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Giuseppina Rando. Rifrangenze
Chiara Caccamo, “Insolito tramonto”
Chiara Caccamo, “Insolito tramonto” 
03 Agosto 2016
 

Come avvolta da un velo dorato, l’isola appare sospesa tra due fasce di luce.

L’aria della sera profuma di ricordi.

Lui pedala allontanandosi dalla casa e dalla ombrosità degli alberi che la circondano.

Allo slargo di una strada della costa, nel punto in cui le palme ondeggiando si piegano in avanti e inizia la striscia di sabbia, si ferma.

Appoggia la bici alla palma, si toglie le scarpe, con i lacci le annoda al manubrio. Va a passi lenti verso la battigia attratto dall’azzurro intenso delle onde echeggianti richiami.

È come se la sabbia dorata si trasformasse in un mantello di seta giallo, fluttuante come le onde del mare. Il pensiero apre le finestre del corpo, si sporge verso quella luce trasparente che penetra ogni cosa, segue le nuvole va oltre l’orizzonte, si perde nel cobalto del cielo, oltrepassa il limite labile dei sensi, si scioglie nel mare e abbraccia l’immergersi lento del sole.

 

Fiumi di luce s’incrociano, si separano, sommergono la mente.

 

Nell’andare la luce vaneggia, l’oscurità lentamente la risucchia, la profondità abissale la dissolve.

I pensieri vagano incerti nei sentieri tracciati da piccole, misteriose fiaccole: le riconosce, non sono stelle; le finzioni di ieri hanno bruciato, lasciato ferite sbocciate in corolle bollenti d’amore.

Sono maschere-nude, presenze in movimento cariche di energia.

 

Riaffiora l’indistinto transitorio apparire. L’insidia l’accerchia nelle trame ritorte.

Nel recinto continuano ad ardere segni d’implacata materia, i sensi feriti. Qualche filamento s’appressa aspro e chiaro, si confonde col flusso dell’onda in un soffio magico.

Dal blu del mare traspare una danza di colori che disegna il movimento di una luce cristallina da dove emerge luminosa una sagoma di donna, vestita di raso lattescente.

È lei.

 

Un mormorio intorno aggroviglia la sua mente e lo confonde.

Volge lo sguardo in basso.

Accanto ai suoi piedi scalzi vibra qualcosa di rosato che lentamente assume la forma di stella marina, rossa.

Si abbassa per prenderla tra le mani… non c’è più, è svanita.

 

Silenzio. Le onde tacciono. La luce si è incarnata nel buio.

Il mare quasi nero risale nel magma della nebbia che avvolge memoria e tempo.

 

Turbato e svigorito si dirige verso la bicicletta sbiancata sotto la palma scura dondolante al vento.

Rimette le scarpe e riprende la strada verso casa.

 

Le pareti della sua stanza scricchiolano sotto il fardello del vuoto che egli porta in sé.

Supplici voci s’inerpicano sul suo corpo, vorrebbero avvinghiarlo. La mente attraversata da fremiti, echeggia di sirene, in raggi ondulanti, si dilata in cerca di fuga.

 

Il nulla davanti a sé, il nulla dietro e dentro la massa informe di una percezione oscura.

 

Entra nel tempo dell’attesa, tempio del tempo che torna ad offrirsi.

 

L’ombra della notte scende leggera e, come immenso lenzuolo di seta, tutto avvolge.

Sulla bianca parete della stanza, di fronte al letto ove il suo corpo svuotato s’è disteso, riappare la stella marina, rossa.

Lentamente trascolora in una duplice tessitura di corpo e di soffio vitale.

Lo penetra con uno sguardo d’amore.

È lei.

La stringe a sé con tutte le vibrazioni dell’anima.

Sensi, voci e visioni tornano ad aprire nuovi orizzonti alla vita che in ogni dove zampilla.

 

Rifrangenze dal silenzio insieme alla pienezza arcana musicata dalle onde.

 

Giuseppina Rando


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