– Ma anche tu, Mattia, sei arrivato a casa tua con la barca? – chiede Raki con curiosità, mista a desiderio di raccontare qualcosa che cova dentro da troppo tempo.
– Io sì. Con la barca, in mezzo al mare. – continua. – Tanto, tanto mare. Io paura. C'erano gli squali... anche mamma paura. Brrr.... – e incrocia le braccia intorno a sé, stringendosi al ricordo di quel suo viaggio terribile, per il cui racconto non conosce ancora le parole giuste, e chissà poi se si possono mai conoscere.
Viaggi della speranza, vengono chiamati da noi. Anche se troppe volte li abbiamo visti trasformarsi in qualcosa di terribilmente diverso, nel loro esito finale che si conclude con la morte di migliaia di profughi, in balia di onde e destini. Ma davvero è la speranza il motore di quelle partenze: è la spinta a fuggire da tutto il dolore di una vita che ogni giorno di più sembra attaccata a un filo, un filo che la miseria, o la guerra, o entrambe possono recidere in un soffio.
E allora, la fuga. Tentare il tutto per tutto, guidati solo dalla disperazione, dal desiderio di sopravvivere, di costruirsi da qualche parte un domani, no, ancora prima, un oggi migliore, per sè e per i propri cari.
Esigenza vitale per ogni essere umano, niente di troppo difficile da intuire, a ben pensarci...
Omar Karim è un padre ghanese, sbarcato a Palermo un anno fa coi suoi tre figli, allora di tre, sei e otto anni: Anes, Lukman e Rakia. Sua moglie Chinyery, la mamma dei piccoli, ha subito un destino crudele; non c'è l'ha fatta, divenendo una tra le migliaia e migliaia di vittime di questo immenso esodo.
Mattia Marsetti e la sua fidanzata Khadija Lamami sono invece due volontari della Caritas che, a Palermo un anno fa, per primi hanno teso le braccia verso questa famiglia, dedicandovisi nei loro mesi estivi di operatività “agli sbarchi” e presso il Centro di accoglienza. In seguito hanno mantenuto i contatti di un legame sempre più stretto, fatto di affetto e condivisione, tanto da rivedersi sei mesi dopo, riscoprendo un'amicizia autentica, che spingeva i bambini a parlar spesso di loro agli operatori del Centro e a manifestare il desiderio di stare con loro, di vedere dove fosse la loro casa... Grazie al loro interessamento, subito esteso ed accolto dalla comunità di provenienza di Mattia, ossia dalla parrocchia di Teglio, piccolo centro valtellinese, nella persona del suo parroco don Flavio Crosta, l'idea di un soggiorno estivo nella pace montana per Omar e i suoi tre figli è diventato realtà. (La proposta è stata formalizzata con la stesura di un documento che specificava il contenuto di partenza e gli obiettivi del progetto ed è stata inviata alla Prefettura di Palermo e a quella di Sondrio per richiedere il nullaosta al trasferimento temporaneo della famiglia, a carico dei soggetti proponenti).
Tante, quindi, le occasioni per sentirsi famiglia, per sapersi accolti; dalla disponibilità di un appartamento autonomo offerta dal parroco, alla possibilità di vivere l'esperienza del Grest parrocchiale, preziosa per i bambini, perché possano ritrovarsi coi propri pari, a giocare in serenità. Alla felicità di ritrovare la vicinanza di Mattia e Khadija, insieme ai molti che, in paese, si accostano con senso di fratellanza a questo progetto. E per Omar, anche l'opportunità di un lavoro, offertogli dalla famiglia Valli dell'Hotel Combolo, in paese, che tanto inorgoglisce i suoi figli i quali, uscendo di corsa dall'albergo in cui sono stati accompagnati a vedere il luogo di lavoro del loro papà, ci indicano entusiasti le cucine, raccontandoci la novità.
Quella di Omar e dei suoi piccoli è una storia fra le infinite che si potrebbero raccontare, o che potremmo fare, se non altro, lo sforzo di immaginare. Una storia che spesso inizia con giorni tranquilli di esistenze trascorse nel lavoro e negli affetti; quella della famiglia Karim aveva per teatro, da quindici anni, la Libia: Omar era muratore, sua moglie lavorava in un ristorante e accudiva i figli, prima uno, poi due, poi tre, impegnati soltanto a crescere. Poi, ad un tratto, la guerra, in Libia, dove la loro storia contava di potersi dipanare e invece si è spezzata con quella partenza e con quel viaggio disperato in mare. Quattromila euro racimolati con chissà quale fatica per conquistare quella fatale “seconda classe”. – Dopo sei giorni abbiamo incontrato solo lui e i figli al porto – ci dice Mattia – tutti e quattro ammutoliti, con gli sguardi assenti e senza più lacrime. Tutta l'unione che c'era tra quella mamma cristiana e quel papà musulmano cancellata da una sorte tremenda che ha consegnato al mare Chinyery...
Accolti nella sua casa da Padre Sergio Mattaliano, direttore della Caritas di Palermo, e con le attente premure di Khadija e Mattia, Omar e i figli hanno trascorso un primo mese, cercando di riaffrontare la vita, trascorso il quale pian piano sono tornati a parlare per poi essere destinati ad altri due centri di accoglienza, e in ultimo a quello che a tutt'oggi rappresenta la loro casa, da condividere con altri sessanta adulti. La casa in cui il 12 agosto faranno ritorno, insieme ai ricordi del mese vissuto a Teglio.
In questa Valtellina estiva, in questa Italia e in questo nostro mondo, c'è dunque chi si scandalizza (così è stato detto e riportato sulla stampa) per l'intenzione di un comune di accogliere dei profughi, come c'è chi, imbattendosi nella vicenda di Omar e dei suoi bambini, vede affiorare in sé la consapevolezza di quanto siano prossimi i destini umani e i sentimenti di tutti noi, di quanto in realtà ci si assomigli, si assomigli il dolore di certe traversie della vita, sia intuibile l'orrore di chi, più di altri, ne ha dovuto sperimentare le ferite.
Allora, sarebbe bello che qualche centro preposto all'accoglienza di rifugiati per motivi umanitari, che è lo status di Omar Karim, ravvisi di avere un progetto ideale per lui e i suoi piccoli e possa costituire un passo avanti per questa famiglia verso un futuro migliore e adatto a questi bambini in età scolare, che ancora devono impratichirsi della lingua italiana, e di questo papà con la voglia di trovare un altro lavoro come quello sperimentato a Teglio, esperienza che l'ha fatto finalmente tornare a sorridere.
Che le parole che cerchi, Raki, siano da te trovate, un giorno. E così accada anche per i tuoi fratellini. Possano essere parole leggere, lievi dell'amore che avrete ricevuto, mentre starete compiendo il viaggio della vostra vita, quello sì, degno di essere chiamato viaggio della speranza.
Annagloria Del Piano
francespiper@libero.it