Quand'è che un film si può definire un film politico?
Guido Aristarco, che è stato un eminente quanto discusso studioso di cinema, amava ricordare, opportunamente, che ogni film è un film politico, perché ogni film presuppone una visione del mondo, magari inconsapevole, che può essere progressista o reazionaria; può implicare che il mondo, con il suo carico di mali, sia immodificabile o al contrario che sia facoltà dell'uomo trasformarlo e migliorarlo.
Ma se ogni film è un film politico, un film politico in senso più stretto è forse quello che addita, esamina, uno dei mali della società, con l'auspicio, almeno implicito, che sia curato. Ma attenzione: quel male, non è soltanto uno “stato delle cose” esterno. Ha radici anche nella coscienza, nell'intimità degli individui che quello “stato delle cose” concorrono a formare.
Insomma: un film politico non dovrebbe mancare, per il fatto di essere politico, di profondità e di verità umana.
Questa lunga premessa, per un film che è certo intenzionalmente politico, che presenta una tesi che può essere condivisa, ma che è anche rudimentale.
Si tratta di un thriller americano distribuito con un titolo in italiano: La notte del giudizio e un sottotitolo in inglese: Election year, diretto da James DeMonaco, terzo capitolo di una trilogia popolare.
La trovata su cui si basa l'intera trilogia è di genere fantapolitico: si immagina che una notte l'anno siano consentiti negli Stati Uniti tutti i crimini e gli omicidi. Anzi: i cittadini americani sono sollecitati dalle autorità a uccidere, per purgarsi – così viene detto – dell'odio e dell'aggressività.
In effetti, ci viene spiegato in questo terzo capitolo, i fautori dell'iniziativa – che sono una cupa caricatura dei padri fondatori degli Stati Uniti – hanno a cuore più che il benessere psicologico degli americani, il risparmio della spesa pubblica. A essere uccisi sono infatti i cittadini più poveri, quelli che lo Stato dovrebbe assistere, i quali, nella notte dei liberi omicidi, non possono permettersi un'assicurazione o degli strumenti di protezione efficaci.
Tra i protagonisti del racconto, c'è una senatrice, candidata alla presidenza degli Stati Uniti, che vorrebbe bandire questa barbara consuetudine; e per questo, quei nuovi, turpi Padri Fondatori, vorrebbero farla uccidere, approfittando della notte “rituale”.
Il senso politico del film è piuttosto chiaro.
Tra le righe di un racconto fantastico, si profila una degenerazione autoritaria della democrazia negli Stati Uniti; si denuncia la mancanza di adeguate tutele statali dei più poveri. Si esprime anche una preferenza di voto per le prossime elezioni presidenziali.
Che queste idee si condividano o meno, bisogna ammettere però che si incarnano in personaggi “tagliati con l'accetta”.
Se la senatrice è sempre e soltanto coraggiosa e integerrima, i suoi avversari politici sono sanguinari, depravati o dementi.
Se il proprietario di un drugstore e il suo aiutante, sono immediatamente riconoscibili come brave persone, le giovani teppiste nere che rubano nel loro negozio sono così odiose, soltanto prepotenti e violente, che quando vengono ammazzate a bruciapelo, lo spettatore è indotto a tirare un sospiro di sollievo (una contraddizione, per un film che si vorrebbe democratico e progressista!).
Va detto che certi squarci infernali della città notturna, nella quale gli aspiranti assassini si muovono in branchi per le strade indossando maschere sinistre, o nei quali i benestanti, conservando i loro modi mondani, si riuniscono in una chiesa per assistere a dei sacrifici umani, questi e altri momenti, rivelano in DeMonaco un talento visionario.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 30 luglio 2016
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