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Polonio210: non è una novità. Anticastristi uccisi da questo veleno? 
La denuncia di Carlos Alberto Montaner risale al 1997
Carlo Alberto Montaner
Carlo Alberto Montaner 
03 Dicembre 2006
 

 

Si parla molto di Polonio210 e in molti sembrano stupirsi dell'uso di questo veleno che ha ucciso l'ex-spia russa Alexander Litvinenko e contaminato anche Mario Scaramella, consulente della commissione parlamentare Mitrokhin. Vari sono anche gli allarmi per una contaminazione più ampia rispetto ai soggetti colpiti. Ma, oltre all'informazione che ci sta ben spiegando come agisce questa sostanza pochissimo conosciuta fino ad oggi, voglio dare un contributo sull'uso politico che ne è stato fatto nel tempo e sull'allarme -inascoltato- lanciato nel 1997 da un giornalista-editorialista del calibro di Carlo Alberto Montaner.

 

Risale a nove anni fa la sua denuncia sull'utilizzo da parte del regime castrista dell'isotropo radioattivo (Polonio210) per eliminare senza lasciare traccia gli oppositori. Nel 1997 Montaner, cubano in esilio e vice-Presidente dell'Internazionale Liberale e Presidente della Union Liberal Cubana, scriveva un articolo a ricordo del dissidente cubano Sebastián Arcos, morto in esilio dopo una lunga agonia di tre anni. Un eroe della resistenza cubana durante Batista, e poi durante Castro.

Segue una mia traduzione dell'articolo apparso su El Nuevo Herald del 28 dicembre di quell'anno.

Donatella Poretti

 

L'on. Donatella Poretti, della Rosa nel Pugno, è curatrice della rubrica "Sudamericana - rassegna stampa sull'America Latina", in onda ogni domenica su Radio Radicale.
Su Tellusfolio è curatrice dell'Oblò Montecitorio

 

 

Ricordo del dissidente cubano Sebastián Arcos
morto in esilio dopo una lunga agonia di tre anni

 

È molto probabile che a Sebastián abbiano indotto il cancro nel carcere cubano in cui scontava la condanna per la sua dissidenza politica. A suoi carcerieri gli piaceva vantarsene. A Leonel Morejón Almagro lo avvertirono: «Ti metteremo nella cella che occupava Sebastián, così ti ammalerai di cancro come lui». Ciò che è sicuro è che quando Sebastián si lamentava del dolore alla spalla e lo portavano dal medico del carcere, la diagnosi solitamente era cinicamente benigna: «Non è nulla; solo le vertebre affaticate, o i muscoli». Alla fine quando lo lasciarono uscire in esilio, la metastasi era implacabile e il governo lo sapeva già. Per questo autorizzarono il suo espatrio. Non volevano un altro "martire" nelle carceri cubane, e tanto meno di questa dimensione internazionale. Quando arrivò a Miami, dopo solo mezz'ora chiese ai medici di fargli una diagnosi corretta. E allora non c'era più possibilità di curarlo. Al massimo si poteva solo allungare la vita e ridurre il dolore con una combinazione di medicine e di morfina.

Sto esagerando? È questo articolo un sintomo in più dell'exilium tremens? Leggete attentamente ciò che segue: 19 anni fa un giovane biologo cubano -chiamiamolo David- “disertò” nell'aeroporto di Barajas. Viaggiava dalla Bulgaria a Cuba con scalo a Madrid. Fu così abile, che non solo scappò alle guardie di sicurezza cubane che lo accompagnavano in aereo, ma riuscì anche a scappare dall'aeroporto senza essere intercettato dalle autorità spagnole. Il giorno seguente si presentò alla polizia e raccontò la sua storia. Quella stessa sera me la ripeté con tanto di dati raccapriccianti: veniva da Sofia, dove la sinistra polizia politica di Zhikov gli aveva dato un addestramento speciale per indurre il cancro negli avversari che si era deciso di eliminare con procedure non sospette. Lo chiamava il trattamento bulgaro. «La cosa più semplice» mi disse «è collocare dell'isotopo radioattivo nella sedia abituale dell'obbiettivo» -ora parlava con il gergo dei servizi- «o in una giacca che utilizza frequentemente, o nel maglione, o nel sedile dell'auto; nel giro di pochi mesi c'è una grossa possibilità che inizi un processo di cancro nell'intestino».

L'"isotopo radioattivo" non è un elemento strano. Quasi tutti i grandi ospedali lo usano, paradossalmente, per combattere il cancro, e sono piccoli filamenti metallici, facilmente nascondibili. «L'ideale è metterlo e poi toglierlo dopo sei mesi cosi' che non restino segnali del crimine». [...] Castro è un nemico pericoloso che segue solo il suo istinto di sopravvivenza, e non esita nell'ordinare l'omicidio di un avversario se crede che questi rappresenti un rischio potenziale contro la stabilità del suo regime. Lo ha fatto, sparandogli, con il comandante Aldo Vera, suo ex compagno di lotta, per le strade di Puerto Rico, o con José Elíás de la Torriente a Miami. E' probabile che l'abbia fatto in maniera più sottile, attraverso l'induzione al cancro, contro Manuel Artime Buesa, il suo arcinemico degli anni sessanta, morto a 38 anni con i polmoni inspiegabilmente strozzati; contro Rael García Navarro, anticastrista attivo, economicamente potente, socio e amico di Rafael Díaz Balart, ex cognato di Castro e la persona in vita che odia di più il dittatore cubano, scomparso nella stessa maniera a 41 anni; o, anche, contro Jorge Mas Canosa, che a 53 anni, e dopo una vita sana in cui non ha neppure conosciuto una sigaretta, scopre che gli sarebbero mancati esattamente cinque anni alla morte.

Forse arriverà un giorno in cui si incastreranno tutti i pezzi del puzzle. O forse tutto resterà come una voce che il tempo cancellerà. Purtroppo, i crimini di Stato solitamente sono "perfetti". A me sarebbe piaciuto scrivere un commosso necrologio su Sebastián, ma so che il miglior omaggio che gli si può fare è raccontare ciò che sappiamo e ciò che intuiamo. Sebastián era un uomo buono, giusto e duro. Così è vissuto. Così ha saputo morire.

 

Carlo Alberto Montaner


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