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“Quel 10 agosto 1944, in Piazzale Loreto, io c’ero” Intervista a Franco Loi 
di Mauro Raimondi
09 Agosto 2016
 

Franco Loi è uno dei maggiori poeti italiani viventi, ma non solo.

Soprattutto per noi milanesi, rappresenta una memoria storica, un fondamentale punto di riferimento quando si vuole sapere qualcosa sulla Storia della città dall’inizio della Seconda Guerra Mondiale a oggi.

Perché, qualsiasi cosa sia accaduto, lui c’era.

Come in quella tragica mattina del 10 agosto 1944…

 

Come mai andasti a piazzale Loreto?

Fu un mio compagno di classe dell’Istituto Motta di via Vittorio Veneto, Malagoli, a dirmi che avevano fucilato dei partigiani e che dovevamo andare a vedere. Scendemmo con il tram in via Caretta e quando entrammo in corso Buenos Aires, proprio all’altezza di quel distributore di benzina dove l’anno dopo sarebbero stati issati Mussolini, la Petacci e alcuni gerarchi fascisti, notammo una piccola folla e alcuni militi della Muti. Ci facemmo largo e davanti a uno steccato trovammo dei corpi buttati per terra.

Come reagisti?

Era qualcosa di terribile… Mi ricordo che c’era un ragazzo con la faccia piena di sangue, gli occhi aperti… Un altro uomo aveva tra le gambe un cartello con la scritta “Banditi”… Qualcuno aveva le braccia allungate oltre la testa… A un certo punto una donna si accostò ai morti e si lasciò sfuggire, in dialetto, un’espressione di commiserazione. Allora uno della Muti le si piazzò davanti minacciandola. Dopo di che, sputò sui cadaveri.

Nessuno reagì?

E come avrebbe potuto? C’era solo un grande silenzio, e a me tutta la scena, che si svolgeva sotto un caldo sole d’agosto, pareva irreale. Eppure non riuscivo a staccarmi da lì. Il mio amico, monarchico ma antifascista, dovette ripetermi più volte di andarcene, tanto ero colpito.

Tra l’altro, in mezzo a quegli uomini c’erano anche delle persone che conoscevi.

Sì, una volta tornato in via Teodosio mi rivelarono che tra i cadaveri c’era anche Libero Temolo, il papà di Sergio, il mio migliore amico. E non era l’unico: i fascisti, che su pressione dei nazisti avevano voluto punire un attentato ad un camion tedesco, avevano prelevato dal carcere di San Vittore quindici persone della zona, e alcune di loro erano di Lambrate. Come il mio maestro elementare, Principato, il signor Mastrodomenico, l’ingegnere Fogagnolo che abitava in via Pacini.

Anni dopo, questo avvenimento lo hai riproposto nella tua opera.

Certo, in poesia ma anche in prosa, in un libro di racconti intitolato L’ampiezza del cielo. E non poteva essere diversamente: rimasi così impressionato da quei morti che per un bel po’ di tempo ebbi degli incubi.

Domani sarà il 72° anniversario della strage: si sarai?

Sì. Come sai io non amo molto le ricorrenze, ma domani mattina andrò. E ci sarà anche il mio carissimo amico Sergio Temolo.

 

Appuntamento, allora, alle 10 per la deposizione delle corone e per gli interventi istituzionali, ma anche alle 21, quando si terranno altre iniziative in memoria dell’eccidio, tra cui un monologo intitolato Le voci di piazzale Loreto a cura di Campo Teatrale

Saludi.

 

Mauro Raimondi



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