. Solo 2 persone ne avevano usufruito nel 2014.
– Nel 2015 sono stati poco meno di 7.000 gli episodi di auto-lesionismo. 43 i suicidi. 79 i decessi definiti per cause naturali. Si sono dunque ammazzati 8,2 detenuti ogni 10 mila mediamente presenti. Nel 2009, quando i detenuti erano 15 mila in più, la percentuale di suicidi fu di 9,2 detenuti morti suicidi ogni 10 mila detenuti mediamente presenti. Anche la percentuale di decessi naturali è scesa dal 15,9 al 13,6. Il maggiore spazio, il minore affollamento incide sulle prospettive di vita probabilmente grazie a un controllo socio-sanitario maggiore. E migliora anche la vita degli agenti di polizia penitenziaria. Nel 2015 2 suicidi contro gli 11 del 2014.
Evidentemente, conviene a tutti un carcere più umano.
– Quali possono essere considerati i maggiori problemi irrisolti?
Menzionerei certamente:
– l'accesso alla salute, molto problematico soprattutto in alcune regioni. In particolare, è molto difficile la situazione rispetto alla salute mentale. Il disagio psichico in carcere è diffusissimo;
– i contatti ed i rapporti con la famiglia, limitati da regole spesso anacronistiche;
– la mancanza di opportunità di formazione e di lavoro, nonostante il calo del numero dei detenuti;
– il sovraffollamento. I detenuti sono molti meno di prima, ma restano più dei posti disponibili per legge. E stanno tornando a crescere.
– Quando parlate di misure alternative, a cosa vi riferite in particolar modo?
Misure che il giudice può adottare sia durante il processo, sia al momento della sentenza di condanna, sia durante l'esecuzione della pena detentiva, che prevedono, invece del carcere, altre restrizioni della libertà personale.
– Quali sarebbero i vantaggi principali di queste misure?
Il vantaggio è duplice. Da un lato si evitano (o si limitano) i danni prodotti dal carcere in termini di rafforzamento dei processi di esclusione e dell'identità e della carriera criminale.
Dall'altro si rende possibile quel reinserimento sociale che, per la nostra Costituzione, è il fine imprescindibile di ogni pena. Che il carcere possa essere la migliore e più efficace “palestra” per una vita libera, produttiva e responsabile è un'idea improbabile e negata dai fatti. È semmai l'opposto.
– Mi potresti indicare alcuni casi particolarmente felici, in cui è stato possibile riscontrare, in maniera indiscutibile, risultati soddisfacenti e incoraggianti?
Non saprei. Casi particolarmente felici si possono incontrare in ogni ambito, in carcere come in misura alternativa. Ma sono i grandi numeri che contano e nei grandi numeri il carcere genera una recidiva elevatissima. Più della metà dei detenuti è già stato in carcere una o più volte. I pochi dati disponibili in materia di misure alternative ci dicono che, in questi casi, la recidiva è più bassa, cosa della quale mi pare non ci si possa sorprendere. Un dato che abbiamo è quello delle revoche delle misure alternative per commissione di reati durante la misura. Nel corso del 2015 il fenomeno ha riguardato lo 0,79% dei casi.
Roberto Fantini
(da Free Lance International Press, 24 luglio 2016)
* Dal 1998, Antigone è autorizzata dal Ministero della Giustizia a visitare gli oltre 200 gli Istituti di pena italiani. Le attività dell’Osservatorio sono realizzate con il contributo della fondazione Compagnia di San Paolo di Torino e con i fondi dell’Otto per Mille della Chiesa Valdese - Unione delle Chiese metodiste e valdesi.