Le notizie sulla folla di coloro che arrivano in Italia per attraversarla e andare oltre fino a raggiungere il Nord dell’Europa sono sempre di più notizie che riguardano i bambini che cominciano il loro viaggio all’estero su gommoni stracarichi ed insicuri. Bambini usciti in fretta dall’infanzia e catapultati nell’era della globalizzazione. Sguardi attoniti di chi avvinghiato alla madre o ad un adulto, quando non ad un compagno poco più grande, scruta quello che accade intorno, probabilmente senza capire che cosa stia veramente accadendo alla sua giovane vita. Quella dei bambini migranti è l’immagine più forte che riceviamo dalla tragedia umana che ci sovrasta e che sembra non siamo in grado di fronteggiare adeguatamente.
L’aumento dei minori non accompagnati è segnalato continuamente e le notizie si fermano all’identificazione di chi di fatto non ha bisogno di essere accompagnato per andare dove sa benissimo di volersi recare. Il minore non accompagnato vuole raggiungere qualcuno, familiare o conoscente, partito prima di lui, o di lei, per fermarsi e cominciare la sua esistenza sedentaria in un Paese senza povertà, senza guerra, senza pericoli continui, un Paese del quale ha sentito dire che i diritti umani sono rispettati e dove forse potrà studiare, lavorare, formarsi una famiglia, insomma essere riconosciuto come essere umano a tutti gli effetti. Le due letture dell’emigrazione forzata alla quale l’Europa assiste, quella vista dalla prospettiva dei bambini migranti e quella vista dalla prospettiva dei minori non accompagnati, sono ambedue il risultato di un’altra perdita dell’infanzia da parte di chi non dovrebbe stare nei campi di accoglienza e non dovrebbe stare in luoghi non a misura di bambino. Il trauma della traversata è solo in parte rimosso dalla sensazione della salvezza guadagnata e dalla solidarietà del primo soccorso. Quello che accade dopo, cominciamo a conoscerlo da chi racconta di minori che non intendono fermarsi, che sembra rechino in cuore una promessa che devono mantenere e fermarsi al primo gesto di solidarietà non è sufficiente per il loro progetto migratorio con destinazione il Nord. Andare oltre i confini è la loro meta e talvolta, invece di aiutarli, lasciamo che si incamminano, ancora una volta, da soli, per nuovi itinerari della speranza. Giudicare quello che sta accadendo con il nostro consueto modo di pensare è insufficiente. Certamente ognuno di noi avrebbe la ricetta giusta. Quella classica, quella tradizionale. Un bambino va accudito, deve poter stare con i genitori, ha bisogno della cura e dell’attenzione di tutti, è bene che viva in un ambiente che ne permetta la crescita migliore e ne tuteli interessi e sviluppo. Principi sacrosanti che troviamo scritti nella nostra Costituzione, nelle convenzioni e nelle dichiarazioni internazionali sui diritti e sulla democrazia, nelle affermazioni contro i maltrattamenti e le negligenze, ma che davanti alla emigrazione del XXI secolo subiscono il ripensamento dovuto alle nuove esperienze di sradicamento dai luoghi di origine. Le lezioni di pedagogia della Montessori e le cognizioni di Piaget ci possono aiutare fino ad un certo punto. La realtà attuale è ben altra cosa dallo studio standard sui bambini. Si tratta di una realtà che sembra rendere insufficiente quanto davamo per definitivamente acquisito, che sembra volerci dire che i giudizi potrebbero non essere così certi e che la sicurezza scientifica potrebbe naufragare di fronte all’esperienza dell’allontanamento da quanto si conosce e dell’avvicinamento a quanto non si conosce. Ci troviamo di fronte a minori pensanti, bambini che cresciuti in fretta che saranno già più adulti della classe scolastica che non sappiamo quando potrà accoglierli. Bambini che hanno visto la morte, che sanno distinguere il bene dal male, che sanno spiegare, forse nella loro lingua, il senso del loro viaggio e che dovranno essere aiutati a comunicare una storia divenuta già capitolo nuovo nello studio della biografia dell’infanzia. In parte possiamo comprendere questa biografia, rileggendo le narrazioni che giungono fino a noi grazie ai ricordi trascritti da chi ha vissuto l’emigrazione nel passato. Tuttavia, le narrazioni degli adulti che descrivono il che cosa significava emigrare da bambini mezzo secolo fa è altra cosa da quello che sta accadendo adesso. Le regole sono cambiate e le rotte si sono invertite: dall’Europa di usciva ed ora in Europa si ritorna. Il bambino non accompagnato del libro Cuore di De Amicis, è diventato un minore tra tanti minori di cui la legge si deve occupare con documenti e registrazioni e che ci viene permesso di vedere attraverso barriere di ogni genere.
Sandra Chistolini
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