Le narrazioni di esperienze già vissute sono altra cosa rispetto alle narrazione che riguardano esperienze ancora in atto e che impariamo a conoscere guardando gli sguardi, le immagini, gli scatti anche indiscreti di chi documenta queste vicende umane. Nel processo della narrazione posteriore all’esperienza il tentativo del guardare indietro e del ripensare a ciò che è avvenuto, rappresenta la consapevolezza del presente, un presente liberato dal passato, solo in parte, poiché il trauma resta e lascia il segno anche se si può mascherare con forme accettabili di resilienza. Nella descrizione dell’esperienza nel momento in cui quella esperienza è vissuta troviamo la verità autentica della persona umana, troviamo quello che i documenti non possono registrare, leggiamo la desolazione e la speranza di chi chiede di esistere e di trovare un angolo di mondo nel quale piantare la propria tenda. La ricerca sui bambini migranti conduce indietro almeno di cinque secoli.
L’emigrazione dei bambini dall’Inghilterra a Jamestown in Virginia, America del Nord era infatti iniziata sin dal 1619. Per gli anni meno lontani si possono rileggere le testimonianze di quanto accadeva ai bambini orfani e abbandonati che venivano imbarcati soli sulle navi in partenza dai porti di Liverpool e Glasgow perché potessero condurre una vita migliore e potessero trovare fortuna e successo, soprattutto in Canada, in Australia e in altri Paesi del Commonwealth. Erano minori che partivano con le carte in regola e di cui si conservano i documenti di recente presentati in esposizioni curate in collaborazione tra l’Australian National Maritime Museum e il Merseyside Maritime Museum di Liverpool. Dal 1869 al 1967 si calcola che più di 100.000 bambini furono mandati all’estero per lavorare nelle campagne e presso famiglie secondo programmi gestiti da organizzazioni religiose e caritatevoli. Spesso si trattava di gruppi consistenti di minori preparati al tragitto ed accolti in navi gigantesche. Le foto mostrano bambini ben vestiti e curati. Alcuni ancora narrano le loro storie di distacco forzato e la vita trascorsa all’estero sembra non aver cancellato il senso di perdita della famiglia e la nostalgia per la propria casa, per il proprio Paese. L’emigrazione dei bambini migranti soli terminò nel 1939 per la rotta verso il Canada e nel 1967 per la rotta verso l’Australia.
Quanto all’Italia la storia dei bambini migranti è altrettanto ricca di esperienze e le fonti disponibili, passate e presenti, confermano la continuità di un trauma, talvolta romanzesco, ma non per questo meno vero, molto più grande di quanto un bambino possa di fatto sostenere nella sua giovane esistenza. Il volume di Lorenzo Luatti dal titolo Adulti si nasceva, Iannone, Isernia, 2016 legge la storia dell’emigrazione minorile di girovaghi, suonatori, lavavetri, spazzacamini sin dall’800. La via della memoria educa a comprendere quanto stiamo vivendo oggi in Italia. Non si tratta tanto di fare confronti, che rischiano di apparire stonati e irrispettosi delle singole biografie, purtroppo inadeguati di fronte alla tragedia che sconvolge l’esistenza, quanto piuttosto di segnare la mappa del nostro comune cammino in termini di umanità, di accoglienza e di rispetto dei diritti dell’infanzia.
Sandra Chistolini
Parte II – fine
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